S_CAROGNE

Amore disperato


 Amore disperato (Unloveable) Fu una ragazza allegra di nome Gilda ad accostarmi a quella che si rivelò presto essere la mia band preferita. Certo, a lei piaceva ballare Big mouth strikes again. A me non solo: mi incuriosivano prima (e incantavano poi) i testi, infatti il mio attuale conoscimento della lingua inglese lo si deve ai lunghi pomeriggi estivi trascorsi senza Facebook davanti alla libreria con i vetri opachi - che ben celavano i difetti della pelle e il maglione fuori moda - cantando a squarciagola i testi di Morrissey, finché come tarantolata mi accasciavo sul divano, con Snoopy o il telefono in mano. Tentavo senza successo anche di erudire le mie compagne di classe, ma cosa potevano capire dall'alto di una Naj-Oleari? Soffrire, questo è ciò che resta a un adolescente cerebro munito. E loro, The Smiths, ti concedevano di farlo a suon di musica, in compagnia, seguendo le pause, i gorgheggi e l'ironia del leader. Ammetto che, talvolta, oggi, mi sento vecchia: non soffro più come un tempo. Ora, come dire, la sofferenza è più circostanziata, delimitata, motivata. Allora no: era globale, estesa all'universo conosciuto, per quanto illusoriamente coincidente con la mia cameretta. Sofferenza panteistica, non sollecitata o destata da una causa scatenante. Dolore, tristezza, spleen. Ora: odio i fannulloni, gli sciatti, gli ingrati, e il massimo della trasgressione da me conosciuta è ritrovabile in un garage con finti dark a svomitazzare vino di pessima qualità con qualche canna a giro. Loro, The Smiths, non pretendevano di più da me. Ragazzi puliti, Ordinary boys, ossessionati dal goffo impiegato, dalla periferia, dal grigiore del vano annaspare alla ricerca di una ragione buona per alzarsi, in mezzo a tanta ipocrisia, a tanto sangue sparso per mangiare ogni giorno bistecche. E poi c'era la lirica dell'amore per la ragazza della porta accanto o per il ragazzo effeminato o per qualche maledetta creatura bellissima e crudele che rapisce i nostri pensieri di notte e ce li restituisce l'indomani pieni di passioni troppo violente per i nostri cuori deboli e ancora bisognosi, tremendamente bisognosi, di un affetto che le nostre mamme hanno a lungo caparbiamente custodito nei loro imperscrutabili (protettivi?) silenzi. Disperati, annichiliti, ma incredibilmente vivi, anche quando il suicidio sembrerebbe l'unica via percorribile. Ottimisti alla base. Certo, il fatto di non comprendere o non conoscere i testi consente anche di ballare. A volte si può finanche fingere leggerezza per sopravvivere, per essere accettati dal gruppo e vedere sorgere nuovamente il sole (e, perché no, anche per trovare commovente cotanto spettacolo) . Tranquilli: ci sarà tempo e modo di piangere in silenzio nelle nostre case borghesi, ascoltando rumori monotoni provenienti dall'esterno, incapaci di tradurre in fonemi il nostro malessere... Questo, e molto altro, è Morrissey.Sfatta dopo il solito tran tran (sveglia alle sei, bimbi, lavoro, sms, spesa, blog, lavoro, cena, rituali nanna, lavoro non retribuito fatto di penna e sangue) apprendo dal mio amato marito che il 13 e il 14 luglio Morrissey uscirà dal sarcofago nel quale lo pensavo custodito insieme a Keats e suonerà a Rimini. Vai. Certo. Glielo devo. Il minimo che io possa fare è andarlo a ringraziare. E quell'incoscienza di cui mi sono dimenticata troppo a lungo negli ultimi vent'anni mi ha pervasa, facendomi acquistare il biglietto on-line. Prenderò un treno e arriverò appena in tempo per mischiarmi con la folla della Riviera Romagnola. Poi tornerò di notte, non so se provata, sollevata, divertita o pentita. Sarà bellissimo. Ci saranno altri come me, lo sento. Piangeremo insieme ascoltando I know it's over: sarà un'orgia di depressione. I suoi versi ci scorrono nelle vene da anni, dovrà ammettere di non aver compreso così a fondo i testi neppure lui. Forse non sarà il miglior concerto della sua vita. Forse. Si tratta pur sempre di lavoro. Se mi guarderà negli occhi, però, si impegnerà. Capirà che si tratta di una forma di amore, comprenderà che ho cercato di evocarlo in molti momenti critici, che se non fosse dichiaratamente gay da sempre lo avrei sposato. Insomma: mi aspetto un bel concerto. (E poi sarà troppo divertente inviare sms alla mia migliore amica... o non farlo...) CI VEDIAMO AL VELVET (mi riconoscerete dalla maglietta!)?