Schwed Racconta

Recensione - Roddy Doyle - UNA VITA DA EROE - Guanda - 2011


 Romanzo sui giorni dell'IRA Della rivolta repubblicana irlandese contro l'occupazione inglese, conosciamo le cronache televisive degli ultimi decenni: esplosioni, camionette rovesciate. In Europa, l'Ira è una vicenda remota. Ora la riattraversa con noi  Roddy Doyle in"Una vita da eroe": la storia di Henry Smart, ex bombarolo, romanzescamente designato come uomo di fiducia di Michael Collins, eroe dell'indipendenza irlandese. Smart  non è un demone: è un popolano diffidente, uno solitario, un eroe senza saperlo. Dopo la giovinezza con la dinamite in mano, lascia l'isola e sta metà vita in America, derelitto prima, e scheggia impazzita di Hollywood poi. Il romanzo lo incontra nel 1951, quando torna in Irlanda dopo ventinove anni di assenza. Ha da fare un sopraluogo e scrivere la sceneggiatura  della sua vita di ribelle per John Ford, il regista di "Ombre rosse". Si tratta di capire chi sia stato Smart, e non è facile perché non lo sa neanche lui. Ha sofferto così tanto che ha dimenticato i nomi dei propri familiari.  L'unica amicizia di Henry è con la gamba di legno, coprotagonista del romanzo: Smart la toglie, la rimette, ne ha cura, compra stivali di coccodrillo per farne indossare uno a lei. Le vuol bene. Quando ormai anziano, in Irlanda, è vittima di un attentato e smarrisce la protesi, è preoccupato come per una parente.  Smart è estraneo alla realtà, soprattutto quella di Hollywood, e scrivere con Ford il film sulla sua vita di ribelle, è lotta furibonda. Ford, ex cocciutissimo irlandese, un giorno si è visto recapitare Henry perché lo salvasse, dopo che era stato ritrovato da qualche parte d'America senza memoria. Smart fa riunioni di sceneggiatura davanti agli impenetrabili occhiali  da sole di Ford, litiga, se ne va per giorni.  Ricorda i tempi selvaggi nell'Ira, la sua esistenza americana, drop out con  la moglie e i due figli. Sa di essere caduto dal treno dove era con loro e aver perso la gamba. Da allora non ha più visto i figli piccoli, e neanche la moglie - sua ex maestra, più grande di diversi anni e venuta con lui dall'Irlanda - andavano insieme in bicicletta, lui la portava in canna,  rapinavano uffici postali con la mitragliatrice piazzata sul manubrio. La prima parte del libro è l'ardua ricostruzione della vita di Smart, la cronaca dei continui dissensi con Ford, i sospetti e le ombre verso il maestro del cinema che si fa raccontare le antiche azioni partigiane, le canzoni che cantavano, le donne amate, ma poi addomestica, arrotonda, chiama altri sceneggiatori, tradisce il  racconto del ribelle. Ford  poi lo spiegherà personalmente a  Henry: addomesticare la Storia, inventarla, è un bene, la rende popolare come è successo al western che grazie a lui è divenuto saga e ha dato un'identità all'America. I dialoghi tra Ford e il testardo Henry sono surreali, tra botte da orbi, dita rotte, spuntini all'alba e offese sul set dove passa quel lungagnone di John Wayne. Il film sarà una pasticca zuccherata. A metà dei '60, Smart va a invecchiare in Irlanda. Fa il giardiniere da un'anziana vedova che gli rimanda ricordi. Ne diviene furtivamente l'amante, al riparo degli sguardi intrusivi dei vicini parrocchiani. A un tratto è agganciato dalla nuova Ira, usato come immagine dell'antico eroe della libertà. Il passato è una ventosa, non lo lascia - ma il passato ha doni per lui. Ritrova l'antica moglie, volto cangiante: la vedova di cui è divenuto amante senza rendersi conto chi fosse, e a sua insaputa lo ha ritrovato, gli ha dato lavoro, lo ha accudito. Durante l'infinito coma ospedaliero della moglie, incontra la figlia anziana. Poi Smart è fiabescamente vecchio, ha 108 anni. Un mitologico ultracentenario eroe d'Irlanda. Adesso, può morire.   Alessandro Schwed il Foglio, 28 gennaio 2011