Schwed Racconta

HOWARD JACOBSON- UN AMORE PERFETTO - Recensione


 
Howard Jacobson, "Un amore perfetto". Cargo. Pagine 382.  Due trame, in un romanzo di Howard Jacobson. Il grande umorista britannico, ora insignito del Man Booker Prize, prestigioso premio letterario inglese, intinge la penna nell'inchiostro disossigenato della malinconia ebraica, dove è difficile vedere oltre a ciò che esiste: e ciò che esiste, ormai è il deserto. Il romanzo è "Un amore perfetto", e le due trame sono queste: la prima, la storia cinerea di Felix, un uomo bisognoso fino all'ultima fibra di perdere l'amore della moglie, costruendone il tradimento come un orologiaio. Dato che per lui il solo modo di amare è soffrire. La seconda trama invece non appare, traspare; ed è la dimostrazione di come l'umorismo sia segretamente incinto della tragedia. Se Ionesco diceva che ogni tragedia è reversibile in farsa, qui dalla farsa sorge la tragedia. Il romanzo è augurato da quello humor dell'understatement che ha reso celebre gli inglesi: sottotono  fluido dove la scrittura controlla la lingua e predispone trappole - e  proprio nella parte in cui il romanzo di Jacobson finge di esistere per farci ridere, va reso merito alla traduzione di Milena Ciccimarra. E lo humor va. Dopo averci presentato a un funerale il personaggio di Marius, uomo bello, cupo e coi baffi che il nostro anti-eroe spingerà in segreto tra le braccia della moglie facendone l'amante, costui, disegnato davanti alla fossa come indecifrabile sostegno di un'appassita vedova, nel corso della successiva cena funebre flirta sguaiatamente con due ragazzine. E' umorismo a gogò, nel resoconto dell'apprendistato sentimentale del Felix adolescente, che vediamo lasciato bruscamente nel buio del cinema da una coetanea che riteneva di avere conquistato, avendo iniziato a tenerne la mano; invece lei lo abbandona per uno sconosciuto emerso dal buio e subito baciato. La seconda trama che dicevamo è l'innesco delle trappole che fanno inciampare il lettore nel riso e poi lo precipitano nella sofferenza. A un tratto, l'umorismo magistrale  scivola via da "Un amore perfetto", ed è sulla sua base che poggia il racconto dell'amore perverso voluto da Felix. Scorrono a lampi la giovinezza sua e del nonno, entrambi col fatale nome di Felix.  Uomini che li dovrebbero educare, vogliono che i due ragazzi, del tutto inermi, abbiano una relazione con le proprie mogli - dato che solo il tradimento attesta la bellezza della donna amata; solo la perdita, teoreticamente attestata da citazioni di Bataille, dà coscienza di come grande sia l'amore perduto. Preambolo al dramma è una discussione estetica con la moglie su un Otello appena visto, dove una regia eccessiva indica la volontà del personaggio di essere tradito. Ci trasferisce al dramma della ripetizione dei destini la scoperta che Marius, il tipo senza morale della cena funebre, fosse l'amante  della vedova, da lui carpita al marito e abbandonata da anziana. E siamo nella sequela del dramma attuato da Felix: solitario deus ex machina, che elabora con crescente successo il tradimento della moglie con Marius. Fra i tre, inconsapevole e consapevole, nasce la scorrevole relazione adultera durante la quale, spossessato di sé stesso, Felix entra in ciò che Jacobson chiama la subrealtà: un mondo catatonico di totale schiavitù psicologica. La moglie e l'amante, sdoganati dallo humor, sono accolti dal protagonista nella propria casa, in una vicinanza feroce che fa sentire nitidamente l'abbandono. Nella fine crepuscolare, decomposta come materia andata a male, è dato intuire come la gelosia sia visionaria, la realtà sempre inavvicinabile e la verità il più grande tradimento che esista.  Memorabile, in uno squarcio del libro, la commemorazione umoristica di quel peculiare amore. "Eravamo una famiglia felice. Noi tre assieme".   Alessandro SchwedIl Foglio, 30 Novembre 2010