Schwed Racconta

IL CONVIVIO DE LI MORTACCI


 Da dopato a spompo     di Alessandro Schwed Renzi dilaga. A Bologna esplode con era spompo, a Modena deflagra con io cattivo de che. L’inquilino futuribile di Palazzo Chigi spara il suo neo-gergo sulle feste del Pd. Per ora si esprime in fiorentino e romanesco, ma si appresta a suonare la carica delle primarie con una nuova lingua sia multilocale che socialforum. Dirà bauscia a Pisapia, remixed a Veltroni, poi andrà in Tv da Marzullo e gli dirà bucaiolo. L’obiettivo non è oltrepassare lo straripante 78% di consenso nel Pd: Matteo non può pretendere di piacere anche a Barca, che probabilmente  preferirebbe gli dicesse non sono d’accordo, là dove Renzi direbbe sei un magnifico cazzaro. Con la scusa dello scontro per la segreteria, il sindaco sperimenta la nuova comunicazione per le elezioni. “Era Spompo” e “io cattivo de che” illuminano l’Italia come un faro la tempesta. Al largo, Bersani si appresta ad affogare, sono in arrivo cavalloni di mortacci tua.   Direte: quelle di Renzi sono solo battute.  Allora non vi rendete conto quale rivoluzione sia in corso. Se Dante costruisce la gerarchia estetica tra dialetti e lingua, bolognese, romano, veneziano, e poi la lingua italiana, il fiorentino, suo pronipote Matteo si prepara a ibridare una comunicazione multitematica che sbrana gli avversari a colpi di assorate e di “tu sei completamente download”. Addio al linguaggio gramsciano e al neo-folk di Bersani. Un giorno, “era spompo” sarà citato dai sussidiari digitali come l’”obbedisco” di Garibaldi. Il primo minuto di quella sera bolognese, quando Renzi disse «Bersani alle primarie mi ha fatto un culo così», in pochi si accorsero che era la linea politica rivoluzionaria del prossimo quindicennio e il punto focale era il culo.  Ma partiamo pure da “Spompo”: in apparenza fortemente esausto, ma poi guscio vuoto, mela col gigi (Pierluigi). In filigrana, scalciato pure da D’Alema. Mezza calza e non integra calza intera. Cucinato fino alla consunzione della pentola, lesso che barcolla. Inebetito, suonato, groggy, stonato, ito da mo’, dissolto, ko, dead man walking,  E ora arriva il romanesco “io cattivo de che?”. Una novità assoluta. Ma  ce lo vedete Berlinguer a dire “de che”? Ce ne corre tra il compromesso storico  e ‘sti cazzi. Ora la politica va per strada e pesca fiammate linguistiche. Non la rudezza tribale bossiana coi tamburi percossi da tibie, ma una permanente festa della rificolona a Roma, a Modena, su Facebook. Non siamo più tra le arcaiche barzellette aziendali del Cavaliere, l’arrotondato fraseggio retrò da sala-biliardo. Irrompe uno slang tra il Convivio alla rovescia e Roma-Lazio. Il sarcasmo dei rapper nelle sfide di strada: ce l’ho più bello di te - mbé. Mia madre è più sexy di te - che c’è. Solo, invece che a un portoricano, detto a Civati. Del resto, se a iniziare la nuova fase che sbuccia l’avversario come un mandarino, fu Bersani, ora l’ex segretario non può lamentarsi se viene sfidato in Emilia, tra le vigne delle metafore e il visibilio dei grappoli delle scemenze. Fu lui, nelle primarie che lo videro inutilmente vincente, che prese ad andare in giro con le maniche arrotolate, parlando di un tacchino sopra il tetto. Rimanemmo tutti colpiti da quell’enigmatico frasario rurale. Poi non andò bene. Abbiamo non vinto, disse in Tv Camicia Bianca. Sotto le rasoiate linguistiche di Renzi, Pierluigi Bersani si rivela figura mitopoietica della neo-malinconia, derivazione fantascientifica dello psicopompo sul fiume Ade. Se infatti lo psicopompo è la bella figura né divina né umana che traghetta le anime dal mondo dei vivi a quello dei morti, Bersani è la brutta figura di non traghettare un’anima. Uno psico-spompo. Ma che, davero davero?