S_CAROGNE

RECENSIONI Tuttalpiù muoio di Albinati e Timi


Il libro è un viaggio a ritroso nel passato del protagonista Filo, attore teatrale balbuziente, quasi cieco e omosessuale senza il becco di un quattrino, narrato in una prima persona tendenzialmente biografica.Quando si scava dentro il proprio vissuto, e lo si fa con rabbia, senza domandarsi se la propria vita potesse essere diversa, quello che si ottiene è una catarsi liberatoria in un ordine cronologico di cui spesso salta la traccia. Da una Umbria ancora legata ai ritmi della campagna fino alla Roma modaiola e alternativa, passando per la propria infanzia difficile, gli amori vissuti e quelli soltanto desiderati, gli incontri gay alle “Spiagge”, la cugina disabile, le zie, il rapporto con la sorella Cristina, tutto è sconfitta e arte dell’arrangiarsi, in un crescendo di emarginazione e attacchi epilettici. La vita, scriveva Pirandello, o la si vive o la si scrive. Filo ha scelto di rappresentarla attraverso un personaggio devastato e devastante, tra disincanto e fatica di vivere.La struttura della narrazione è minimale e rende bene l’idea del personaggio, lo stile  è denso di accordi fulminanti, quasi fosse una partitura bivocale.La balbuzie tra le sue dita diventa più lieve e consapevole e la babele di sotterfugi e traumi e inclinazioni sessuali diventa patrimonio universale da confessare con pachidermica sincerità e inguaribile ottimismo antropologico.Il teatro è tutto ciò che Filo ha ed è una delle poche cose che non riesce a distruggere, il palco è quello dove ci esibiamo tutti. E tu che leggi, anche se sei abituato a preservarti dal dolore, non puoi fare a meno di soffrirci.Una irrefrenabile e tragica comicità che solo taluni sanno portarsi addosso senza usarla come monito o come scusa, che ti raggiunge in mezzo a sospiri di sollievo per non essere nato così sfigato.Voce narrante ritenuta autoreferenziale e soprattutto volgare dalla frangia di lettori più ortodossi, ma veritiera e che va sempre a segno. Esattamente quello che diventa una voce quando pensieri viscerali sono finalmente liberi di posarsi su carta.Un linguaggio della complicità e della comunicazione che riesce nel compito non facile di evocare delizie e atrocità anche al di fuori del romanzo, lasciandoti la fastidiosa sensazione che la convivenza tra uomini sia qualcosa di più di un letto disfatto. E la inadeguatezza lo scotto da pagare per non essere un adulto maschio bianco della varietà comune. Leggetelo: a scuola, in parrocchia, sulla pista di pattinaggio, nella giungla dei ritrovi gay, tra le quinte del palcoscenico, a letto. Ancora: in piedi sulla metro, sugli autobus, camminando per strada, a letto, dietro i fascicoli in ufficio: leggetelo.Perchè ci sono cose che vorremmo dimenticare ed invece siamo costretti a portarci sul groppone, perché non è che ci sia dato sempre di scegliere, perché la realtà è greve ed è sempre bene riuscire ad emozionarsi al di là del bene e del male. E questo è un libro che spinge il lettore ad amare. E non solo il teatro.Sconsigliato: a quelli che hanno appena scoperto che il proprio figlio/partner/ è omosessuale (aspettate qualche mese a leggerlo, ve lo dico col cuore, giusto il tempo di abituarvi all’idea), a quelli che leggono solo per farsi una cultura, a quelli che nelle disgrazie altrui non vogliono entrarci perché hanno già troppi problemi, a quelli che io i froci proprio non li sopporto.Consigliato: a tutti gli altri, a quelli che non temono furore e tenerezza soprattutto.PS: La recensione arriva con notevole ritardo dato che il romanzo è stato edito nel marzo 2006 ma la frenesia che ti prende quando un libro ti piace non ti fa riflettere molto sui tempi e sui modi dello scrivere.