S_CAROGNE

La memoria e lo sceriffo


Oggi, spiacente, vi annoio. D’altronde sono una blogger anziana io e, si sa, l’età è una carogna. Quindi se siete comodamente seduti sulla vostra poltrona girevole in finta pelle mentre il condizionatore ingaggia la sua battaglia quotidiana all’ultimo watt e stranamente vi sentite di buonumore perché percepite l’avvicinarsi delle ferie, sappiate che continuando a leggermi il vostro umore potrebbe virare inaspettatamente al verde acido senza nemmeno che vi sia dato il tempo di emettere un salvifico click.Ordunque parliamo di memoria. Avete presente? Una di quelle cose che si indebolisce se non viene esercitata, non so se mi spiego.Nella fattispecie parliamo della memoria del barese. Non un barese qualsiasi, beninteso: sempre lo stesso, sempre quello, agiato, che divide equamente il suo tempo tra la villazza a Parchitello e quella a Rosamarina, che si addentra nella Locride del capoluogo pugliese (BariVecchia) solo per andare a sollazzarsi nei locali di Piazza del Ferrarese, quello che spende tanto per vestiti e pranzi a base di pesce e poco o nulla in termini di sé, quel fetido arricchito il cui amore per la cultura si evince dall’aver mandato la sua inetta prole a studiare in pregiate e costosissime università private (meglio se al Nord) ritenendo la Grande Mela pugliese una scenografia adatta al massimo ad un film di Kusturica piuttosto che alla rappresentazione accademica dell’adorato pargolo. Ci siamo? Bene. Anzi no, male. Perché questo sommo esponente della peggiore meridionalità in doppiopetto, tra una paranza e un weekend in barca, tende a dimenticare di vivere in una città in cui uno dei palcoscenici più ambiti d’Italia è stato bruciato dalla mafia, in cui spesso il sistema politico e imprenditoriale locale ha spalleggiato la criminalità semplicemente facendo i suoi porci comodi e in cui per decenni si è morti allegramente di amianto (andando a ritroso nel tempo la Bari Bene  è persino riuscita a rimuovere dalla memoria collettiva uno dei peggiori delitti fascisti che ha infestato la storia, quello di Benedetto Petrone).Insomma ero di pessimo umore mentre pensavo tutto questo e mi è sorto il desiderio di rendervi partecipi. MA. Si, c’è sempre un ma, fateci l’abitudine. Ma poi mi sono ricordata che appena una manciata di giorni fa, tra le brume del sonno mattutino, mi è capitato di leggere un articolo a firma del nostro beneamato Sceriffo, e mi sono stranamente acquietata, forse confortata dal fatto che qualcuno, per giunta con la stella in petto, avesse impiegato qualche minuto del suo tempo per rendere un giusto memento ad uno dei più laidi omicidi avvenuto qualche anno fa (Gazzetta di Bari del 12/7/07). Ok, non è proprio un avvenimento che vi cambia la vita ma cercate di farvelo bastare.Perché i morti non sono tutti uguali e quel che ne rimane, di loro, cambia a seconda che l’esistenza sia trascorsa brada (su un torrido balcone del cep) o baciata dalla fortuna (tra gli affreschi di un attico in pieno centro), e il dolore non si attenua rinchiudendolo in una piccola vita ma (forse) cercando di conferirgli dignità universale.