Sconfinando

Femminil.mente


Che io e i lavori femminili si abbia un rapporto conflittuale è cosa risaputa.  A parte il punto croce d'ordinanza quando le bambine erano piccole e a parte qualche sciarpa e qualche maglione, non mi sono mai spinta troppo in là. Certo, per non farmi mancar niente sono passata attraverso pomeriggi a manipolare pasta di sale e al mais con schiere di bambini felici (e schiere di mamme altrettanto contente che tutto questo non accadesse nelle loro cucine), decoupage e qualche altra cose abbastanza francese nel suono per sembrare quasi chic. Ma sempre senza grandi convinzioni, spinta anche da quel minimo di autocritica che mi faceva valutare con sufficiente distacco la differenza tra l'idea nella mia mente e il manufatto uscito dalle mie mani. Tant'è.Da ragazzina però non era così. E il rovistare qualche giorno fa in uno scatolone dei ricordi, in cerca dei miei diari del 1980, ha riportato a galla reperti dall'effetto più efficace di qualsiasi macchina del tempo.Per anni le mie estati, dalla chiusura delle scuole fino alla loro riapertura, scorrevano in montagna con i nonni. Sempre lo stesso posto, anno dopo anno. E, alla fine, sempre la stessa compagnia, anno dopo anno.Tre mesi erano lunghini, devo dire, così con le amiche ci si dava alle attività più disparate. Collanine, braccialetti, portachiavi, lavoravamo di tutto: dal cuoio alla lana, con una gran profusione di perline di tutti i tipi. Tessevamo braccialetti su telai avvolti su giornali e giornaletti, inventavamo collane dagli intrecci esotici. Prima di partire, noi che venivamo da Milano (o giù di lì) ci davamo appuntamento in un negozio di via Santa Maria Fulcorina, che esiste tutt'ora per altro. Era il regno delle perline: di tutti i tipi, forme e colori. Facevamo incetta, dilapidando buona parte delle mance delle promozioni. Ma era la scorta della sopravvivenza. E un ottimo lasciapassare per nuove amicizie.