S_CAROGNE

Qualcosa di grande


 (Non gioco più)Pomeriggio senza fretta all'ombra di un ulivo. Dopo pranzo dal sapore di déjà vu: adulti che, terminato il caffè, fumano, in evidente stato di relax, discettando sui temi più disparati e bambini restituiti al gioco dall'ultima fetta di anguria. Ho sempre ritenuto che nei momenti come questo immagazzino le energie vitali per affrontare il mondo esterno (dai colleghi alla tipa del call center passando per l'amministratore di condominio): intorno a me quiete, risate spontanee, api, odore di Puglia, venticello caldo, infradito, nessun programma per la serata. Qualcuno, in cerca di emozioni, desidera avere notizie sulla finale dei 100 m. Se non altro partirà un nuovo carosello di chiacchiere incrociate (è meraviglioso alzarsi con la scusa del limoncello e poi, appena in disparte, ascoltare i cinque discorsi simultanei che impegnano i miei commensali: valutazione comparativa fra uomo e animale più veloce, narrazione delle gesta eroiche durante un viaggio in Kenya, analisi del patrimonio genetico di una coppia in attesa di gemelli, depilazione: ceretta o rasoio?, quella volta in cui -causa disegno del simbolo fallico sul quaderno di Ale- la prof. di italiano punì un innocente...) Adocchio l'amaca, libera grazie al richiamo ai danni di pargoli non sotto la mia tutela. La bramo da giorni. Afferro le sigarette, un posacenere e il giornale e penso al surplus di forze che presto incamererò: saranno così tante che dovrò surgelarle. Urla giungono dal patio. Una madre riconoscerebbe quelle dei propri figli anche allo stadio. È la mia primogenita. Sono grida di giubilo condite da lacrime: effetto dell'inebriante sapore della libertà. Dopo aver pazientato a tavola, lasciando che la parmigiana, la carne alla brace, il melone e il gelato occupassero il suo campo visivo, ha raggiunto la bicicletta e l'ha domata, provando quella sensazione di leggera follia che è restata stampata nel nostro cuore: la più bella delle prime volte. È emozionante, davvero, perché è una cosa immediata, non è come camminare, leggere, innamorarsi, laurearsi, fare sesso di qualità: tutte cose graduali. E tutti noi volgiamo il pensiero ai nostri cinque o sei o sette anni: i discorsi sovrapposti convergono. C'è chi ricorda la Graziella verde, o il cugino sedicenne a reggere il sellino; Claudio vanta ancora una cicatrice di quei giorni, Giuliano parla della sensazione di onnipotenza provata in campeggio, Monica invece ricorda lo sconforto provato voltando la testa non vedendo il padre che credeva fosse lì e imputa all'episodio la sua scarsa fiducia nel genere maschile. Lentamente il discorso si biforca una e più volte, mentre la bimba pedala senza sosta. Io, in silenzio, fotografo con la mente questo pomeriggio di agosto.