S_CAROGNE

Graffi


Piove e si è alzato vento forte. Ho freddo, ma resto accovacciata qui. Le mani toccano la terra bagnata, la gonna si inumidisce. Lo sguardo è perso in un punto, una piccola fessura di luce nel muretto a secco. Cambio stagione sulla pelle. Autunno dentro lo stomaco.Nel mio giardino segreto coltivo rovi. Uno risale ai lunghi anni dell’infanzia, al grembiule inamidato e pulito, alla perfezione di un diario comune a tutti. Alla preparazione impeccabile delle lezioni, alla voce bianca nel coro. Alcuni ritenevano fossi secchiona per narcisismo. Io ho sempre pensato di esserlo per bisogno degli altri. Sono sempre stata in gabbia.Un altro rovo ha nome diversità. E’ quello più resistente, quello che cresce nonostante vari tentativi di reciderlo. Mi accompagna la notte, mentre cammino addossata ai muri, mentre cerco rifugio nell’ombra, nel silenzio dei miei passi, costantemente profughi. Punto nero tra colori, finti.Il rovo della quotidianità è una maschera. Ho abbandonato la mia vita imperfetta per collasso. La mattina quando mi sveglio mi accascio su me stessa. Il sonno mi aiuta ad allontanarmi per brevi periodi da una realtà altrui. Non ho quasi mai fame. Dormo e basta. All’inizio era dura, la vergogna forte. L’esistenza persa. Poi, il senso di morte invade lo spazio e anestetizza sensazioni umane che non sono gradite a chi più che creazione umana è installazione personale. Non sono gradite a me.C’è un rovo di nome Matteo. Cresce vicino ad un barile. Era pieno d’acqua il giorno in cui cadde dentro, annegando. Avevo sedici anni. Matteo due. Piove e si è alzato vento forte. Ho freddo, ma resto accovacciata qui. Le mani toccano la terra bagnata, la gonna si inumidisce. Quando il cielo è grigio, i rovi appaiono più neri.Ingoio chicchi di caffé e petrolio. Mi alzo. Cammino.