S_CAROGNE

E mi sento più sicura...


Le chiamano misure di sicurezza, altrimenti, misure di controllo. Credono che applicandole si sia più sicuri, appunto.E’ uno strumento di controllo sociale, che, a sua volta, è incanalatura della devianza. Ma cos’è la devianza? Chi la stabilisce? Ora, quella giuridica è tale perché la stabilisce il diritto. Bella soluzione! Alla fine, il diritto non fa altro che costruire la sua realtà, che adesso c’è e domani no.E allora scopro (l’acqua calda) che ciò che era deviato prima, non lo è oggi, nel diritto di oggi, intendo. E vedo che, alla fine, questo controllo controlla (perdonate il gioco di parole) ciò che decide sia per me pericolo, ciò che esso crede sia rilevante, sempre oggi.Controlla i rom perché stuprano e ammazzano donne, rubano e devastano (peccato che i reati degli extracomunitari in genere, quindi anche dei rom siano in misura – proporzionale - irrilevante rispetto ai miei amati connazionali).Controlla la strade con apposite telecamere che, però, se mi arriva uno dietro e mi ammazza, il massimo che se ne può ricavare è un bel filmino per Montalbano.Controlla e multa prostitute e clienti, e manda la letterina a casa per avvisare le argute mogli;  risolutivo, direi, verso chi ha soldi da spendere a prostitute e ottima idea per incrementare i guadagni degli avvocati matrimonialisti.Allora, forse il punto è un altro, o più di uno. Il primo è che dobbiamo imparare a razionalizzare e a non farci imbambolare dagli ottusi strumenti di comunicazione di massa che succhiano linfa dalle nostre paure e alimentano quelle future. Così come, dovremmo notare come, la paura sia per molti un gran bel business, meno che per chi la prova sulla pelle. Perché, in effetti, se mi piantano telecamere ad ogni angolo della città, se mi convincono che non posso vivere senza antifurto pure al cesso, o che sarebbe opportuno per me girare con uno spray anti-stupro nelle mutande, beh, forse, le industrie che producono strumenti di allarme e controllo sociale marceranno sulle mie ansie, o no?. Se poi ad ogni tg mi iniettano nel sangue la paura del vicino, dell’automobilista, dello studente, del manifestante, allora chiederò allo Stato di tutelarmi e metterò nelle sue mani Potere, mi assoggetterò. E lo Stato, che preferirà risolvere i problemi a valle, risponderà con le sue misure “di sicurezza”, appunto.Ma, sicurezza di cosa? Come si fa ad essere sicuri di un reato? Cosa vuol dire prevenire qualcosa che per il fatto stesso che devo prevenirlo, non posso essere certa che accadrà?Inoltre, carcerare l’omicida per trent’anni che comporta? Costi e rabbia. Dopo trent’anni il tizio esce e siamo tutti meno rabbiosi e contenti. E’fatta giustizia, diremo. STOP. Che ci abbiamo guadagnato? Nulla. Abbiamo perso da ogni punto di vista. Il tizio in questione non sarà certo stato rieducato, non a mezzo del nostro sistema penitenziario che, se gli va bene, lo lascerà così com’è. L’ “ei fu” non tornerà in vita dopo una pausa di riflessione. In più a tutti noi, compresi i parenti e prossimi dell’ucciso, sarà costato denaro mantenerlo in carcere senza rientro di alcun utile. Ottimo.Non sarebbe meglio, ad esempio, costringere il tizio in questione a lavorare presso la famiglia della vittima? Oso, non sarebbe per tutti più educativo?Argomentazioni paradossali, mi verrà detto. Argomentazioni di rottura, rispondo. Rottura di cliché. La sicurezza non esiste e le misure di sicurezza e di controllo, non controllano nulla. Esiste il rischio che è frutto di scelte, di azione, di un agire non castrato dalla paura dell’agire.Esistono rischi che possono essere evitati solo assumendo altri rischi. STOP. Tornata dal viaggio. Lapalissiano, vero?! Presto resoconti, succinti.