S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
AREA PERSONALE
Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
Cazzaturificio: esperienze e profezie di sfiga
Sliding Doors
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La strana coppia
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Sliding doors 2
Maledetto di un gatto
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Cazzaturificio 2
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La finestra sul porcile
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Mestolo d'oro 2
Mestolo d'oro 3
Mestolo d'oro 4 La giusta regolarità
Mestolo d'oro 5 L'idraulico
Mestolo d'oro Dessert
Filo D'Oro
Mestolo d'oro La prova del cuoco
Post n°786 pubblicato il 17 Aprile 2015 da erbavoglio_70
“Se tutto può diventare banale, tutto può ridiventare meraviglioso. Che cos’è il banale se non il meraviglioso fatto decadere dall’abitudine?” (Uno di quei giorni in cui è comodo avere un'amica. ) Il flusso rassicurante, e tutto sommato indistinguibile, di giornate caratterizzate da tenerezze, telefonate, racconti, orgasmi e... è interrotto. Povero cuore - un tempo così viziato dall'altro! -ridotto al suo mortificante ruolo di organo vitale. Immagini multiple e sfavillanti (forse mendaci), immagazzinate per anni, sono finalmente analizzate con gli occhi di un passante. Qualcosa determina un brusco cambiamento di rotta. È un momento drammatico, per una storia. È il caos. La quiete. Inevitabile un po' di ebbrezza, si attendono novità: è l'emozione per un viaggio, per un pacco a sorpresa, per una lettera inattesa. Arriva la rivelazione che sì, in quegli anni trascorsi curvi su una persona (una!) - chissà poi perché lei e non un'altra -, il mondo ha continuato irrispettosamente ad esistere, non si è fermato estatico a guardare lo spettacolo. Possiamo scegliere di (ri)salire sulla giostra o di reclinare sdegnosi la testa e concederci un periodo di lutto, o di meritato riposo. Ci attendono, insomma, novità. Non cose eccezionali, forse, ma cose delle quali avere la massima considerazione, profondo rispetto. D'accordo, è accaduto un sacco di volte, ma guardate che non è un momento da banalizzare. Nuovo è il modo di andare a dormire, di fare l'amore, di abbandonarsi ai sogni, di svegliarsi, di controllare l'e-mail, di scegliere un vestito, di organizzare la giornata, di relazionarsi con gli altri. Sì, ma prima? Cosa è successo? Fermiamoci un attimo prima dell'interruzione. C'è qualcuno in sala macchine che, resosi conto del lavorio sommesso di un gruppo numeroso di Lillipuziani, dice “Basta!”: è il momento della decisione, l'effetto di qualcosa non facile da descrivere. Svariati impulsi partono molto tempo prima, incontrollati, sensibili e autonomi, li crea quasi il nulla (mentre la persona che ne subirà le conseguenze è lontana, o semplicemente distratta, è inconsapevole, anche se forse uno strano presentimento, subito scacciato dall'imponente mole di parole d'amore dette negli ultimi mesi, la pervade, disturbando il suo sonno). Ebbene, a un certo punto (sì, ma quando? Dio mio come è meraviglioso l'animo umano!) è chiaro che rienne va plus. Attenzione. L'altro, ancora, è inconsapevole. [Interessante quello che dice Baricco della cartina della Francia in una delle Palladium Lectures!] Nonostante la forte imprevedibilità dell'evento tutto, qui non ci sono molte alternative. Per quanto la cosa vi annoi profondamente, dovete avvisare l'altro, renderlo partecipe del fatto che il bozzolo si è rotto, che il modo in cui si vogliono fronteggiare le emergenze è cosa del tutto personale, ma che insomma ormai non c'è più nulla da fare, ci sono processi i-r-r-e-v-e-r-s-i-b-i-l-i. Questo è l'aspetto più creativo (sì, lo è!) e crudele della nostra esistenza. Irreversibile, una parola tremenda per quelli un po' codardi, poco propensi al rischio. Irreversibile, che paura! Verrebbe voglia di chiedere un po'di grazia. Si potrebbe fare una prova, un tentativo e poi...? No, non è possibile, lo sapete. Ribadiamo: irreversibile, anche perché il problema – forse - è solo vostro. Sempre così propensi al dramma e al rigore, all'uso delle definizioni. Ma qui non siamo a scuola E lo sappiamo tutti che per sempre detto ha un significato diverso da per sempre scritto. Oppure, concentriamoci sulla opportunità di dire Ti amo. E che ci vuole? Non è mica – questo - un processo irreversibile! Ditelo, cazzo. Cosa vi costa dire Ti amo? Va detto. A un certo punto va detto, altrimenti si scoraggia l'avversario. (Sì, avversario. Perché di questo si tratta, perché è altro da voi, perché vi può ferire, e lo farà.) Ditelo, perché non si può essere originali a tutti i costi. Il fatto che voi non riusciate a dirlo - o a sentirlo dire - senza che vi pervada una strana sensazione (quasi che certe parole possano essere pronunciate degnamente solo da Darcy per mano della Austen), che voi pensiate di non essere ancora sufficientemente evoluti, o che voi non siate in grado di firmare un per sempre perché è un atto irrazionale, e avete ragione, beh, insomma, è un problema vostro. (Potete prendere fiato.) |
Post n°785 pubblicato il 07 Aprile 2015 da sara_1971
Nel mio personale Somario (il compendio delle asinate fatte da Sara) finora mancava l'organizzazione del funerale altrui. No, non perché abbia già organizzato il mio e no, non perché non abbia mai subito lutti(anzi, proprio in virtù dei miei trascorsi vengo spesso convocata come problem solver mortuaria). Però non avevo mai sperimentato il piacere (si fa per dire) di organizzarne uno senza esserne minimamente coinvolta. Almeno in teoria. Prologo Squilla il cellulare e decido coraggiosamente di rispondere nonostante il numero apparso sia quello di Geghe. Geghe: Ciao,senti ho un problema. Io: Immaginavo. Dimmi veloce ché sono in partenza (bugia, semplicemente dopo anni di tirocinio con Jay ho fatto mio il classico approccio del tossico verso i creditori). Geghe: Come si fa quando hai un morto? Io: Ascolta,sei già in questura? Dimmi che ci stai andando spontaneamente. Non preoccuparti, tanto lo sappiamo tutti che non l'hai fatto apposta. Geghe: In questura devo andare? Io (calma,calma, non farlo insospettire, potrebbe scappare): Ehm, dove sei? Geghe: A casa di zia Giuseppina. Te la ricordi? Pare sia morta. Sara(notevolmente sollevata): Ah ok, ok. Arrivo. Svolgimento In effetti è morta la novantenne zia Giuseppina e le prefiche vicine di casa hanno ritenuto saggio avvertire il nipote. Non so quanto stretti fossero i rapporti di sangue ma Geghe è l'unico individuo più o meno consanguineo sotto l'ottantina perciò l'organizzazione della tumulazione gli è stata assegnata d'ufficio. Quindi per la proprietà transitiva delle rogne è stata assegnata anche a me. Come vedete certe eredità non smettono mai di fruttare (sich). In questi casi la cosa saggia sarebbe scappare, sappiatelo, perché l'alternativa è quella, meno allettante, di recarsi presso una Agenzia di Pompe Funebri insieme a Geghe. Delle due,purtroppo, la seconda. Ci accoglie un addetto al front office serio, discreto, impassibile. 'Come si chiamava la defunta?' ci chiede con professionale compassione. Giuseppina –rispondo io. Maria –risponde Geghe. Io: Maria? Geghe: Maria era il nome di battesimo. Io: Sei sicuro? Non è che facciamo come con tua nonna?* Geghe: Maria, conferma lui deciso. L'addetto continua impassibile: Cognome? Silenzio Io: Non ha il tuo stesso cognome? Di Bari? Geghe: No,assolutamente. Io: Può essere Ferrante, quello di tuo cugino? Geghe: Non credo perché non aveva sorelle. Io:Sforzati. Era parente da che parte? Seguono dieci minuti di concentrazione in cui all'addetto, un po' meno impassibile, viene il dubbio che stiamo cercando di occultare,anziché seppellire, un cadavere. Io: Allora? Non puoi chiamare tuo padre? Geghe: Io con quella merda non ci parlo. Altrimenti non avrei vissuto a casa tua tre anni, non credi? Giusto. Altri cinque minuti di silenzio. Geghe: Mi sembra fosse Abbrescia. O Abbinante. Però secondo me è Abbrescia. Addetto: Le sembra o ne è certo? Geghe: Facciamo Abbrescia. Nel caso fino a che ora si può cambiare? Perché altrimenti metterei Maria Giuseppina Abbinante Abbrescia, per non sbagliare. A quel punto l'addetto, ormai certo lo si voglia fregare seppellendo due defunte al prezzo di una, passa ad illustrarci le varie opzioni con i relativi prezzi. Geghe, ovviamente, sceglie le soluzioni più costose. All'uscita sorge spontanea la domanda delle domande: Scusa, giusto per sapere,con che soldi pensi di pagare tutto questo? A cui segue, naturalmente, la più terrificante delle risposte, quella in pieno stile Via col Vento, per intenderci: Non lo so, poi vediamo. Corpus Domini Alle 5.45 passo a prendere Geghe perché la messa è fissata alle 6.30 della mattina. La chiesa è libera solo a quest'ora: dev'essere pieno di morti, qui in giro. Vabbè, è anche pieno di chiese, ma si doveva andare proprio in questa qui, la più grande, la più costosa, la più adatta ad accogliere l'orda di pellegrini che arriverà in occasione della celebrazione. Infatti siamo in 7: a parte me e Geghe ad appassionarsi alla funzione sono le prefiche vicine di casa, due marocchini (ignoto il motivo della loro presenza) e la sorella di Geghe che, per inciso, non parla con il fratello da circa 15 anni. Ecco un'altra inquietante analogia familiare tra me e Geghe: questo per dire che no, gli amici non si scelgono a caso. Una delle prefiche pensa bene di fare a Geghe la stessa domanda che ho in mente io da due giorni, ovvero con che soldi verrà pagato il funerale, aggiungendo una chiusa che la dice lunga sugli oneri mortuari:'Questi qui ti lasciano in mutande, io sono stata fortunata: mio padre è morto in mare e non l'hanno più trovato'. Epilogo Due giorni dopo la messa Geghe si presenta a Casa_1971, come ai vecchi tempi. La differenza è che adesso non ha le chiavi ed è costretto a bussare.(L'altra differenza è che oggi in Casa_1971 ci vive anche l'ultimo, imbestialito, esasperato ex di Sara ma tralasciamo perché è una storia lunga e poi si fa tardi). Ad una prima occhiata sembra solo. Ad una seconda mi accorgo che porta con sé una scatola di cartone chiusa con lo spago. Ora. Se c'è una cosa che ho imparato dal mio passato animalista è che in una scatola di cartone ci può essere qualsiasi cosa. Niente, più di questo, può servirti a ricordarti il mistero dell'esistenza. L'imperscrutabilità del destino. L'indeterminatezza della nostra misera vita. Se ti va bene dalla scatola può uscire una iguana con la diarrea. Se ti va male un vampiro con la rabbia. In ogni caso non c'è modo di saperlo, se non quando è troppo tardi. Nello specifico è già troppo tardi se Geghe è davanti alla porta di casa e ti dice: Senti, ho un problema. Io: Non lo voglio sapere il problema. Geghe: Io mi prendo i gatti ma non vanno d'accordo con lui. I gatti vivevano in casa e lui in garage. L'ha lasciato scritto Zia Giuseppina di non tenerli insieme. Ma io non ce l'ho un garage. Io: Per caso Zia Giuseppina ha lasciato scritto anche che devi chiedere a me i soldi del funerale? Geghe: No,no, tranquilla, ha lasciato i soldi. Giusti giusti. Io: Ma vedi che fortuna. Che bestia è? Geghe: E'solo per qualche giorno. Io: Avevo fatto un'altra domanda. Qualche giorno quanto? Geghe: Una settimana. Ho già trovato la sistemazione. Io: Sappi che tra una settimana te lo porto e non mi prendo i gatti. Quanto è malato? Geghe: Sta benissimo, è molto simpatico, guarda. E ha tirato fuori una palla lucida dai tratti caucasici e il manto dorato. Beh, almeno carino è carino. D'istinto ho preso in mano la creatura mite per eccellenza: il criceto. E lì è stata la fine perché la belva ha affondato due trivelle all'uranio impoverito nel mio indice sinistro. Ho visto scorrere la vita davanti a me. Per carità, un cortometraggio alquanto deprimente -soprattutto perché terminato con una visione di morte in una tagliola per orsi - ma che comunque non mi ha impedito di far roteare il mutante caucasico in aria e farlo staccare dal mio dito con l'aiuto della forza centrifuga. Geghe l'ha preso al volo cercando pure di giustificarlo mentre io sono corsa in cucina lasciando una stria di sangue sul pavimento. Dire che ho trascorso due ore con il dito nel congelatore è improprio. Piuttosto bisognerebbe dire che ho lasciato nel congelatore il dito (di cui peraltro ancora oggi non ho più coscienza) e ho trascorso due ore ad insultare Geghe, il criceto, Zia Giuseppina, le prefiche e quello stramaledetto giorno in cui è iniziato tutto ciò. E guarda caso anche quel giorno lì c'era di mezzo un funerale. Il fatto è che l'universo non smette di mandarmi segnali e io, bellamente, continuo ad ignorarli. Mortacci mia. P.S. Etologico: Dopo attenti studi sembrerebbe che il criceto non vada d'accordo nemmeno con i cani. E infatti attualmente vive in una gabbietta posta sopra l'armadio da una versione particolarmente previdente di Sara. L'importante è che io mi ricordi di chiudere a chiave la stanza del criceto, quando esco, perché dopo millenni di evoluzione i cani hanno deciso di invertire il trand e si sono scoperti capaci di salire sugli alberi (e non solo) pur di fare conoscenza con il nuovo ospite. Coraggio, mancano solo 5 giorni. *Questa vela racconto un'altra volta, magari appena il reato cadrà in prescrizione. |
Post n°784 pubblicato il 24 Marzo 2015 da delilah79
Doveva essere una piacevole serata di gaudio, festoni colorati, palloncini e candeline. Ricapitoliamo: Ore 21.35, telefonata tattica: sondiamo le acque. Decido, quindi, di sfruttare a mio vantaggio questa duplice natura, altrimenti detta disturbo bipolare, della quale io e il mio compagno soffriamo e passo alla proposta/regalo last minute. Fase 1: Bene, sarò franca: potevo fare molto di più, ma si sa, mai tirare troppo la corda con una donna di porto come me, altrimenti, dall’impegno a festeggiare, si passa al rutto libero in faccia. Una volta focalizzato il problema e una possibile risoluzione, richiamo il mio uomo e, molto festante, gli dico: “Amore, sono stata alle prese con il lavoro, scusami (sono disoccupata, lo sa, ma sa anche che ultimamente Lu Pinu te l’osteria è il mio maggior confidente), facciamo una bella cosa? Chiama XY, ordina il Sushi che ti piace tanto, dai! Lo mangiamo stasera e brindiamo!” e lui: “Ma il sushi è caro!” e, a questo punto, il divario: -quello che vorresti dire: Sì, costa un sacco, io non ho un euro in conto e tutto per del pesce crudo, un po’ di zenzero e qualche alga, ma, cosa mi faccio venire alle 21.38, negozi chiusi e senza poterti dire: mi sono dimenticata! ? E ordina anche da bere che è chiuso pure l’indiano e non so dove minchia comprare una birra a meno di un euro! -Quello che dici: Ma dai che problemi ti fai? Offro io è il tuo compleanno, no? Ordina tutto quello che vuoi. E non mi fare trovare 10 pezzetti, altrimenti mi incazzo! Stasera è il tuo compleanno: SI FESTEGGIA! Si vive una volta sola. Ah, Amore, ricordati di chiedere di quella buona birra che hanno loro, che lega tanto bene, io avevo pensato a una bottiglia, ma ci sta davvero male, sai quel rosso che bevemmo in quell’occasione speciale… Non va, vero? L’avevo detto io. Dai, lo beviamo alla prossima. Appurato, a questo punto, che i tre anni di teatro sono valsi a qualcosa, mi precipito a casa, prendo la Cane e senza neanche il tempo di una pipì, riprendo la strada sotto i piedi e arrivo dal mio uomo. Giubilo, entusiasmo, euforia come quello di colei che attende dalle 00.00 questo momento. Bene, ecco il momento verità, quello che da solo mi permetterà di risorgere dalle ceneri della dimenticanza, per immolarmi sull’altare dell’amore incondizionato: IO DETESTO IL SUSHI. Non ne capisco la ragione, il gusto, il senso. Mangiare pesce crudo schiacciato su riso insapore, arrotolato con alghe color catrame e con qualche appiglio “saporito” da ricercare nel Philadelphia, con zenzero rosa e wasabi sapor benzina. Lui festante. Obiettivo raggiunto, passiamo alla fase due: Amore, finisci tu, a me non va, SONO PIENA! Sì, lo so che ne ho mangiati pochi, ma da quando sono a dieta mi sazio subito. La cena termina, il prezzo è pagato, lui è soddisfatto e satollo. Ore 23.49 – fase tre: Amore, porto giù La Cane, torno subito. No, non tardo. Ore 23.58: Non so come vi chiamate, non so chi siete, ma vi giuro, nel momento in cui ho addentato il rustico caldo del Cin Cin Bar (lo consiglio) ho amato tutti voi. Ore 00.20 – La cane, mia complice, va a cuccia silenziosa. Il compleanno è finito. Ho lavato i denti: non lo scoprirà mai. Ore 10.30 del giorno dopo. Mi alzo, porto giù La Cane, torno con un vassoio carico di dolci che LUI adora. Confesso. Ride di gusto. Ho mangiato Sushi per la prima volta a Milano, tanti anni fa, con non so quale dei miei ex. La serata finì in una focacceria. |
Post n°783 pubblicato il 07 Marzo 2015 da erbavoglio_70
Se siamo qui, a scrivere, a leggere o commentare, o meglio se ognuno di noi è in un suo “qui” e non contemporaneamente, ma ognuno alla sua “ora”, forse è perché siamo eventi simili del nostro spaziotempo. Ci incontriamo per caso, scambiamo un'abitudine per una necessità, cerchiamo ossessivamente un contatto, oppure – delusi, stanchi - restiamo isolati per anni, quasi intimoriti dal fuori, finché lasciamo che il sole ci attiri ancora... Confesso di sentirmi a disagio sempre più spesso: mi sembra che l'ansia di apparire, comunicare, esserci, sottragga troppo tempo ai vivi e ai morti, alle domeniche stesi a letto senza fare nulla, al silenzio. Connessi, sincroni, con le dita e gli occhi in perenne movimento, apparentemente liberi, attenti ai segnali che un altro (individuo o gruppo) invia attraverso un nuovo codice, fatto di orari, parole, simboli. Una come me è spesso definita vintage, così almeno circoscritta da una definizione, in compagnia di altri degni dello stesso aggettivo, sembro meno sola, meno triste o, chissà, pericolosa. Eppure ci ho provato: pur circondata da numerosi electronic devices, adoro scrivere la todo list sui fogli del mio taccuino, a matita, annusare le pagine ingiallite del dizionario cercando forse un'immagine ancor più che una parola,conservare ritagli di giornale, passeggiare sotto la pioggia pur di vederti per venti minuti. Sì, lo so: avrei potuto contattarti/inviarti/allegarti qualcosa, ma il tuo sguardo velato da uno schermo non mi emoziona (Will your eyes still smile from your cheeks...) Le fotografie, le poesie, le canzoni, le immagini o le vignette che rappresentano qualcosa per me, di me, le conservo gelosamente, ne faccio dono solo ad amici selezionati per affinità elettive. Uso, è vero, le faccine, per non essere accusata di essere troppo seria: e così, per esserlo q.b., senza sentirmi idiota, mi limito all'uso di quattro o cinque di esse. In cambio, i conoscenti, quelli che incontri ogni giorno tuo malgrado (brave persone, per carità), felici di “creare un gruppo” per ogni motivo, di “cambiare stato” e di usare con estrema disinvoltura la grammatica italiana, inondano le mie giornate di simboli colorati, la versione Disney del geroglifico. Perché cercare il simbolo della tazzina per chiedere di prendere un caffè? Mistero, ma va bene: di oggetti si tratta. A volte può anche essere divertente: un piccolo rebus (ad esempio quello di Ilaria per dire “Cinquanta sfumature di grigio”), ma per tutto il resto, no. Proprio no: il bacio con il cuoricino, cosa credete, si invia all'amica di una vita, alla rappresentante della classe di vostro figlio, a vostra cognata, all'ex... O quei pacchiani cuori rossi? Credete che vostra figli li invii all'uomo della sua vita?! Sarò catastrofista, ma sono preoccupata: prima di dire qualcosa a qualcuno ci pensavamo bene, così bene che imparavamo un paio di discorsi perfetti, con tutti i congiuntivi a posto, ma poi, anche se eravamo profumati e indossavamo i vestiti migliori di nostra sorella, la voce si faceva tremula, le mani sudavano, arrivava qualcuno a interrompervi... “Chiamami, ok?” Chiamarlo non era cosa da poco: a casa c'era troppa gente, quando finalmente uscivano anche lui non rispondeva... Una due tre volte, gli stessi numeri ripetuti sulla tastiera, in un'epoca in cui i numeri primi erano ancora importanti. |
Post n°782 pubblicato il 27 Febbraio 2015 da sara_1971
Tutto qui è instabile: ti piacerebbe. Le scale non hanno la balaustra affinché si possa sperimentare l'ebrezza delle vertigini dopo tre bicchieri di vino. Il pavimento scricchiola e gli infissi sono pieni di spifferi e ciò torna utile nel cuore della notte, quando qualsiasi cosa è possibile fuorché dormire.Dappertutto vige un'aria di fragilità ed incertezza come per lasciare il posto alla speranza che l'ennesimo cattivo pensiero possa dissolversi come questa casa. E' proprio il fatto che questi oggetti stiano in piedi a malapena che mi affascina. La maniglia della porta spesso mi rimane in mano. Finora sono sempre riuscita a riattaccarla ma il moncherino sopra la serratura mi minaccia come il dito di mia madre: incapace di badare a se stessa! Quaggiù ogni cosa domestica tende a vivere al limite. Il frigorifero va al massimo ma il latte dura appena due giorni. Sotto la doccia si rende necessario aprire solo il rubinetto dell'acqua calda acciocché il getto esca appena tiepido. Il riscaldamento è fiacco e non riesce a contrastare la muffa che si espande rigogliosa. Come se non ci fosse più possibilità di andare oltre, come se il motore avesse già passato il massimo dei giri. Questa piccola casa tremolante gronda fatica da tutti i muri. E' esausta, non sembra neppure vera, e nemmeno io lo sembro più. Forse per questo mi sento così a mio agio, qui: è tutto fuori misura. Esattamente come il resto del mondo da un po' di tempo a questa parte. Mi ricordo perfettamente il giorno in cui hai fatto irruzione nella mia vita.Proprio io che stento a distinguere i giorni dai mesi e dagli anni. A quei tempi ero una piccola unità autosufficiente. E mi sentivo anche parecchio ironica. Quella mattina mi ero guardata allo specchio dicendomi Mi piacerebbe proprio che arrivasse qualcuno a rendermi la vita un po' disperata. Detto fatto. All'epoca ero ancora convinta che si potesse giocare a fare la bohémien senza metterci dentro tutta la propria vita. E tu sembravi così innamorato. Non c'era possibilità che io passassi oltre. Lo sai com'è, no? Quasi tutte le coppie sono separate da qualcosa di informe, una sorta di confine: una vecchia storia, un rancore che aleggia, addirittura un presupposto sbagliato su cui hanno costruito tutta la loro storia. Nel nostro caso era il tuo punto di vista: sapevi fin dall'inizio che non sarebbe stato per sempre. Io venivo da un passato troppo desolato perché potessi considerare come una cosa da nulla il miracolo di una relazione. Era ovvio non potesse funzionare. E' contro le regole, vero? Parlarne, intendo. Mi sono innamorata di te esattamente come si innamorano le donne intelligenti. Come un'idiota. Ad ogni tua contraddizione fornivo risposte semplici che servivano a giustificare le tue soffuse noncuranze. Noncuranze che ritenevo, allora, pienamente riscattate da quelle ore solo nostre trascorse ad incrociare le rispettive radici nelle reciproche immutate piccolezze. Quelle ore ancora mi mancano,tu pensa. Eri diventato il mio privato 'se solo'. Come dire? Saresti stato perfetto se solo fossi stato mio. Mio non lo diventasti mai. In compenso a perdere possesso di me stessa fui io: appiccicosa è un modo crudele per definire la cosa più preziosa della terra, che in pochi apprezzano. Un'inversione di tendenza che ricordava Il Principe e Il Povero. E che non mi piaceva nemmeno un po'. Quella strategia di giocare a fare lo stupido, che era cominciata come uno scherzo gentile, degenerò in una totale incapacità di afferrare le mie intenzioni. Eravamo diversi: avevi notato la differenza e la differenza ti aveva fatto arrabbiare. Eppure sembrava che nessuno dei due, all'inizio, avesse barato. Non hai idea quanto possa essereimbarazzante, adesso, darti ragione. La prima a salvaguardarsi, come al solito, fui io: la me stessa saggia iniziò a suggerirmi le controindicazioni e mi indicò la strada di un risentimento che avrei dovuto imparare a serbare come un tesoro, non fosse altro per la sua franchezza. Ma è sempre così: anche la pace nel mondo, che io sappia, rimane in piedi sul risentimento. Tu, d'altro canto, ti consolasti subito. Anche se laverità è che le persone disperate accettano sempre un sollievo a breve termine in cambio di una perdita a lunga distanza. Adesso di me e te ho un'altra concezione. Come vedi continuo a considerarc iuna cosa sola, al pari della traccia di un vinile che continua asaltare sempre nello stesso punto. Mi dispiacerà deluderti ma avevo una certa difficoltà con le chiusure già prima di incontrarti perciò no, non sei tu la causa del mio aspirare a qualcosa di eterno, seppure ingiusto. Dopo aver flirtato con la prospettiva che noi due fossimo davvero ciò che andavamo raccontandoci sono guarita e riesco ad essere più lucida. Sarai invece felice di sapere che non mangio più pistacchi da quando nessuno me li sbuccia. In questo siamo uguali, due ostinati con la pretesa di essere coraggiosi:soltanto tra noi ce la potevamo raccontare così! Eppure. Eppure ho come l'impressione – e la pretesa - che noi due continueremo a cercarci in eterno come allora. Non so se hai presente la chiamata alla Moschea in Medio Oriente. Le nostre rispettive esistenze, che -per carità - hanno seguito sempre orbite diverse, appartengono a tutti gli altri che ci stanno intorno, mentre noi due apparteniamo solo a noi stessi e dovunque andremo ci porteremo dietro il maledetto pezzo strappato all'altro. Concordi? |
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