Innanzitutto le presentazioni.Doug Parker, ventinove anni, è un vedovo disperato eppur brillante di ironia, morto nell’anima senza essere deceduto nel corpo, ubriaco, intento a non far nulla tutto il giorno, incapace di riprendere a vivere da quando ha perso la moglie Hailey, Russ è il figlioccio, impegnato a fumare erba (minuscolo, non sto parlando della mia coinquilina) e a cacciarsi nei guai mentre Claire è la sorella che un bel giorno abbandona il marito per presentarsi incinta a casa dei due.Dopo di lei è un romanzo sul come trovare la propria strada quando si è a corto di direzioni ma anche sull’amore che ritorna, dopo tanto tempo e tanto dolore, sotto un'altra forma.Un libro in cui pathos e comicità si alternano ben lontano dai luoghi comuni per riflettere sulla perdita e sul suo corollario, la colpa, riuscendo a scrivere della morte al riparo dalle secche del memoir illeggibile.Una rassegnata, eppur speranzosa e divertente, indagine sul dolore, tra dialoghi brucianti di personaggi che continuano ad accompagnarti molto tempo dopo l’ultima pagina. Un vecchio amico: questo è l’ultima opera di Tropper.Per carità, risulta improprio il tentativo operato dai media di paragonare l’autore ad un mito come Hornby (manca la sua seducente ironia in confronto alla quale questa sembra soltanto una sbiadita fotocopia) ma 330 pagine finite in una mezza nottata meritano di essere lette. E’ un libro da adoperare per riuscire a guardarsi con gli occhi dell’altro anche quando si va in pezzi, come sempre succede quando una morte improvvisa taglia a metà due esistenze talmente annodate da risultare uniche, lasciando un desiderio sospeso, uno sguardo spento su chi proprio non si rassegna (a proposito quando vi dicono cose tipo “il tempo guarisce le ferite”… beh, sono tutte stronzate, sappiatelo).Dare in pasto agli estranei i propri sentimenti è tradire chi si ama?Può sembrare incongruo e triste e sbagliato ma quando parlare del proprio dolore risulta oltraggioso c’è chi preferisce lasciarsi impalare sulla propria croce in silenziosa solitudine anziché diventare oggetto di misericordiose riconciliazioni.Se mi state chiedendo quando leggere questo libro sarò categorica.Non subito prima, no, non quando la parola morte rimanda ancora ad un concetto inedito e nemmeno subito dopo, quando si cerca la resurrezione di una metà sanguinosamente amputata.Piuttosto quando la vita di chi resta diventa una distesa di calcinacci e la mancanza di fede, il senso di colpa, il fato ci mettono tutto il loro mefitico resto, e ti ritrovi sotto il giogo di un imperativo che ti obbliga a rinascere quando invece l’unico vessillo che vorresti innalzare è lo stendardo di morte.O ancora quando scorazzi tra le lapidi cercando l’assetto più logico, il disegno più armonico, incapace di incapsulare l’ultima immagine in uno sguardo d’insieme, strappando ogni giorno al passato ricordi destinati a diventare manufatti.Perché la forza stessa dell'uomo si esaurisce nel momento in cui non è più artefice del proprio destino ed è quando i miseri resti smettono di parlare che inevitabilmente iniziano a dolere. (Too much love will kill you, every time)
Recensioni - Dopo di Lei
Innanzitutto le presentazioni.Doug Parker, ventinove anni, è un vedovo disperato eppur brillante di ironia, morto nell’anima senza essere deceduto nel corpo, ubriaco, intento a non far nulla tutto il giorno, incapace di riprendere a vivere da quando ha perso la moglie Hailey, Russ è il figlioccio, impegnato a fumare erba (minuscolo, non sto parlando della mia coinquilina) e a cacciarsi nei guai mentre Claire è la sorella che un bel giorno abbandona il marito per presentarsi incinta a casa dei due.Dopo di lei è un romanzo sul come trovare la propria strada quando si è a corto di direzioni ma anche sull’amore che ritorna, dopo tanto tempo e tanto dolore, sotto un'altra forma.Un libro in cui pathos e comicità si alternano ben lontano dai luoghi comuni per riflettere sulla perdita e sul suo corollario, la colpa, riuscendo a scrivere della morte al riparo dalle secche del memoir illeggibile.Una rassegnata, eppur speranzosa e divertente, indagine sul dolore, tra dialoghi brucianti di personaggi che continuano ad accompagnarti molto tempo dopo l’ultima pagina. Un vecchio amico: questo è l’ultima opera di Tropper.Per carità, risulta improprio il tentativo operato dai media di paragonare l’autore ad un mito come Hornby (manca la sua seducente ironia in confronto alla quale questa sembra soltanto una sbiadita fotocopia) ma 330 pagine finite in una mezza nottata meritano di essere lette. E’ un libro da adoperare per riuscire a guardarsi con gli occhi dell’altro anche quando si va in pezzi, come sempre succede quando una morte improvvisa taglia a metà due esistenze talmente annodate da risultare uniche, lasciando un desiderio sospeso, uno sguardo spento su chi proprio non si rassegna (a proposito quando vi dicono cose tipo “il tempo guarisce le ferite”… beh, sono tutte stronzate, sappiatelo).Dare in pasto agli estranei i propri sentimenti è tradire chi si ama?Può sembrare incongruo e triste e sbagliato ma quando parlare del proprio dolore risulta oltraggioso c’è chi preferisce lasciarsi impalare sulla propria croce in silenziosa solitudine anziché diventare oggetto di misericordiose riconciliazioni.Se mi state chiedendo quando leggere questo libro sarò categorica.Non subito prima, no, non quando la parola morte rimanda ancora ad un concetto inedito e nemmeno subito dopo, quando si cerca la resurrezione di una metà sanguinosamente amputata.Piuttosto quando la vita di chi resta diventa una distesa di calcinacci e la mancanza di fede, il senso di colpa, il fato ci mettono tutto il loro mefitico resto, e ti ritrovi sotto il giogo di un imperativo che ti obbliga a rinascere quando invece l’unico vessillo che vorresti innalzare è lo stendardo di morte.O ancora quando scorazzi tra le lapidi cercando l’assetto più logico, il disegno più armonico, incapace di incapsulare l’ultima immagine in uno sguardo d’insieme, strappando ogni giorno al passato ricordi destinati a diventare manufatti.Perché la forza stessa dell'uomo si esaurisce nel momento in cui non è più artefice del proprio destino ed è quando i miseri resti smettono di parlare che inevitabilmente iniziano a dolere. (Too much love will kill you, every time)