S_CAROGNE

Sans coulottes


Se la vita frenetica della  City vi è venuta in uggia oggi ho da proporvi, come gustosa alternativa ai tornei di Subbuteo, un’uscita con Geghe, al fine di sollazzarvi in uno dei ritrovi religiosi più glamour dell’entroterra barese. E’ andata così: sembra che il nostro sia stato reclutato da un centro di accoglienza simil-clericale per effettuare semplici lavoretti (buttare la monnezza, trascinare stracci, distribuire profende e così via) e che il progetto lo entusiasmi così tanto da costringere i suoi due più cari familiari (mi impressiona definirci così ma sto parlando di me e Jay) ad accompagnarlo ad una sorta di festicciola organizzata per raccattare palanche. Come Cristo, che si è fermato ad Eboli (e qua non è arrivato) Sara ha cercato di opporre resistenza ma il regime di razionalizzazione alimentare (per dirla con eufemismi cari e sintonici al governo Silvio) che vige in casa 1971dal momento in cui è giunta l’ultima gagliarda multa ad opera di Jay, ha spinto i due ad accettare l’invito. Alle 21 i tre si incamminano con la Saramobile. Geghe con una barba nera da muezzin destinata a  crescere finché non vi si annideranno le zecche (e forse anche dopo), Jay, che per non sbagliare sceglie di indossare un pigiama, Sara lontana anni luce dall’ipercromia del maquillage che aveva caratterizzato l’ultima uscita con Sua Eminenza (a proposito: e pensare che stavo quasi per dargliela). Arriviamo. Il rinfreschino è offerto dalle suore in una sorta di triste sagrestia allargata: un cocktail di etnie rende l’atmosfera nella caverna così allegra che quasi non ci si accorge dei ghiaccioli che si formano nel momento esatto in cui espiri quello che, ad una prima impressione, sembrerebbe essere il tuo ultimo afflato. Sara si ritrova così a collaborare nei preparativi per la cena, misurando il suo nervosismo dal ritmo dei denti trituranti caramelle alla cannella fatte dalle manine sante delle adepte.La sindrome del “Chi l’ha visto” che è in me è così forte che ad un certo punto ho creduto di riconoscere tra gli astanti uno psicolabile scomparso da tempo, ma temo fossero solo i vapori del primitivo (il vino, non l’uomo) di cui ho approfittato per l’intera serata. L’incrocio dei venti porta fino alla sottoscritta il forbito dialogo tra Jay ed una delle suorine (fino a quel momento asessuata) ovvero la dimensione della cepparda, un cruccio che a volte assume in lui dimensioni preoccupanti. Nel frattempo il cinghiale che avevo quasi investito appena arrivata (e che poi è risultato essere un cane con la tigna) viene ad elemosinare ai tavoli del buffet. (Alla proposta di una delle religiose di prenderlo con noi Sara ha risposto con un ruggito, una sorta di rigurgito di bestemmia che probabilmente le sarà valso la fatica di 4 Pater Noster prima di andare a letto). Dopo un paio di ore di geloni l’accordo è stipulato: Geghe rimarrà in prova con le suorine per un mese, poi si vedrà. L’annuncio viene dato agli astanti nella calca del buffet, che pur non capendo una cippa di italiano, intuiscono si tratti di un lavoro. Mentre Sara pensa “adesso ribaltano i tavoli” loro invece esultano, e suggellano l’intesa con esclamazioni proferite in una decina di idiomi diversi, il tutto mentre lì fuori, l'Italia più razzista che si sia mai vista, si rifiuta di prestare orecchio alla voce di chi, nel nostro BelPaese, ci è arrivato sudando.Conosco troppo gli uomini – diceva Rousseau – per non sapere che spesso l’offeso perdona, ma l’offensore non perdona mai.   Postilla: Dopo questa riconciliante notte di luccicori mi son svegliata in una casa (la mia, che nei primi istanti non ho riconosciuto) che sembrava un oratorio con tanto di leggiadro scampanio e zaffate di un odore sconosciuto che mi entrava nelle nari. Era Geghe che bruciava incensi alle 6 di mattina. Siamo al paradosso per cui ciò che mi tiene incollata alla vita reale è il blog. Perché magari se mi sfogo qui, sarò capace di fare meno danni nella vita reale (ho detto magari, ma già so che ne farò qui e lì). Ora per favore genuflettetevi e vi benedirò.