Schwed Racconta

DOVE INIZIA LA FILA DEI CHARLIE


È chiaro che tutte le vittime di Parigi hanno diritto a un memoriale.  Ma bisogna comprendere che i morti di Charlie Hebdo sono simbolo universale, per laici, come per cristiani, ebrei e la gran parte dell’Islam che vive con noi in Europa, in silenzio ma con aspirazioni. Il nome Charlie  è il tetto della libertà che ci pone al riparo e che nessuno deve demolire. Questo fatto poteva essere ignorato, invece no, è assunto nel cuore e ha fatto marciare due milioni di persone con alla testa la classe dirigente dell’Europa e di parte del mondo non occidentale. Il fatto è che i morti a causa dei quali tutti proclamano “Io sono Charlie”, non sono vittime ignare,  ma testimoni consapevoli. Combattenti in nome della libertà di non sottostare ad editti, a nessuna forza irrazionale. Si richiamavano alla data del 1789, l’anno in cui si è cessato di pensare come normale che il re fosse di origina divina e divini e insindacabili i suoi giudizi. Da quel 1789 per l’appunto parigino fabbrichiamo da soli giudizi e aspirazioni, lo facciamo nei nostri parlamenti, nelle nostre scuole, nei nostri libri e nelle nostre biblioteche. C’è dunque nello stracuore dell'Occidente la redazione di un piccolo giornale, libertario, anomalo, acuto, provocatorio, discusso e fatto per discutere. Si chiama Charlie Ebdo, ci lavorano artisti-giornalisti. È  è un giornale satirico, posizionato tra apposite virgolette. Non è un poligono di tiro, ma un teatro di carta. Colpire Charlie per le vignette, talvolta estremamente oltraggiose, significa non solo rifiutare di assumere le virgolette, ma dopo le virgolette i pensieri e le leggi che consentono le virgolette, le tradizioni, l’arte, il teatro: l’idea di ridere del potere e anche di ridere. L’idea che ci sia un  sipario e un palco dove si dice tutto come se fosse vero, ma poi il vero è oltre il palco, per strada, e così c’è il sentimento che esista un luogo dell’immaginazione dove si può dire tutto. Ed è il combinato della democrazia a giudicare, non i kakasnikov. Quando nel 1729 Jonathan Swift, scrittore satirico ma anche parroco discusso, scrisse  la sua Modesta Proposta, proponendo di combattere la povertà mangiando i bambini irlandesi per impedire che fossero a carico dei genitori e del paese, non fu appeso a una corda.  Si comprese il valore morale e artistico del paradosso. Per questo parliamo di Charlie: la consapevolezza con cui i redattori-artisti del mondo delle virgolette sono giunti alla morte ha valore, e hanno valore quelle virgolette. I Charlie sono morti per qualcosa che non si vede ma c’è, proprio nel tempo enigmatico in cui si lotta da posti invisibili su internet. E induce a pensare che i Charlie siano morti mettendo la parola satirica sulla concretezza della carta, in un edificio materiale dove erano davvero insieme. Allo stesso modo, noi, la folla dei Charlie, siamo insieme ad Aristofane, Ennio, Giovenale, Boccaccio e Rabelais, Ariosto e Tassoni, Cervantes e Swift, Stern e Thackeray, Gogol e Jarry, Oscar Wilde e Mark Twain, Bulgakov, Hazek e Karl Kraus. Noi siamo  una fila di Charlie che inizia ad Atene.  È questo il sensibile punto a causa del quale la fucilazione di Charlie resterà sulle prime pagine dei nostri cuori e delle generazioni a venire e costituirà uno snodo della Storia, un’ispirazione.   (Jiga Melik)