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Messaggi del 19/02/2019

 

La ghiacciaia di Porta Pila( quinto capitolo)

Post n°2438 pubblicato il 19 Febbraio 2019 da paperino61to

Riassunto: Il commissario Berardi indaga sulla morte di un professore di liceo, da subito intuisce che un filo lega uno studente del liceo dove insegnava la vittima e un segretario locale fascista. Costoro frequentano un circolo privato il Dilma, Berardi decide di infiltrare un proprio agente sotto falso nome. Costui da appuntamento al commissario per svelare alcuni fatti da lui visti. Purtroppo l'agente viene trovato morto sulle rive del fiume, si pensa a un suicidio, anche se Berardi fin da subito capisce che è staato ucciso, il tutto mentre Torino aspetta la visita di alte personalità da Roma.

 

 

Per tutta la serata non apro bocca, ho davanti a me il pianto del figlio di Giorgini. Maria capisce il mio stato d’animo ed evita ogni discorso. Le chiedo scusa, i problemi del lavoro dovrebbero stare fuori dalla porta, ma non sempre è possibile.

“Stai tranquillo Marco, capisco benissimo, ora però vai a dormire o almeno cerca di riposarti”.

“Hai ragione Maria, vado a buttarmi sul letto, se mi cercano chiamami immediatamente”.

La notte passa lentamente, non chiudo occhio, ripenso alle parole del direttore del circolo, possibile non sapesse nulla dell’omicidio? Sembra sincero quando afferma che Giorgini o Lettieri ( il nome falso che ha usato il collega) non si è presentato al lavoro e non ne sapeva il motivo.

L’indomani mattina torno al circolo, interrogo i dipendenti, ma nessuno sa darmi qualche notizia a parte un certo Restagno: ”Era un tipo solitario Lettieri,  parlava poco, e ho l’impressione che si interessasse ad alcuni clienti, non so dirle il perché”.

“Conosce questi clienti?”.

“Uno è il signor Ferrini e l’altro è uno studente, ma non conosco il nome, dico studente perché è molto giovane. Poi ci sono alcuni loro amici, ma di questi posso dire che è meglio girare al largo. Sono brutti ceffi e ho l’impressione che siano picchiatori di professione”.

“Come mai conosce il Ferrini?”.

“Perché qualche anno addietro, mia sorella, ha avuto bisogno di aiuto da parte di questo…è una cosa spiacevole ancora adesso da raccontare, se posso esimermi gli sarei grato commissario, sappia solo che se quel tizio non fosse…non fosse segretario fascista sarebbe già…”.

Immagino la sua ultima parola: ”In sintesi  chiese a sua sorella qualcosa in cambio del favore che gli avrebbe fatto?”.

“Si! Lascio a lei immaginare cosa…” l’uomo si prese la testa tra le mani maledicendo Ferrini.

“Pagherà anche per questo stia tranquillo. Dei suoi colleghi di lavoro cosa sa dirmi?”.

“Sono brave persone, non creda che siano tutti fascisti anche se lavoriamo in quel circolo, purtroppo dobbiamo mangiare anche noi”.

“Capisco, sarebbe disposto ad aiutarmi?”.

“Domandi quello che vuole commissario”.

“Lei e i suoi colleghi più fidati, dovreste tenere d’occhio Ferrini e i suoi amici, cercare di sentire i loro dialoghi, insomma spiare ogni loro movimento. Il nostro uomo lo stava facendo quando è stato ucciso, se però non ve la sentite vi comprendo benissimo”.

“Lettieri era un poliziotto?” domanda stupito.

“Si, era un nostro agente infiltrato, stava indagando su Ferrini”.

“ Commissario da parte mia vi darò l’aiuto che mi state chiedendo, mi rivolgo a dei colleghi che so per certo che accetteranno immediatamente. Come vi avviso se scopriamo qualcosa, vi devo chiamare  in questura?”.

“ Chiami questo numero, dica solo che ha notizie per Marco e dica ora e luogo dove possiamo incontrarci, la persona che risponde mi avvertirà”.

Con Tirdi e Perino cerchiamo di riordinare le idee e soprattutto di mettere nero su bianco quello che abbiamo scoperto. Chi potrebbe darci una mano è il bidello del liceo, ma non credo che parlerà dopo quello che gli è successo. Nel pomeriggio vado all’ospedale dove è ricoverato e con grande sorpresa mi dicono che ha lasciato la stanza in fretta e furia.

“La moglie ha firmato le dimissioni, incurante del parere del medico”.

“Ha lasciato un indirizzo ?”.

“No”.

L’unico possibile testimone che può riconoscere  l’assassino di Porta Pila si è volatilizzato. Spero in un altro tentativo e vado all’appartamento dove risiede il bidello, sapendo che non troverò nessuno.

“Mi spiace commissario, non so dirle dove siano andati, la moglie non mi ha detto nulla, ho trovato strano la cosa, le è successo qualcosa?”.

“Se ha sue notizie mi chiami in questura, arrivederci”.

Sono sconsolato lo ammetto, ho degli indizi ma prove certe nessuna, almeno riuscissi a capire a cosa serve quella chiavetta trovata da Beraudo! Sono convinto che il mistero del suo assassinio venga risolto e di conseguenza anche quello di Giorgini.

Via Roma è invasa dal tricolore, uno striscione di benvenuto fa capolino  all’uscita della stazione di Porta Nuova. Tutto il centro della città è tirato a lucido e per strada circolano camionette della polizia assieme a quelle dei fascisti.

Manca ancora qualche giorno all’arrivo da Roma delle personalità di spicco, sinceramente non mi interessa, l’unica cosa che voglio è prendere l’assassino del professore e di Giorgini, questa è la mia priorità.

Entro in un bar e chiedo un caffè, leggo i titoli della Stampa, ma non vi è nessun accenno all’indagini in corso. Per i giornalisti esiste solo la visita di De Bono e soci.

Perino mi avverte che anche lo studente è scomparso, al liceo sono giorni che non lo vedono e a casa sua i genitori dicono sia scomparso dall’altra sera. Al nostro agente hanno risposto che il ragazzo gli ha fatto sapere che avrebbe dormito a casa di un suo amico e di non preoccuparsi: “Chi sia questo amico non hanno saputo dirmelo”.

“Perino, ho come impressione che lui e Ferrini stiano architettando qualcosa…ma cosa dannazione!”.

Sento dei colleghi lamentarsi fuori dall’ufficio e domando cosa sia successo: “Commissario, ci hanno tolto l’incarico di proteggere De Bono e soci, c’è stato un furto di un paio di auto in zona San Paolo e dobbiamo cercare di  riuscire a rintracciarle…lei sa cosa vuol dire vero? Girare tutte le officine della città e sperare in un colpo di fortuna, se becco i ladri…”.

Sorrido a questa affermazione, posso capirli, in questi casi è una gran faticaccia e sovente le auto rubate sono già state smontate o portate in altre città.

“Buon lavoro ragazzi e non prendetevela, a fare da guardia a quei signori siamo già in troppi”.

Ed è la verità, tra gli agenti della questura ed i miliziani si corre il rischio di pestarsi i piedi a vicenda.

Una telefonata di mamma Gina mi avverte che un cameriere del Dilma vorrebbe parlarmi: “ Non ha lasciato detto chi è, ho risposto al signore che può venire da me verso l’una, ho fatto male?”.

“No, ha fatto benissimo, così ne approfitto per pranzare da lei”.

Sicuramente è Restagno, ed infatti non mi sono sbagliato. Entra nel locale e si guarda attorno con attenzione per vedere se ci sono volti a lui conosciuti.

“Prego Restagno si segga e stia tranquillo, in questo locale i clienti del Dilma non ne vedrà, mi creda sulla parola”.

“Grazie commissario, come ho detto l’altra volta bisogna fare attenzione, certa gente, non scherza. Sono qui per dirle che un mio collega ha sentito una certa discussione tra di loro”.

“Di cosa parlavano?”.

“Erano in quattro, Ferrini era tra loro. La discussione era animata, loro erano sul pontile che dà l’accesso alle canoe. Ferrini dice che a questo punto il piano non può  cambiare e che tutto è  pronto”.

“Che piano?”.

“Questo il collega non ha saputo dirmelo. 

Uno di loro ha chiesto a Ferrini, se è sicuro che la strada sia quella prestabilita ed ha risposto di si. Loro devono solo tenersi pronti, hanno chiesto in quanti sarebbero stati, una decina di uomini circa è stata la sua risposta”.

“Che diavolo vorrà dire? Ovviamente c’è qualcosa sotto, ma cosa? Il suo collega ha sentito altro?”.

“Solo un’altra cosa, hanno domandato se i dolcetti sono stati portati al capanno”.

“Dolcetti?”.

“Anche io sono rimasto perplesso, il collega mi ha risposto che hanno usato proprio la parola dolcetti, poi dopo averla detta si sono messi a ridere tutti quanti. Questo è tutto commissario”.

“Grazie Restagno e dica anche al suo collega che è stato in gamba”.

 

Riferisco a Tirdi e Perino il colloquio avuto con il cameriere del Dilma, anche loro sono perplessi sulla parola dolcetti. Che ci sia sotto qualcosa è sicuro ma cosa?

“Poi non solo quella, anche la strada prestabilita, ma che strada? Per andare dove?”.

“Unica cosa sarebbe arrestare uno di loro e farlo parlare” .
“Con che accusa Tirdi? Non abbiamo in mano nulla. Pedinarli, ma l’abbiamo fatto con Ferrini e il ragazzo, quest’ultimo è scomparso e nessuno sa dove sia finito”.

“Il questore non potrebbe emettere un mandato? Sospetta collusione con l’assassino di Giorgetti”.

“Non lo farebbe mai, rischierebbe di trovarsi in un mare di guai e noi con lui. Ferrini ha conoscenze nelle alte sfere romane…meglio continuare a sorvegliarli e sperare in un loro errore, in ogni caso provo ad andare dal questore, chissà che parlando con lui non mi venga un’idea”.

Ma anche dalla conversazione con lui non esce nulla di propositivo in merito all’indagine. E’ perplesso come me,  non sa dare una spiegazione in merito a quello che ha sentito il cameriere del Dilma.

“Berardi, l’unica cosa è pedinarli; certo uno per uno diventa problematica, potrei dirle di seguire solo il Ferrini, ma come lei saprà bene si è offerto per accompagnare i signori di Roma nella sua villa a Moncalieri. Quindi escludo che possa mettere in atto qualche cosa di losco, almeno non fino a quando questi signori rimangono in città. Gli altri che sono con lui sapete chi sono?”.

“No signor questore, non hanno saputo dirmi i loro nomi, solo che sono o sembrano picchiatori di professione, deduco che appartengono alla sfera miliziana. Ho pensato di farmi dare i nomi ma ho rinunciato, in quell’ambiente regna l’omertà, mettendo poi in allerta Ferrini”.

“Ha fatto bene, già una volta si è lamentato di lei, ha capito benissimo che è andato a casa sua a parlare con la moglie…prosegua la sua indagine e appena sa qualcosa venga a riferirmelo”. 

Nei giorni seguenti non succede nulla, la questura è sempre più in fibrillazione per l’arrivo da Roma dei personaggi altolocati. La data del 29 è prossima, il piano sicurezza sta procedendo bene.

Il podestà ci fa pervenire il tragitto che l’auto farà dalla stazione alla villa di Ferrini.

Il tragitto è dato dallo stesso proprietario. Sono circa mezz’ora di viaggio, ha riferito alle autorità. La scorta si basa su due vetture con quattro uomini ciascuna, tutti gli uomini obbediscono a  Ferrini .

 

Non commento la lettera a fine lettura, non mi importa nulla di De Bono e i suoi amici, quello che vorrei capire è chi ha ucciso Beraudo e Giorgini poiché un filo lega i due omicidi. E poi Ferrini, cosa c’entra in tutto questo? Perché sono convinto che lui c’è dentro a questa storia fino al collo.

La giornata fatidica finalmente è giunta, alla stazione di Porta Nuova centinaia di concittadini aspettano l’arrivo del treno proveniente da Roma. Nell’atrio la banda municipale inizia a suonare l’inno italiano e altre melodie care ai fascisti. Fuori dalla stazione poliziotti in borghese e non solo vigilano su eventuali facinorosi, camionette della milizia vanno avanti e indietro senza sosta nel perimetro intorno alla stazione.

Le auto predisposte da Ferrini sono parcheggiate all’uscita laterale di via Nizza.

Appena uscito dal portone della questura vedo venirmi incontro la sorella di Beraudo.

“Buongiorno commissario, stavo venendo proprio da lei”.

Vorrei dirle che non posso trattenermi, ma in fondo non è che mi importi molto di trovarmi alla stazione , la mia assenza non si noterà di certo.

“Venga signorina…tranquilla, non disturba affatto, non si preoccupi”.

In ufficio mi chiede se ci sono novità, mi riferisce che suo fratello è stato sepolto e che spera possa riposare in pace: ”Dicono che chi muore di violenza vaghi in eterno”.

Sorrido e le chiedo scusa: “Sinceramente penso che quando uno è morto non vaghi da nessuna parte, spero di non offendere i suoi sentimenti”.

“Non li offende, lo penso pure io, ma lei sa che certe credenze sono dure a morire. Ripenso ai giorni che eravamo bambini, a quando correvamo a nasconderci nel fienile…a mio padre che lo chiamava sempre bertela, sa tra noi due Ettore era il suo preferito”.

Mi guarda stupita: “Scusi lei non può saperlo, è il soprannome che gli aveva dato, fin da bambino, mio fratello fin da bambino preferiva le bretelle alla cintura per tenere su i calzoni”.

“Originale come soprannome…buffo davv…”.

Non finisco la frase, le mie mani aprono il cassetto della scrivania, cerco la lista con i nomi dei clienti che hanno una cassetta di sicurezza ma non la trovo. Chiedo a Tirdi se sa dove è stata messa, mi risponde che l’ho  messa in un’agenda ma che non sa dove sia finita. Rovescio i contenuti sul tavolo ma non la vedo, qualcuno l’ha rubata è il mio primo pensiero, poi da sotto una pila di fogli eccola spuntare. La apro e la lista è all’interno con la chiavetta.

Sfoglio i nomi ed un grido di esultanza riempie la stanza.

Bretella Ovidio, eccolo come si era firmato Beraudo Ettore.

“Presto Tirdi andiamo in banca dove si trova la cassetta di sicurezza, vuole venire con noi signorina?”.

La banca dista a non più di due isolati da dove abitava la vittima, nonostante non abbia con me il permesso per aprire la cassetta firmato dal questore, il direttore acconsente alla mia richiesta, soprattutto se viene minacciato di complicità in un duplice omicidio.

“Se si tratta di essere utile all’indagine, faccia pure commissario”.

La chiavetta apre lo sportello della cassetta, dentro vi è un pacchetto legato con della corda. Lo apro e al suo interno c’è un’agendina di color nera, sfoglio le pagine e solo allora capisco perché è stato ucciso il professore. Domando alla sorella  se la scrittura vergata sui fogli è quella del fratello ucciso, risponde di si.

Metto l’agenda in tasca e dico a Tirdi di andare alla stazione: “Vai veloce più che puoi…signorina, ho trovato l’assassino di suo fratello, ma per la sua incolumità meglio che torni nel mio ufficio…la prego non insista…mi aspetti se vuole oppure se preferisce torni pure casa, la chiamo io”.

Tirdi sfreccia con l’automobile verso Porta Nuova. Quando arriviamo ci troviamo un muro di persone, vedo un miliziano e domando se il treno è già arrivato, mi risponde di si:”  E’ arrivato in anticipo di una decina di minuti”.

Impreco a questa frase, mi domanda il motivo: “Prendi con te qualche tuo camerata e seguici”.

“Io non prendo ordini da lei…non so chi sia!”. La sua mano corre al mitra di ordinanza.

“Commissario Berardi, e se non ti muovi ti ritroverai nei casini fino al collo che manco ti immagini”.

Il tono della mia voce non lascia dubbi, il camerata chiama alcuni dei suoi e spiega la faccenda. Cerchiamo di andare a tutta velocità ma non è facile, nonostante la bravura del mio collega, dieci minuti sono tantissimi in questo caso. Riguardo l’agenda e capisco tutto, compresa la morte di Giorgetti.

Siamo alle porte di Moncalieri, segnalo a Tirdi la strada da prendere a lato del castello,  quella che va verso Trofarello.

“Ma commissario, la villa di Ferrini non è da questa parte”.

“Lo so Tirdi, ma loro prendendo la salita perderanno un po’ di tempo, e quando dovranno rimettersi su questa strada noi gli blocchiamo…schiaccia l’acceleratore per Dio!”.

( Continua)

 

 
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