Sconfinando

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Diari, nella mia vita, ne ho tenuti davvero tanti. Da bambina erano semplici quaderni che decoravo, ricoprivo, riempivo di immagini, cartoline, parole. Da ragazzina arrivarono Sarah Kay e Holly Hobbie. Un po' fru-fru, entro pochi mesi dall'inizio dell'anno avevano uno spessore doppio rispetto all'originale, occupavano pił posto loro nella borsa di qualsiasi altro libro o quaderno di scuola, ed erano zeppe di qualunque cosa: etichette dei jeans e stecchetti del ghiacciolo inclusi. Poi sono arrivate le Smemo. Imperdibile la sedici mesi, che si comprava a settembre per averla per l'intero anno scolastico fino alla fine dell'anno successivo. Anche quelle, in quanto a dimensione, scherzavano poco. Armi improprie, sia se cadevano inavvertitamente su un piede, sia se venivano deliberatamente lanciate in direzione del malcapitato di turno. Di nuovo biglietti del cinema, dei concerti, del tram, testi di canzone, frasi smozzicate scritte spesso a pił mani. Un lavoro collettivo, a volte. Le moleskine sono arrivate nella mia vita molto dopo. Un regalo da grande, un simbolo prima ancora che un diario, che sulle prime forse non compresi. La prima mi arrivņ - guarda caso - alla vigilia di un viaggio. E io che amavo i quaderni scoprii la bellezza di averne sempre uno - piccolo - con me. Disordinata raccolta di pensieri, da appoggiare sul comodino la sera. Come faccio anche qui.(A New York si celebrano con installazioni su strada, io guardo il quaderno qui accanto a me. Non ho perso l'amore per l'oggetto, ma mi basta un foglio per fermare un pensiero)(In foto la moleskine di Antonio Marras)