S_CAROGNE

In cerca d'autore


Un paio di sere or sono Sara esce dal suo loculo e decide di recarsi in un ridente e pittoresco paesino dell’hinterland barese (Giovinazzo) per una serata letteraria che prevede l’intervento di alcuni scrittori pugliesi e la presentazione delle loro ultime opere: Pulsatilla (Giulietta Squeenz), Paola Barbato (Mani nude), Francesco Carofiglio (L’estate del cane nero), Lorenza Foschini (Il cappotto di Proust) ed una indimenticabile Flavia Piccinni (Adesso tienimi). Con notevole ritardo si dà il via alle danze: una presentazione dalla comicità deludente e zeppa di forzature per Pulsatilla, nonostante la garbata prefazione della sua entusiastica intervistatrice: per intenderci la stessa differenza che c’è tra una forma di estrosa cortesia ed un obbligo contrattuale. Sublime spettacolo teatrale per Francesco Carofiglio, forse proprio quel che ci voleva per attizzare le braci commerciali dell’interesse e soffiarci sopra: chi ha detto che la parola pronunciata e quella scritta sono cugine? Ad armonizzare il tutto una orchestra al femminile. Durante l’intervallo musicale Sara decide di andare a fare un giro in piazza per esercitarsi nella nobile e antica arte della repressione dell’odio. Da queste parti, che sono poi le mie parti, scelleratezza e nullificanza convergono spesso nel rituale dello struscio: orribili coppie schiave della loro maternità, gagliardi assessori fulminati sulla via di Montecitorio, un paio di granatieri femmine, il meglio dell’aristocrazia albanese e per finire una decina di schifide bancarelle. Sara si compra un gran pezzo di cocco e coglie al volo la ghiotta occasione di adottare un vibrione colerico, suscitando l’orrore del suo accompagnatore (chiariamo: in questo pianeta non mi trovo male, solo ritengo la mia collocazione del tutto fuori luogo). Dopo una dura contrattazione per accaparrarsi alla folle cifra di 4 euro una scatola di perline da donare a Geghe, Sara torna a sedersi in platea giusto in tempo per assistere alla presentazione di una giovanissima, magnifica, scrittrice tarantina: Flavia Piccinni. Come ci sono foto in grado di farti percepire persino l’odore della salsedine così ci sono persone capaci di sottolineare il tuo definitivo distacco dalla giovinezza in una manciata di parole. D’altronde chi è così saldo da non poter essere sedotto da una nostalgia feroce che continua a pungolarti il fianco? Allo scoccare dei trenta minuti concessi all’autrice Sara, fedele al suo destino di scialacquatrice, si dirige alla bancarella opportunamente posizionata all’ingresso e acquista senza esitazione “Adesso tienimi”, obbligando il suo accompagnatore a riportarla prematuramente all’ovile per trascorre la notte immersa nella lettura fino alle 4 del mattino. Un’opera straordinaria, questa della Piccinni, capace di spezzare il cuore e al contempo consolare grazie ad una autrice che coraggiosamente varca il limite (labile) che traccia il confine tra dipendenza e amore, senza mai cadere nella retorica, attraverso una prosa che sgorga intatta come acqua dalla roccia riuscendo ad amalgamare sapientemente in un avvincente testo-confessionale tocchi di dialetto, debiti e diossina di una generazione sospesa nella polvere dell’Ilva. Un romanzo che è anche (soprattutto?) la storia del dolore che c’è dietro ogni abbandono, raccontato con amore e sofferenza, per urgenza e necessità, attraverso personaggi a cui non si può fare a meno di volere bene. Se il valore di un testo si misura in base alle capacità evocative dei propri demoni allora sì, questo è uno dei migliori libri che io abbia mai letto. Beh, la scrittura è un sentimento potente. A volte.