Sconfinando

L'etica nelle etichette. [E la fiducia senza Galbani]


Se non fosse fin troppo seria, la questione farebbe sorridere nel suo paradosso. Perchè in questi ultimi anni ce la siamo presa con le mucche inglesi, con i polli cinesi, col vino adulterato, francese o ungherese che fosse. L'ultimo è stato il latte alla melamina cinese, ed è cosa di qualche giorno fa. Con rigurgiti di orgoglio nazionale siamo di converso insorti quando qualcuno ha provato a dire che la mozzarella di bufala alla diossina, insomma, forse non era proprio il caso. E ora ci ritroviamo con questo po' po' di gatta da pelare. Perchè, a dirla tutta, la faccenda non è che riguardi proprio solo la Galbani. A sentir qualche trasmissione per radio questa sera, il riconfezionamento degli alimenti scaduti o prossimi alla scadenza, magari facendoli passare di nuovo attraverso il ciclo del freddo per distruggere qualsiasi colonia batterica possa avervi fatto dimora, è prassi assai diffusa. Nelle industrie alimentari, si. Ma anche nei supermercati e nei mercatini. Segno che come spesso accade in questo Paese, saremo anche bravi a far disciplinari e a stilare protocolli, ma quando si tratta di rispettarli tendiamo a scivolare nell'optional. Che lo faccia qualcun altro. Noi mica possiamo buttar via l'avariato ben di Dio. Riciclare, riciclare! Che a dirla così sembra quasi ecologico. Invece ecologico non è. Salutare nemmeno. Etico e morale meno ancora. E un po' sorrido guardando la copertina del magazine del Corriere della Sera del 18 settembre scorso, tenuto qui sul comodino proprio per quel titolo strillato: "Compriamo Italiano". Chissà perchè quelle parole "qualità e sicurezza" ripetute in più passaggi suonano come note stonate. Naturalmente, soluzioni di ripiego io non ne ho. Ed escludendo il ricorso a una perniciosa e anacronistica autarchia, la vera alternativa mi sembrano i Gas. O qualunque altra iniziativa vi assomigli.