S_CAROGNE

Il lungo addio


(La notte era finita ma ti sentivo ancora)  Ho odiato per motivi assai complessi e amato per cause molto semplici: il familiare tepore delle abitudini, la mitezza del conosciuto o la rassicurante filigrana di due ricami che si intessono fino a diventare indistinguibili.Anche adesso che con paziente caparbietà ripercorro ogni giorno lo stesso ordito, mi sembra di stringere ancora la mano che ne ha retto il filo: esistono intrecci imprescindibili, e tu continui ad essere il più forte.Dovresti essere ricordo, a cui tornare con la calma di un momento prezioso, ed invece sostanzi con inequivocabile trivialità le mie giornate: un sempre nel mai, ma non so se – per questo – sentirmi meglio o peggio.Dovresti semmai guidarmi, se non nella direzione giusta, almeno verso qualcos’altro ed invece ogni volta che ti parlo torno a riscoprire l’appartenenza di me stessa a te, per chiara gemmazione di un amore che tuttora si ostina a non voler finire in polvere. Dovresti esser qui, a ricucire lo strappo del destino moltiplicato in giorni, ma forse vicino mi sei lo stesso perché, nonostante questa solitudine che ancora duole, qualcosa di te rimane ancora, qualcosa di così forte da chiedermi se sia tu quello che sento o solo l’orma del vuoto che hai lasciato. Quando mi tormento le croste alla ricerca dell’assetto più logico, del disegno più armonico, mi scalda il cuore conservarti come una reliquia nel drappo: si diventa gelosi del proprio dolore, a furia di crederlo diverso da quello di qualsiasi altro.Avevi ragione tu: le parole non restano mai senza conseguenze. Persino attraverso la nebbia delle emozioni grossolane e la burrasca degli smarrimenti le tue hanno ritrovato la rotta. Per loro, sappi, son approdata qui. E adesso aspetto.Cosa non so. Mi accontento, ci provo, ma vivere come se lo slancio della primavera potesse prima o poi riportare il fermento non è poi un così gran bel vivere in confronto all’amore assoluto, quello che non vuol trattare, l’amore estremo che eleva le anime in cielo e trascina i corpi sottoterra.  Mi hai amato nell’unico modo che avevi capito essere possibile: per questo non meravigliarti se adesso proseguo questa tua predilezione, quel sentimento strano di cui divento, saltuariamente, strumento. E come vedi continuo a prestarti ascolto: forse perché non posso fare altro, pur non sapendo fare nemmeno questo. Non c’è nulla di sorprendente: le tue parole sono quel che resta per raccontare un viaggio che si ferma giusto il tempo di ripartire e al cui ricordo il freddo della notte si fa tiepido al confronto. Ti avrei amato ancora.