S_CAROGNE

Superquark Il figlio della Prof


Che bella la mia nuova sede lavorativa. C’è un po’ di tutto. Il tecnico che compare sporadicamente in dipartimento al solo scopo di depositare l’agognato certificato medico, l’amministrativo che gioca a scacchi, l’ordinario munito di palmare intento ad organizzare telefonicamente una copula adultera, lo studente simpaticamente cazzaro: tutti uniti nella quotidiana non ordinarietà del lavoro. Ed in questo scenario altamente disturbante c’è anche la Prof che si trascina sul posto di lavoro il figlioletto. Vezzeggiativo non appropriato. Diciamo che arriva accompagnata da uno stramaledetto nano con lo sguardo da asino scaltro. E’ per questo che appena mi giunge la loro voce dal corridoio la mia mano si paralizza sulla tastiera. Il loro arrivo è preceduto dalle polifoniche moine di quelle sgarrupate delle segretarie due stanze più in là che vedono nel pargolo d’oro una buona occasione per ingraziarsi la madre in previsione delle festività (leggasi ferie): masticando patatine e liquirizie il piccolo duce si accomoda distrattamente sul divano della stanza della madre sfogliando un fumetto per poi passare al videogame. Si avvilisce se qualcuno non lo vizia, povera stella. A questo punto inevitabilmente mi raggiunge al computer: lo accarezzo con uno sguardo finemente venato di disprezzo per farlo stare al suo posto ma mi ignora, lanciandosi in una gara di rutti di diverse tonalità. Per il quieto vivere faccio finta di nulla ma lui inizia a cantare tutte (tutte) le sigle dei cartoni animati, mentre io mi domando perché alla genitrice non venga in mente che il figlio non è Bocelli, e che non è particolarmente piacevole starlo a sentire mentre urla a due centimetri dall’orecchio. Ma forse sono io che non riesco a cogliere i segni precoci di un genio musicale in via di formazione (indizi che invece una madre nota sempre in abbondanza). Avverto imperioso il bisogno di attaccarlo alla bombola dell’ossigeno per trovare finalmente la pace (un gas da trattare con la massima attenzione, l’ossigeno, per permettere al vostro cervello di madre di svolgere il suo quotidiano compito educativo) finché una proiezione spettrale infinitamente familiare si materializza alla porta: “Ti adora, ti sta sempre attaccato, si vede che con i bambini ci sai fare”. E io mi trattengo dal risponderle perché ad essere sinceri quelli con cui sono perennemente costretta a destreggiarmi non sono i bambini, diciamo che appartengono ad un altro genere, ma forse è preferibile non specificare quale. Postilla protofemminista: in tanti anni di precariato mai visto un prof (genere maschile) costretto a trascinarsi al lavoro il proprio pargolo. Mai.