S_CAROGNE

Happy days


 Ti ricordi lo Spleen? Era un pub quando avevo diciotto anni. Decidevo di andare lì e già una smorfia di dolore impostato si stampava sul mio viso. Certo: Sara e io andavamo vestite a lutto e la tristezza, coadiuvata da qualche birra, avrebbe giovato al nostro sabato sera. E sì che avrei voluto fare altro, ma si sa che a una certa età le emozioni sono amplificate, i moti interiori sono quelli di tutti i Decadenti e i desideri di perdizione quelli degli Scapigliati. Desiderare l'irraggiungibile, anelare all'Amore Romantico e piangere ore sulle miserie umane e personali avvicinavano all'infinito. Talvolta, quando le cose non andavano così male, e per uno strano caso del destino il compito di latino, i rapporti con e fra i miei genitori e quelli con il mio prescelto (The boy I loved best of all in the school*) tramutavano la mia smorfia in sorriso, si realizzava, per pochi indimenticabili minuti, il mio sogno. Quello di sentirmi protagonista di un telefilm, unico evento nel nostro spazio-tempo dove le gioie e i dolori sono lievi, non penetrano nelle ossa, ci sono le risate e gli applausi di sottofondo, le case sono ordinate e pulite, pronte a ricevere chiunque passi di lì per caso (che di sicuro non avrà problemi di parcheggio). In realtà ero consapevole della precarietà del momento, presto avrei cercato rifugio nel mio diario, come sistematicamente accadeva, ma aprivo bene gli occhi, e il cuore, per fissare quella leggera euforia, per farne una scorta. Ora sono così? Felicità raggiunta? No, per fortuna non si è spenta la fiammella di adolescente impunita che illuminava il mio malcontento. Anche mangiando surgelati o stirando grembiulini il cuore trema come allora, e la tranquillizzante certezza di essere una principiante (assoluta), di non aver provato ancora nulla, perché l'infinito è davvero lontano, mi pervade. Anna Karenina verrà presto: è pronto il samovar.* Chi di voi riconosce questo verso?