Schwed Racconta

NARRATIVA ITALIANA / Un pavone tutto da ridere per riavvicinare padre e figlio


Molto noto per la sua attività satirica, Alessandro Schwed si inserisce nel filone dei “bestiari” umoristici con una sorprendente e toccante fiaba metropolitanaMassimo Onofri (l’Avvenire, 18 luglio 2014)Esiste un filone tenue, non privo di risultati interessanti, di vocazione umoristica, che carsicamente percorre la nostra storia letteraria servendosi, per i suoi scopi di furiosa satira sociale, degli animali, i quali arrivano a sconvolgere l’ordinario corso della vita umana: mentre la decostruiscono dentro un’evidenza euforica che scardina ogni ipocrisia sociale. Avevo letto, tre anni fa, con vero gusto, il primo romanzo di un bravo critico e scrittore, Fabrizio Ottaviani, intitolato semplicemente e significativamente La gallina. Arriva ora di Alessandro Schwed – già molto noto negli ambienti del giornalismo libero e iconoclasta con lo pseudonimo di Jiga Melik – un libro esilarante, La via del pavone: ne è protagonista un mite architetto di interni di 42 anni, Giulio Campennì,  coniugato con Ionta, funzionaria editoriale di 34, entrambi tiranneggiati dalla madre di lei, Nelly, “un genio dell’imperialismo familiare”, detta anche “la Faraona” (o “Napoleone”), la quale, vedova dell’operoso architetto Nelson, “regna su quattro palazzi e ottanta famiglie della Garbatella”. Che cosa accade, a casa Campennì, alle otto e mezza d’una mattina d’estate di “caldo africano”? Che la prepotente suocera, in procinto di partire con la figlia per le vacanze al lago, si presenta alla porta di casa con un pavone al guinzaglio: potrebbe, di grazia, il gentile genero accudirlo, in sua assenza, senza dimenticare di fissarlo almeno tre volte al giorno, a orari rigorosamente prestabiliti, di modo che possa così dispiegare con la coda, egotistico e indifferente, la sua magnificente coda?       Comincia così un romanzo davvero irresistibile e turbinoso: perché l’impudente e insolente pennuto, non appena le due donne se ne sono andate, approfittando di un momento di distrazione dell’ancora inebetito e rassegnato Giulio e d’una finestra socchiusa, s’invola goffo ma sicuro del fatto suo, sul terrazzo condominiale del palazzo dirimpetto, per atterrare quasi subito sul tetto di un tram. L’angosciatissimo architetto non ha alternative: se non quella di provare a recuperarlo, mentre, uscendo di corsa,  si chiude fuori di casa, scoprendo poi di aver dimenticato le chiavi. Situazione grottesca fino all’implausibile: eppure di straordinaria iper-realtà, se è vero che, attraverso la fuga del pavone e la rincorsa parossistica e disperata di Giulio, ci imbattiamo in una folla di personaggi con cui Schwed ci consegna un ritratto del Paese irredimibile e dei suoi odierni e quotidiani deliri, ma anche dei suoi sorprendenti scatti di solidarietà. Basterebbe pensare a quel carnera di “Spizzichino Elvio”, il centurione in costume per i turisti che lavora ai Fori imperiali, il quale si offre di aiutare “gratisse” il povero Giulio, sollevandolo sul tetto del tram. Pagine che, da sole, giustificano il prezzo del libro: “Rega’…per cortesia…il pavone è persona sensibile”. Non fosse che, a un certo punto, arriva il ventunenne Riccardo, “il frutto di una relazione a dir poco estemporanea” avuta da Giulio con la bella Franca a soli 23 anni quando studiava a Firenze. Un rapporto, tra padre e figlio, che è stato Riccardo a volere con ostinazione: accettando persino la clandestinità, a tutela del capriccio di Nelly. Sarà ancora il pavone a dettare il sorprendente finale: per suggellare, contro ogni viltà, e finalmente nella verità, quello che è ormai diventato il romanzo d’una struggente telemachia.