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Il suono dei tamburi


 Odio questo suono, questo incedere dei tamburi, odio il loro suono, neanche ora mi lasciano in pace, penetrano fin qui  dove mi trovo procurandomi lancinanti dolori. Ho cercato di combatterli fin da quando son capitato in questo posto, sembrano anni invece sono solo pochi mesi. Il mio nome è Glen Stuart di Boston, con i soldi provenienti da investimenti finanziari decisi di comprare una fattoria con annessi terreni coltivabili.         
   L’occasione mi fu data acquistando ciò che desideravo nella Louisiana del sud, nel paese di Saint Ferrè distante 250 miglia da New Orleans . Non lontana dalla fattoria  c’erano vari canali d’acqua e una palude . Giunto sul posto mi venne incontro un uomo, abbronzato, tarchiato e con un grosso cappello in testa. “ Piacere mi chiamo Ted Boyle sovraintendente, gestore e capo di tutti gli uomini presenti alla fattoria “ mi porse la sua mano mentre si presentava, poi continuò dicendo che era meglio entrare in casa, mi avrebbe fatto preparare qualcosa di fresco da bere e un bel bagno ristoratore , visto, la calura che da giorni perdurava sulla zona.      
   Visitai la fattoria e i campi e notai che gli uomini che vi lavoravano erano tutti negri. Boyle mi rispose che la loro manodopera costava poco rispetto a quella dei bianchi e che non avevano molte esigenze, l’unica cosa che volevano si rispettasse era  che i “ bianchi “ non andassero  alla sera verso la palude dove loro  si ritrovavano dopo il lavoro. “ Come mai ?  Che cosa succede laggiù? “ chiesi. Boyle mi rispose che non lo sapeva e manco gli interessava, strane voci giravano su quella palude, a lui bastava solo che i negri lavorassero bene e in fretta , per il resto erano affari loro. Passarono i mesi e ogni sera quei maledetti tamburi la facevano da padrona, era ora che qualcuno intervenisse per fare smettere quei maledetti riti o qualsiasi cosa fosse.         
   Una notte mi armai di pistola e seguii la luce delle loro fiaccole, man mano che mi avvicinavo il suono dei tamburi era sempre più distinto. Giunsi in una radura semi nascosta dalla folta vegetazione, i negri erano in cerchio, si dimenavano come fossero stati posseduti da chissà quale diavolo. Un vecchio cantava una cantilena di cui non capivo una parola.          
  Piombai in mezzo a loro con la pistola in mano, in un attimo il silenzio calò sulla radura. Il vecchio mi venne incontro e in una lingua mista di cajun e inglese riuscì a capire cosa stava dicendomi. “ Non puoi stare qui bianco, devi andare via, i patti sono chiari  ; al calare della notte nessuno bianco è ammesso con noi, vai via o Samedi verrà a prendere la tua anima” dicendo questo mi puntò addosso  il bastone che teneva in mano , ebbi ribrezzo, era a forma di serpente e come pomo aveva un teschio in miniatura come usano fare i tagliatori di testa del Borneo.         
   Gli risi in faccia e risposi di smetterla all’istante, i negri nel frattempo si erano avvicinati, il loro brusio era sempre più forte. Sparai senza pensarci due volte, poi scappai nella folta vegetazione. Sul terreno erano rimasti tre corpi senza vita, mentre sentivo il vecchio parlare con una voce che non aveva nulla di umano. Rientrai alla fattoria sconvolto, chiusi tutte le porte e le imposte, poi andai all’armadietto dei fucili e ne presi uno , ero sconvolto di quello che avevo fatto e visto. Cercai rifugio nella bottiglia di brandy, poi mi misi dietro alla finestra ad aspettare che arrivassero. Le ore passarono ma il silenzio era totale, la luna piena illuminava il viottolo di fronte  alla fattoria ; a un certo punto si elevò un vento fortissimo, la luna si oscurò, ebbi terrore non solo paura. Un’aria gelida riempi la stanza, mi girai con il fucile in mano e lo vidi innanzi a me, era il vecchio.                   
   Rimasi muto con il sudore che mi colava sul volto, sparai senza pensarci due volte, svuotai l’intero caricatore, ma lui era ancora vivo in piedi con quel suo maledetto bastone puntato contro di me. Vidi che prese vita e come un grosso serpente aprì la bocca mostrandomi le zanne ,  il tutto mentre una cantilena lancinante mi penetrava dentro il petto, sentii una fitta al cuore, tutto si fece scuro mentre lentamente mi accasciai a terra. “ Povero diavolo , venire  da Boston in questo buco di paese solo per morire “, il referto medico parlò d’infarto. Stuart fu seppellito nel piccolo cimitero dietro alla fattoria, dopo pochi giorni dal decesso i tamburi ripresero a suonare. Maledetti tamburi pensai, qualcosa mi stava trascinando fuori da dove mi trovavo, le mani scavavano la terra umida, scavai non so per quanto tempo mentre il suono era sempre più forte.                              
Finalmente uscii allo scoperto, la luna era piena in tutta la sua bellezza, una bellezza malvagia . Avanzai lentamente fino alla palude, il vecchio al vedermi sorrise e i negri urlarono gridarono il nome di Barone Samedi. Solo allora capì cos’ero diventato…uno Zombie.