S_CAROGNE

"Così non può continuare".


Cinque e mezzo e c’è ancora luce.Le frasi se non le scrivi subito volano via. E’ un trucco del cervello per restare libero. Ci casco sempre.E i cadaveri se non li abbandoni restano impigliati tra mano e gola e pesano, mentre percorri la riva del fiume in cerca di sassi lisci per il rimpiattino.Le parole che non puoi più dire, invece, sono come perle da ingoiare una a una. Bianche. Le senti mentre attraversano lente l’esofago e se porgi l’orecchio nel silenzio della notte, potrai udire il rumore che fanno quando, come gocce di lutto, si accatastano fredde nello stomaco.All’alba ti ritroveranno distesa sul tuo sontuoso letto di chiodi, traboccante messaggi di mare e con un gran sorriso sulle labbra, come se l’avessi fatta a tutti!La richiesta continua è di essere nuova ed eterna araba fenice. Accade, tuttavia, che la coltre di cenere sia così spessa e pesante, da impedire ad ali deboli di attraversarla. Così, ci si rintana tra un impalpabile e rassicurante grigiore in attesa del prossimo turno, della prossima mattinata di sole.Le nove, le dieci, le undici… Intanto, l’infinito si distrugge in mille, fugaci, giustificabili carpe diem, in sorrisi sorprendenti che non saziano la tua bulimia d’affetto… e non ti accorgi (o forse lo desideri) di perdere la responsabilità del tempo, della cura, della lievitazione lenta.Sei al porto. In attesa della tua nave di libertà, del tuo respiro rinnovato. Aspettami, ti raggiungerò presto... sono a casa che mi confondo tra gli stracci di me, fingendo di preparare la valigia. Eppure, ti giuro, non appena lo ritrovo… quel cappello a falda larga, quello che ho comprato a Berlino, in quel negozietto di robe usate… Sì, non appena lo ritrovo, lo indosserò e fiera di me correrò incontro a te: il mio specchio.“Quando l’esaltazione si è spenta, io sono solo più ridotto a fare della filosofia spicciola: la filosofia della sopportazione (dimensione naturale delle vere fatiche). Subisco senza adattarmi, persevero senza abituarmi: sempre sconsolato, mai scoraggiato; sono un pupazzo Daruma, un misirizzi senza gambe a cui si danno continuamente dei buffetti, ma che alla fine si ritrova sempre in piedi, grazie ad un equilibrio interiore (ma qual è il mio equilibrio? […]). E’ ciò che dice una poesia popolare che accompagna questi pupazzi giapponesi:Così è la vita:Cadere sette volteE rialzarsi otto*Sei e quindici e c’è ancora luce.* Barthes, R. "Frammenti di un discorso amoroso", p. 117.