S_CAROGNE

Parabola


Bel weekend, perché negarlo? L’avere a disposizione la tecnologica penna della Omnitel e l’essersi contemporaneamente dimenticata a casa il portatile è innegabilmente un inconscio ma chiaro proposito di rimozione freudiana. L’impossibilità di collegarmi mi ha quindi scacciata dall’orbe paradisiaco virtuale e costretta ad interagire in maniera continuativa con umani della varietà cattedratica e, soprattutto, con la fichissima collega che mi sono ritrovata come compagna di stanza, diventata oggetto di assidue peregrinazioni di uccelli accademici in cerca di compagnia nel frugale ottimismo di un fine settimana congressistico. I momenti topic si sono succeduti nell’arco dei quattro giorni scandendo le nostre pie giornate lavorative (diciamo così). Lei accoglieva i colleghi maschi in una vezzosa veste da camera corollata da ciabatte glitterate, io, presentabile come un herpes, passavo il tempo sulla poltrona producendo origami con fogli di carta igienica. Lei annuiva commossa davanti ad una vetrina Prada, io elaboravo mentalmente l’importo dell’estratto conto chiedendomi se fosse un’idea completamente sbagliata comprare un portatile all’uopo e rivenderlo dopo 96 ore. Lei si sollazzava tra gli happy hour tra le gioiose sarabande politiche dei congressisti in pausa relax, io ascoltavo rapita l’eco del mio sbadiglio con il tipico atteggiamento di fetecchia del branco. Ad ogni modo il sincero apprezzamento esternato circa la limpida purezza dermatologica delle sue creme Dior (da me quotidianamente testate nottetempo a sua insaputa) non ha evitato che Lei sviluppasse nei miei confronti il classico risentimento di chi ha cresciuto un Giuda in casa. Vabbè, pazienza, il brodino di cremine ottenuto saccheggiando il suo beautycase ha comunque ottenuto un prodigioso effetto lifting di cui adesso mi compiaccio specchiandomi nell’amato monitor. Il destino successivo è stato quello di essere scaricata in Piazza G. Cesare alle due di notte e prelevata dall’epatotossico con in bocca sigarettina rigorosamente rollata con tabacco sfuso. E lì la vita è ripresa esattamente dove l’avevo lasciata, tra le sordide esistenze di immutabili sfigati, mentre mi accomodavo su un grazioso cuscino finto etnico sistemato al posto del sedile. Penso all’astratta possibilità di un compagno che abbia qualche affinità con me, e non trovo altro che inquietanti similitudini algebriche con le probabilità che arrivi padre nostro a sanare i miei debitucci bancari sul fronte mutuo. Beh, sono tornata eh!