S_CAROGNE

Letteral_mente


Dopo due mesi esatti (per la precisione sette settimane, durante le quali Sara ha vagato come uno spettro nell’afa della Grande Mela aspettandosi di incontrare Shakespeare e Virginia in qualsiasi sordido pub dell’hinterland barese) è alfine giunto a destinazione il sospirato giudizio dell’Agenzia presso cui era stata inviata La Creatura.Nell’effimera configurazione delle cose due imperiosi squilli di cellulare hanno anticipato il responso del tanto atteso oracolo letterario:  dietro versamento di  poche (*) centinaia di euro di pizzo solerti professionisti del settore hanno analizzato trama, plot (credo in gergo si dica così), personaggi, incipit, svolgimento e bla bla bla della nostra prima opera (ehm) letteraria. Risparmiandovi l’inutile ellissi contenuta in ogni formula di garbata cortesia il giudizio è inaspettatamente positivo, soprattutto quando fa riferimento alla scrittura brillante e godibilissima di Sara (Erba, cara, spero tu abbia letto con attenzione) e alla radicalità geometrica e simmetrica, seppur capace di impennate (MPF), della borghese Erba. Dubbi e perplessità sono state sollevate circa la parte finale giudicata in parte frettolosa (ma va’… provate voi a scrivere l’epilogo con una socia che vi concede udienza solo alle ore 23.30 del primo lunedì del mese) ed un episodio ritenuto leggermente fuori contesto (guarda caso le pagine che ritenevo esplicative al di là di ogni ragionevole dubbio: ho accolto il verdetto composta come Biancaneve nella sua bara di cristallo). Per dirla breve il dolore della scrittura, ovvero il parto letterario, sembrerebbe non ancora concluso dato che ci toccherà mettere nuovamente mano al manoscritto. PER L’ULTIMA VOLTA, dico a gran voce, al fine di convincere l’Erba a trascurare ancora il suo coccodrillo a forma di borsa per dedicarsi al ritocco della parte conclusiva, cercando in giro la voglia di ricominciare da capo in questa insignificante vita di laborioso insetto pseudo letterario. Lo so, lo so: la saggezza spesso si misura con la capacità di sopportare e l’incanto della lingua nasce dalle sottigliezze, perciò in tutto questo io continuo, per chetare il mio subconscio, a vederci qualcosa di dorato.  (*) Il “poche” riferito al centinaia di euro è motivato unicamente dall’aver usufruito della carta di credito (tu guarda un po’) del marito di Erba a cui forse sarebbe il caso di dedicare il libro casomai lo stesso, fortunosamente, vedesse mai la luce.