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Un blog creato da alias.ego9 il 06/12/2012

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La casa

Post n°1 pubblicato il 06 Dicembre 2012 da alias.ego9
 

Capitolo 1

"Non c'è più nessuno che ti potrà proteggere." Nessuno... "non c'è mai stato nessuno nella tua vita che ti ha protetto." Nessuno... La luce centrale del bagno sfavillava, come sempre, come ogni giorno quando rientrava a casa dopo il suo lavoro interminabile, la luce continuava sfavillare per un attimo le era apparsa sbeffeggiante di lei, lì, seduta su quella tazza mentre tutti nelle altre stanze armeggiavano per portare via per sempre quello che era stata la sua vita nella casa. Tutti, svuotavano gli armadi, tutti, prendevano possesso di ogni oggetto, di ogni suppellettile, di ogni libro, di tutti gli abiti e di tutto quello che era la sua misera esistenza e le... Lei, semplicemente non poteva che sedersi nel unico luogo che era già stato svuotato, come la sua vita, il bagno della casa. Bianco, pulito e vuoto, privato della vita proprio come lei priva di vita.

"Nessuno," una sola parola per identificare il niente, eppure c'era un tempo che quella casa era piena di persone un tempo trascorso, un tempo che riecheggiava nella sua sola memoria, quella di una bambina che adesso divenuta donna era lì, inerme come sempre di fronte alla sua vita non vissuta, tuttavia, viva, da sentire la desolazione avvolgerle il cuore e il pensiero e, forse, anche il suo corpo e il suo viso da bambolina.

Al pensiero della bambolina, le tornò in mente lui, scacciatolo con forza dai pensieri divenne nuovamente persistente scacciatolo era divenuto lui al posto di nessuno.

La porta si aprì: "Vieni andiamo! Abbiamo finito. Vedrai che starai bene con noi e tua sorella sarà felice in questa casa, infondo lo sei stata anche tu!" Una mano si protese verso di lei, una mano vecchia e rugosa, un bacio di labbra fredde si avvicinò alla sua fronte. Fu la fine.

***

Il vecchio scrittore si era appena incatenato a quella che riteneva "casa", un bar. Sì, i proprietari erano lì, con le forze dell'ordine, erano lì, senza dire una parola di fronte allo sfratto, lui no, si sentiva defraudato di quella che per lui era la sua casa, il bar, che nella sua immaginazione era la casa dei suoi personaggi e delle persone che attraversavano le sale e di tutto quello che era per lui più simile a una famiglia. Così, in un gesto estremo  senza appello, si era incatenato all'unica cosa dove poteva avvinghiarsi con le pesanti catene che aveva acquistato il giorno prima dal ferramenta dell'angolo, alla saracinesca della vetrina.

Guardava furioso e inorridito la pattuglia di polizia e urlava disperato "non potete chiuderlo, è la mia casa!", eppure nessuno tra i presenti della piccola folla dei passati che via via aveva gremito il vicolo e l'ambulanza chiamata da non si sa bene chi e la polizia e i proprietari che lo guardavano con occhi supplichevoli e di rassegnazione. Nessuno capiva esattamente cosa stava avvenendo. Nessuno. A lui, al vecchio scrittore, non rimaneva che urlare.

Urlava. Urlava con tutte le sue forze perché quella era casa sua e con gli occhi sbarrati fuori dalle orbite, osservava tutti, con il cuore che gli batteva all'impazzata per essersi legato troppo stretto e per lo sforzo di urlare con tutta la sua anima che lui, non si sarebbe mai rassegnato non poteva perdere la sua casa. Urlava tanto che stremato a volte si rendeva conto di sentire la sua saliva scivolare e bagnargli il colletto della camicia, tuttavia, a quella sensazione di umido corrispondeva un nuovo urlo ancora più forte e ancora più lacerante. "Non ne avete il diritto è la mia casa!"

***

A quel bacio freddo, corrispose la sua reazione, prese quella mano gelida e rugosa tra le sue e si alzò percorse per l'ultima volta il corridoio della casa, prima di uscire dall'uscio, cercò, il pacchetto di sigarette nella tasca ne estrasse una e in un gesto automatico l'accese. Tirò forte, ne conseguì un colpo di tosse convulsivo, uscì per sempre dalla casa. Si fermò un attimo guardando la vecchia figura che si allontanava sul retro della abitazione, volse gli occhi al cielo era stellato. Un brivido di freddo la riportò a un immagine televisiva una scena assurda che aveva visto in estate il vecchio scrittore di fama nazionale, miseramente legato e incatenato come una salsiccia alla serranda di un locale della grande metropoli, pensò che lui, almeno ne aveva avuto il coraggio e che forse era riuscito ad ottenere qualcosa. Un secondo tiro. Volse lo sguardo alla città illuminata e a un tratto le ritornò il pensiero di lui che la chiava "bambolina", scacciò il pensiero con forza esasperata con un altro tiro e il fumo le andò negli occhi, le scese una lacrima calda e pensò ancora al vecchio scrittore che piangeva. Disse con flebile voce a nessuno "Io non ho che una lacrima di fumo."

***

Tra le onde della burrasca, c'era l'ingegnere troppo vecchio per iniziare a esserlo troppo giovane per essere quello che era riportato sul papiro che aveva stretto con una corda e messo nella valigia. Stringeva forte il ventre per non vomitare, la sosta in Corsica l'aveva messo di cattivo umore per arrivare "in continente" ci avrebbe impiegato due giorni, serrava la mandibola, faceva scricchiolare i denti, tuttavia, aveva dovuto stringere i denti per tutta la vita, per arrivare a quella nave immersa nella burrasca, aveva dovuto studiare tutto quello che non gli piaceva, lui era quel pezzo di carta in pergamena nella valigia, nulla di più. Si sentiva nessuno.

Pensava alla casa che aveva lasciato, poche stanze stanche dove sua madre si trascinava e dove suo padre rideva e scherzava e dove aveva lasciato suo fratello nel silenzio delle parole non dette. L'ingegnere, chiuse gli occhi nella morsa stretta del suo stomaco e le apparve lei, la donna che pochi anni prima in un blog scriveva poesie, lei, la maestra delle elementari che con un sorriso gli aveva riscaldato il cuore. Pensò per un attimo alla sua nuova casa quella che la sorella della sua maestrina aveva lasciato per loro, la immaginò, per quello che ne era il suo ricordo, nelle estati calde negli anni precedenti. Quella casa, non era come la sua in Sardegna era diversa, forse, perché c'era lei, la maestrina che lo ascoltava e che l'amava oltre la vita. Lo stomaco gli faceva meno male, il freddo era meno pungente e si addormentò.

***

Scorreva l'e-mail, con velocità: cancelleria, forze dell'ordine, avvocati, procura, giornalisti, scorreva, con la rotellina del mouse poi un solo istante finiva sempre lì, su quella mail vecchia di mesi aperta, letta e riletta. La sapeva a memoria ma la rileggeva  svariate volte al giorno e tutte le sere prima di coricarsi, la leggeva per sentirla vicina e per sentirsi vivo. Si era aggrappato a una mail, scritta da lei, molti mesi prima, ma quella mail era magica in qualche modo era la linfa vitale della sua esistenza. Il pensiero si imbeveva dell'unica notte trascorsa con lei,  a volte la descriveva con il pensiero in ogni particolare, a volte ripercorreva tutto, e, ancora voleva dimenticarla. Si strofino gli occhi dimenticando le lenti a contatto gli occhi si irritarono e pensò che gli stavano maledettamente bruciando. "anch'io sto bruciando!" pensò, chiuse automaticamente la mail, contemporaneamente apparve sua moglie spalancando la porta dello studio

"vieni a dormire? O pensi di fare come al solito di lavorare?"

Il giudice la uccise con lo sguardo e rispose con garbo e sarcastico disse: "da quando ti interessi del mio riposo!?"

"Da quando? lo sai cosa mi ha detto la vicina? Tuo marito lavora sempre anche di notte! Almeno mantieni le parvenze e chiudi le tapparelle, così non sanno che dormi nello studio!"

Il giudice "chiudi la porta per favore, è anche casa mia questa, ho il diritto di fare quello che voglio anch'io!"

"Nessun diritto! caro mio! se ci criticano!" disse la moglie seccata sbattendo la porta.

 

 

Il giudice chiuse gli occhi si appoggiò allo schienale della sua poltrona con il capo all'indietro incassato nel collo, stese le braccia in avanti, le mani senza fede sulla scrivania, sentì, il freddo del vetro passare attraverso i polpastrelli e un brivido lo percorse e lo fece trasalire, con un gesto automatico portò le dita alle palpebre e con un solo gesto abituale fece scivolare le lenti a contatto fuori dagli occhi e per un istante rimase esterrefatto la vide lì, accanto all'orologio di suo nonno un vecchio pendolo, la vide perfettamente con il suo viso di porcellana... Atterrito, pensò "Sono troppo stanco ho bisogno di dormire. Avrà anche il dono dell'ubiquità? impossibile nessuno ce l'ha, nessuno può essere qui e in un altro luogo. Nessuno.

 
 
 

La riga

Post n°2 pubblicato il 11 Dicembre 2012 da alias.ego9

Capitolo 2

 

La pioggia battente era davvero una seccatura soprattutto, quanto ferma al ciglio della strada avrebbe dovuto ascoltare il suo interlocutore al telefono, tuttavia, la pioggia non accennava a cessare. Invano cercò di chiudere la conversazione senza ottenere l'esito positivo che aveva sperato ormai senza speranza fece finta di non sentirlo più e chiuse l'apparecchio senza pentimento spegnendolo definitivamente.

La pioggia invernale era sempre uno degli elementi naturali che la sconcertavano maggiormente, rimase a lungo seduta in auto senza pensare chiudendo gli occhi erano trascorse le 23 aveva ancora numerose ore di viaggio per arrivare a destinazione ma non aveva voglia di guidare. Richiuse gli occhi e lo pensò con una certa intensità e si rese conto che anche il suo ricordo si era sbiadito come tante altre cose della sua vita.

Una riga liscia le scivolò sulla guancia quasi senza accorgersene e solo al suo arrivo sul collo la ridestò, il pensiero corse a se stessa senza appello, "sto piangendo!" ma un' altra riga liscia le segnò il viso e si rese conto che non era lei a piangere ma semplicemente era la piaggia che entrava dal finestrino bagnandole impercettibilmente la guancia. Pensò sono talmente cretina che non mi rendo conto neppure se sto piangendo oppure no!

***

Il cuore gli batteva forte non era la prima volta che iniziava una nuova storia da narrare ma questa non era il suo solito romanzo era qualcosa di differente e iniziare quella riga per lui era come tornare al tema della quarta elementare che aveva scritto per la prima volta. Era lì, fermo davanti al suo quaderno scritto con la grafia in stampatello sempre più tremolante e sempre meno incisiva. Si guardò attorno era passato qualche anno e il bar era stato trasferito in periferia a qualche isolato dalla sua casa però era quasi meglio del precedente.

Aveva tutto, il boccale di birra, il sigaro, un altro bicchiere vuoto e la sua penna preferita ma il tutto era il niente di quella riga bianca da iniziare perché quella era l'unica storia vera che avrebbe raccontato in tutta la sua carriera e davvero questa volta si sarebbe giocato tutto. Gli sudava la mano, gli sudava anche la testa e con un gesto lento lontano dagli occhi indiscreti di Marlene la vecchia amica barista si sistemò il capello senza lasciare la penna. Se lascio la penna non scriverò mai la prima riga. Pensò, sospirando osservando le linee sottili de quaderno.

Un rumore improvviso di vetri rotti, per poco non gli fece cadere la penna che teneva stretta tra l'indice e il pollice tuttavia, fu felice di essere riuscito a tenerla ben salda e maledì urlando quello scellerato del nuovo ragazzo che faceva cadere qualsiasi cosa e urlò in direzione di Marlene "Mandalo via! Quel bastardo!"

Quell'urlo fu liberatorio e scrisse la sua prima riga in una frazione di secondo e mise il punto.

Adesso sì che posso bere e fumare, sarà un successo! Pensò, alzando la testa e chinandosi in avanti, rileggendo tra la gioia e la soddisfazione prese il capello e lo fece volare al centro della stanza che portava il suo nome. Lesto si mise in piedi e a passi di danza si avvicinò alla vecchia Marlene e la prese sottobraccio, "Balla con me Marlene!" e in men che no si dica aveva spostato un tavolino e prendendo per mano la Marlene sorpresa, la fece piroettare nel bar.

"Sei felice" le disse Marlene, volteggiando tra le sue braccia, "Oddio, ma sei davvero felice! Sono anni che non ti vedevo così! Dio, Alfi se mi fai girare così, non riuscirò a chiudere questa sera!"

Bastardo! Festeggia anche tu! Urlò Alfi con trent’anni in meno. Bastardo festeggia anche tu! Il giovane baristello era incredulo erano appena tre giorni che lavora lì e quel pazzo dello scrittore e quella vecchia megera erano lì a ballare al centro del locale con i clienti increduli e lui ancor di più, non riusciva a capacitarsi di cosa diavolo aveva reso felice quello stronzo del vecchio.

Il baristello non poté che scoppiare in una fragorosa risata quando i due in un volteggio caddero l'uno sopra l'altra rendendosi ridicoli agli occhi di tutti, ma dovette soffocarla e correre a rialzarli... Il vecchio scrittore era ancora più contento aveva un sorriso esagerato e puzzava di sigaro e alcol e le vecchia era lì sotto di lui, come una cretina che rideva a crepa pelle e tra un singhiozzo e una lacrima, gridando disse: "Alfi, sei matto! Sei matto da legare ma tutto questo c'est pour elle, puoi dirlo vecchio marpione! Fermandosi e irrigidendo i tratti sottili che caratterizzavano il suo viso non giovane guardò il vecchio scrittore socchiudendo gli occhi e indagando in quelli di lui. Marlene cercava quella luce che credeva si fosse spenta per sempre, eppure no, era lì presente nello sguardo del vecchi amico.

"Mon Dieu tu es... Dieu de la France non ci posso credere..." Intanto, il baristello smilzo e magro con i pantaloni che gli scendevano dalla vita privi di qual si voglia cintura e con un lembo delle mutande che gli scopriva il culetto cercava con un grande sforzo prendendo per un braccio il vecchio di rialzarlo ma senza alcun esito.

E lo scrittore a ogni strattone senza distogliere lo sguardo da quello di Marlene, urlava "Bastardo lasciami stare! Non mi toccare! e al ripetersi di questa frase corrispondeva una fragorosa risata, ma il piccolo bastardo era davvero insopportabile al ché allo strattone più forte del baristello coincise il gesto liberatorio involontario dello scrittore, che fece volare il giovane dritto verso l'ingresso del bar e in quel preciso istante entrò Mistik il cane di Marlene che nel trambusto generale aveva spinto più che poteva la pesante porta a vetri del locale con la forza di una belva si avventò contro il baristello mordendolo dritto dritto sull'unico lembo rosso del giovane le mutande.

Mistik! Mistik! Laisse Antonio! Trascinandosi senza riuscire a rialzarsi e cercando di riafferrare il cane al fine di salvare il baristello! Ma Alfi era stato davvero molto svelto ed era riuscito con un calcio sul muso di Mistik a distoglierlo dal piccolo bastardo.

Urlando adesso lui, come una belva contro in cane, si prese il ragazzo proteggendolo con il suo corpo e urlando "Bastardo d'un cane! Hai morso questo inutile bastardo!" e ancora gridando a squarcia gola e proteggendo il ragazzino che piangeva per il dolore, lo spavento e per le urla, ma il vecchio scrittore imperterrito urlava: adesso a rivolgendosi a Marlene che cercava di calmare il cane che ringhiava ancora: "Marlene! Ti ho detto manda via Questo bastardo! Licenzialo!" e poi rivolgendosi al cane: Bastardo! Hai morso il bastardo! Bastardo ma non si morde Mistik perché altrimenti sei davvero un bastardo d'un cane! Sempre con più affanno ma parando il giovane. Marlene! Tu quel bastardo devi metterlo in riga! Marlene! E il bastardo mandalo via! Marlene devi metterli tutti e due in riga sono due bastardi!

I due bastardi, tra le urla del vecchio scrittore erano doloranti, l'uno per il posteriore morsicato e l'altro per il calcio ricevuto sul muso. Si guardarono diritti nelle pupille mentre gli animi si acchetavano e le righe segnavano il volto di uno e il muso dell'altro; erano righe di profonda comprensione e d'intesa. Da quel momento avrebbero odiato l'unico bastardo della situazione: il vecchio scrittore e quell'odio del silenzio che va oltre l'essere uomo e cane, li avrebbe accomunati per una vita intera in un sodalizio strano e recondito. Antonio e Mistik stesero una sottile linea che divenne nel tempo la prima riga della loro storia un amicizia profonda.

***

Una riga lunga che percorreva tutto lo schermo dell'ipad acquistato fresco fresco di fabbrica. Una riga fatta di pixcel punti di uno schermo, quasi non voleva crederci il giudice, quando all'accensione la vide, rimase a lungo con il tablet fermo tra le mani,  lo prese lo fece roteare per un istante e lo osservò con attenzione.

Sì, una riga di pixcel nella suo nuovissimo tablet era scioccato.

Il giudice non si scioccava mai di nulla era abituato a quanto di più assurdo per tutto il genere umano doveva essere tremendo e disorientante ma lui aveva scelto il suo mestiere perché lui era tagliato solo per quello decidere della vita delle persone in pochi minuti.

Dentro o Fuori!

Era il suo motto e con una lucidità estrema decideva da sempre se un uomo aveva sbagliato o se non aveva sbagliato, se aveva un debito oppure no, con la società.

Ma la riga era qualcosa di davvero inaspettato, spense e riaccese l'apparecchio per tre, quattro volte.

Assurdo! Pensò.

Quella riga lo infastidiva, quella riga fatta di tanti puntini lo infastidiva tremmendamente, tuttavia, ne avrebbe ricomprato immediatamente un altro, infondo era garantito.

***

Era un adolescente come tante altre con i capelli lunghi rossi tinti di quel colore come lo chiamano, pensò l'ingegnere Ah Sì, Mogano! La osservava tutte le mattine nel suo tragitto sulla corriera che in continente si chiama autobus era piccola minuta con un enorme zaino sulle spalle aveva compreso dai dialoghi con le amiche che frequentava la seconda media era sempre molto carina con le amiche e gentile, si era stupito di quella ragazzina dai modi aggraziati e la osservava da dietro i suo occhiali di bottiglia, provava simpatia genuina per quella fanciulla, nulla di ché, ma quella mattina era piuttosto silenziosa rispetto al gruppo e aveva destato la curiosità di tutti gli altri ragazzi perché in mano aveva una riga di legno di quelle che l'ingegnere conosceva bene anch'egli da ragazzo l'usava spesso a scuola.

Quella riga era divenuta oggetto di curiosità di tutti i giovani nell'autobus avevano passato il tempo a guardarla e ammirarla, poi qualcuno aveva tentato di usarla per rompere la testa al vicino, invece altri l'avevano strofinata chi sui jeans, chi nei capelli dell'amico ed in fine era divenuta oggetto di battute oscene.

La riga era passata di mano in mano fino a tornare nelle mani della minuta ragazzina che trionfante aveva spiegato che quella riga in legno era un cimelio di famiglia era appartenuta a suo nonno, un geometra, armeggiava con lo zaino prima di scendere stringendola con le dita bianchissime laccate dai mille colori.

L'ingegnere pensò che aveva solo trentatre anni come Gesù Cristo e tuttavia, anche lui aveva avuto fino a poco tempo fa una riga come quella e che non si sentiva un vecchio. La riga come altre cose l'aveva lasciata nella sua casa nel centro della Sardegna, pensò che la vita di quella ragazza non sarebbe stata crudele come per la maggior parte delle sue amiche che vivevano nel suo paese, niente lavoro, niente casa, niente soldi, niente di niente solo il nulla. Quella ragazza era come loro, minuta e piccola però era nata al nord e che voleva dire una sola parola lavoro.

 

L'ingegnere scese dalla corriera e a tratti osservò la ragazzina ancora una volta con quella riga della lunghezza di un metro che gli ricordava un tempo che non c'era più il tempo dell'attesa di realizzare il suo sogno, perché lui che aveva accarezzato il sogno di un lavoro, di una casa e dell'amore: l'aveva e infondo anche se quella riga era rimasta oltre mare, non si rammaricava perché adesso lui stava vivendo davvero il suo unico semplice sogno: vivere dignitosamente.

 
 
 

La crema

Post n°3 pubblicato il 14 Dicembre 2012 da alias.ego9

 

 

Capitolo 3

Un viso pallido e sorridente ingiallito dal tempo, occhi scuri e capelli lunghi nerissimi era questi i tratti del volto della foto. Il vecchio scrittore sentiva ancora quel profumo intenso di quei capelli erano misti a profumi e alle creme di una volta, non sapeva come mai quel profumo lo inebriasse anche se erano passati oltre trent’anni da quando l'aveva perduta.

Il profumo di quella crema ricavata dalla cera d'api e profumata alle rose era dolciastro e il grasso lo faceva impazzire ed era quello che andava cercando nelle donne che frequentava da una vita e nei transessuali delle vie della sua tanto amata e odiata città, eppure quel profumo non lo trovava nelle donne di malaffare, sapevano solo di tabacco, cocaina e di sesso, i trans che abitualmente frequentava invece avevano quei profumi forti, penetranti e rancidi che non avevano nulla a che fare con quella crema di rose antica.

Il vecchio scrittore, si chiedeva se quella crema grassa che lasciava oleoso il viso di sua madre esistesse ancora, a volte era stato tentato di entrare in uno di quei negozi "i super mercati!" e di cercarla, gli mancava quel profumo come l'aria.

Negli anni si era più volte appostato davanti a un negozio per entrarvi ma era più forte di lui, quelle luci, le pubblicità e tutta quella gente con i carrelli, per lui era impossibile e ci volle poco per desistere, così non potendo cercarla personalmente aveva incaricato Vanda, la sua donna di servizio di andare alla ricerca di quella crema. Tutta la metropoli conosceva ormai Vanda che entrava in ogni profumeria e usciva con una miriade di creme e botticini per accontentare il suo padrone, ormai non c'era una profumeria dove non fosse stata o un negozio.

Il vecchio scrittore, l'attendeva a casa, non appena lei entrava lui si avventava su borse e borsini, apriva tutti i vasetti con una rapidità che Vanda non comprendeva, anzi aveva smesso di chiedersi il perché di quegli acquisti tutti di creme femminili e tutti alle rose.

Lui apriva ogni vasetto velocemente li metteva in riga sul tavolo del soggiorno, e li osserva con attenzione poi iniziava con una solenne cerimonia l'apertura di ogni cimelio e iniziava lentamente a spalmarsi la crema, a sentirne l'odore sulla sua pelle e quando si rendeva conto che non era quella, allora, la prendeva e quand'era di buon umore la riposava sul tavolo e con non curanza la lasciava aperta, ci avrebbe pensato Vanda dopo, invece, quand'era in uno dei suoi stati emotivi di estrema tristezza aveva già bevuto e fumava il sigaro, prendeva la crema se la spalmava sul braccio destro, accorgendosi che non era lei, la prendeva e la gettava con violenza sul pavimento, sui mobili e sulla parete, tanto Vanda avrebbe pulito.

A Vanda non interessava la pagava davvero tantissimo se fosse stata un impiegata non avrebbe mai preso quello stipendio e per lei pulire le malefatte del vecchio alla fine non importava, "Tanto è casa sua" pensava mentre lo osserva nel rituale, "se rimane sporca e unta e tutti i mobili sono bollati sono i suoi"

Lui era sempre assorto alla ricerca di quella crema che gli rammentava le carezze di quand'era bambino di sua madre e i baci di sua madre. Vanda al termine del rito ritirava boccette e vasetti e li portava a casa aveva migliaia di creme, a volte, le regalava alle amiche, alle vicine, poi non potendone più; un giorno decise di darle ai poveri del centro della parrocchia vicina. "Almeno quel vecchio farà del bene a qualcuno", pensò quando telefono al centro dei volontari".

Vennero una settimana dopo, con un camioncino e i volontari si stupirono della quantità, tuttavia, non chiesero la provenienza e caricarono tutti i botticini e li portarono chissà dove. A Vanda piaceva pensare che aveva fatto del bene, in effetti il bene lo faceva tutti i giorni a ripulire quello che un tempo doveva essere un appartamento signorile e che era divenuto un tugurio che lei ripuliva dalle baldorie del vecchio. Quello che odiava era pulire quando in casa era passato un trans lei li riconosceva dall'odore che lasciavano e dal trucco nelle lenzuola e da tanti altri liquidi umani e dai posacenere e dal fumo che lasciavano e dal vecchio che spesso era ubriaco e gonfio con il culo per aria magari addormentato sui braccioli del divano. "Amore mercenario" pensava entrando nell'appartamento buio, lo sapeva dall'odore dell'ingresso.

"I trans lasciano sempre quell'odore di sesso maschile altro che le donne e le puttane" si diceva borbottando, accendeva la luce e poi apriva le finestre, spingendo le pesanti ante di legno, poi si dirigeva nella camera, cambiava velocemente le lenzuola, ne rimetteva delle pulite e poi andava a raccattare il vecchio, mezzo nudo a volte con i pantaloni abbassati alle caviglie e doveva toglierglieli mentre lui russava, poi lo risvegliava il giusto per accompagnarlo nel letto e lo lasciava dormire. "signore si ricordi..." poche parole ma era inutile,  impostava le cinque sveglie della camera, se ne andava in punta di piedi e lo lasciava dormire ancora qualche ora...

***

Lei era spesso di fretta apriva la borsa nei posti impensati e si truccava, poi al termine c'era sempre la sua crema per il viso che spalmava sul dorso delle mani, sul palmo e poi sul viso. Adorava quella crema che da sempre era un gesto simile a quello che aveva fatto sua madre e sua nonna, quella crema era straordinaria, anche quando aveva le occhiaie e si sentiva tirare la pelle per aver fumato troppo era il suo tocca sana. Una crema così, pensava "Spero che continuino a produrla perché senza sono perduta", quella crema oleosa alle rose era il suo unico vezzo, adorava profumare di quella crema... Quando non aveva fretta, si spalmava quella crema pesino sul seno e poi nuda si metteva a letto e poi dopo qualche minuto si copriva con un vecchio accappatoio e usciva con la sua nudità coperta a fumare... adorava il fumo sottile che si alza da quella sigaretta e il suo seno unto e profumante di quella crema alle rose, e stava così al buoi della notte...

***

Quella mattina avrebbe dovuto prendere il treno per Venezia era decisamente infreddolito, tuttavia, aveva chiamato il solito Taxi e si era recato alla stazione della grande metropoli, si sentiva stanco, aveva visto le sue occhiaie e i suoi occhi sprofondare nel nulla della sua faccia. Quella mattina era davvero stanco, voleva farla finita con tutto quel lavoro, con le conferenze e la stesura del suo ultimo manuale per penalisti. La stazione come sempre brulicava di gente di ogni colore e razza, ma gli dava noia viaggiare in stazione senza avere un giornale decente da leggere la sua partenza sarebbe durata qualche ora e allora, si avvicendò verso un edicola con l'intento di acquistare un quotidiano aveva il suo nuovo ipad "ma i giornali in carta sono di carta" pensò, era assorto dai suoi pensieri, Quando qualcuno che correva lo spinse brutalmente in avanti facendolo sobbalzare fortuna che non era un fuscello e non cadde, nel trambusto generale capì che era uno dei soliti ladruncoli della stazione centrale, con gesto istintivo mise la mano attraverso il cappotto raggiungendo la tasca interiore della giacca, fortuna il portafoglio c'era ancora. "Oddio", pensò "Se fossi stato rapinato, sarei finito sui giornali, Giudice rapinato alla stazione centrale" Assurdo!?

Fu lì in quel momento che comprese cos'era accaduto, il ladro aveva anche scaraventa dieci passi più in avanti una donna per terra e i libri che questa tentava di raccogliere nell'andirivieni della gente indifferente. Il giudice guardò l'orologio, fece quei dieci passi in avanti e si chinò a raccogliere una decina di libri, notò da subito il titolo Traduzione dell'essere, poi quando ne fece un mucchietto di una decina li osservò meglio erano tutti uguali e allora, incuriosito li porse alla donna e fu lì che la vide per la prima volta accovacciata intenta a inserire ogni libro in una borse che avrebbe dovuto contenere un pc. Lei gli pianto due occhi grandi come quelli di un cerbiatto nei suoi da farlo stare senza fiato e per un attimo non disse nulla e gli porse solo i libri.

"Lei è una libraia?" che domanda idiota pensò, mentre sfoderava uno dei suoi migliori sorrisi di sempre. La risposta fu "grazie" e un no secco.

In una frazione di secondo "si è fatta male?" "Vuole venire a bere un caffè?", il giudice si sentiva impacciato per la seconda domanda tuttavia sorrise, con i suoi denti bianchissi.

"No, ho bisogno di fumare! Noi fumatori siamo ghettizzati!" e un sorriso e una risatina apparvero sul volto di quella bambolina.

Il giudice ne rimase affascinato e assunse un espressione da ebete, si sentiva un quattordicenne e allora ebbe un barlume di ragione e disse: "l'accompagno a un binario laterale c'è una zona fumatori"

La osservo, stava cercando a terra qualcosa, poi con quell'acume che normalmente non aveva mai avuto con le donne, il giudice vide un baratto a terra accanto a un pilastro era oramai aperto, si avvicinò si chinò e lo raccolse la crema rosa che era per metà fuori uscita ma un profumo inebriante di rose gli pervase le narici , cercò di richiuderla come meglio poteva e la porse alla donna. Lei gli sorrise e gli disse "credo sia inutilizzabile la mia crema, meglio gettarla via"

Fu così che la conobbe.

Il giudice aveva le dita impiastricciate di quella crema tuttavia, mentre beve il caffè con la giovane donna e faceva battute esilaranti che non sapeva da dove gli provenivano si sentiva invasato da quell'odore di rose e da quell'unto di quella crema. La faceva ridere... Dio quella sconosciuta era  quello che ci voleva nella sua esistenza.

"Questa crema contiene di sicuro cocaina perché non sono mai stato così!"

***

Alla sera, la maestrina si sedeva davanti a un tavolino ricolmo di creme e profumi, e iniziava il suo rituale si struccava, all'ingegnere piaceva osservarla senza fasi vedere, lui era disteso sul letto sotto le coperte sonnecchiante e lei si preparava per la notte. Al termine lei prendeva sempre una crema oleosa alla rosa e la spalmava sempre sul viso e le mani e poi con la rimanenza si dirigeva verso di lui e gli spalmava il leggero velo di quella crema sul viso. E quel momento insignificante per lui era il suo paradiso, quel profumo di rosa lo faceva dormire come non aveva mail fatto nella sua vita precedente e lei la sua maestrina, sorrideva dicendo "è la crema che mi ha regalato mia sorella, la usavano tutte le donne della mia famiglia!"

Lui si addormentava felice abbracciandola per sempre.

***

La stazione l'odiava, tuttavia, per lavoro doveva transitarci proprio come tutti i cristiani che vi erano, troppi "bastardi immigrati!", pensava. "Devo per forza andare a registrare quella puntata in quella televisore è necessario, quello stronzo del mio agente ha detto che cache è alto, ma non lo sarà mai abbastanza per me che devo attraversare questa moltitudine di formiche, munita di borse e borsoni e viaggiare tra quei cani bastardi!"

Quella mattina la stazione era pessima e peggio dell'ultima volta che vi era transitato era davvero puzzolente e neppure la scala mobile funzionava per cui era davvero faticoso per lui trascinarsi quella borsa che Vanda gli aveva recentemente acquistato. Il fagotto era pesante e trascinarlo su per due di quelle rampe della stazione centrale era divenuta un impresa da titani erano infetti oltre cinquanta gradini, ma alla fine vi era riuscito, aveva voglia di accendersi il sigaro ma ormai neppure in stazione si poteva fumare.

Stava percorrendo uno dei corridoi umani che avrebbero dovuto condurlo ai tabelloni delle partenze, quando uno stronzo che stava correndo fece cadere una giovane donna, combinando un disastro nell'urtarla aveva fatto volare da borsa tanti libri  e un barattolo che rotolando era finito contro un pilastro aprendosi inesorabilmente. Lo scrittore era troppo distante per capire bene l'accaduto, sorrise e "Al diavolo la legge che mi multino! estrasse un sigaro dal taschino e lo accese con i fiammiferi.

Una donna lo riconobbe... Ma lei è... è quello della televisione quello che scrive? Miss… cusi ma come si chiama, Alda guarda c'è quello della televisione come si chiama? Sì, è lui...

Lo scrittore era indispettito gli girò la schiena e cercò invece di vedere che fine aveva fatto quella donna bionda. Era accovacciata a raccogliere, adesso c'era anche un uomo con il cappotto scuro che gli porgeva i libri, gli apparve per un istante di riconoscerlo ma non gli sovveniva dove l'aveva visto, lei era di spalle non riusciva vederla.

Ma... mi scusi, è lei è Alfio P.. la donna aveva ripreso questa volta con un foglio di carta in mano e una biro... Alfio lo scarabocchiò senza guardare, pur di non sentirla più, in tanto era assorto dai quei due.

Adesso lui era chino verso il pilastro aveva preso un barattolo e cercava di chiuderlo.

Il vecchio scrittore si illuminò, fece un passo verso i due ma la donnina gli si parò davanti: "non mi ha scritto nulla... Alda, presto, un altra penna ci scrive l'autografo presto..." eccitata e rossa per la vergogna, Alfio sorrise "su faccia presto" reiterò la sua firma e aggiunse con amore A. P.

Questa volta li aveva persi di vista, ma no erano vicino all'immondizia e vide lei gettare il barattolo.

Svelto cercò di rompere il flusso di persone e vi arrivò di fronte al contenitore, udendo in lontananza la donnina Grazie! E' stato un onore!

Ma cosa fà rovista nell'immondizia!? Ada, guarda quello della televisione rovista nell'immondizia!

Il vecchio scrittore era eccitato come non mai, quello era un barattolo di crema doveva assolutamente prenderlo e sentirne il profumo, tuttavia, l'immondizia era molta, iniziò a rovistare ma il contenitore era profondo e tra cartaccia, bottiglie... niente barattolo.

Irritato, prese il contenitore e lo rovesciò con forza, i viaggiatori a sciami erano inorriditi si fermavano urtandolo sbigottiti, guardandolo con sospetto, ilarità e scherno e lui per tutta risposta. "Bastardo cos'hai da guardare!?", finalmente, con il gesto di espellere tutta l'immondizia in un solo colpo, il barattolo era rotolato vicino alla valigia di una bellissima donna ferma in attesa, lo scrittore non la degnò di uno sguardo, afferrò il vasetto era sporco all'esterno e con il tappo rotto tuttavia aveva il suo fascino, tolse uno scontrino che si era appiccato e con un gesto religioso lo aprì.

La crema era rosa ma a tratti era grigiastra, lui, estrasse un fazzolettino e la ripulì con cura poi la portò alle narici... era lei... era lei... la producevano ancora e ... pianse come un bambino e si asciugò il naso e le lacrime con il fazzoletto che aveva usato prima pieno di polvere grigiastra e di crema oleosa ma non gli importava perché quella crema sul suo viso lo fece tornare alla sua infanzia e a sua madre, l'unica donna che aveva mai  amato.

Ripose il barattolino con cura tra due fazzoletti e aprì la valigia e lo mise fermo tra le mutande e i calzini, poi un barlume e si rammentò della donna bionda che l'aveva gettato e ripercorse i tratti del suo viso l'assomiglianza con una bambola di porcellana era notevole, iniziò a cercarla tra la folla con lo sguardo.

Senza esito, la cercava, aveva perduto la sua musa, la sensazione che provò era che quella donna fosse nel suo destino era l'unica donna che avrebbe potuto amare nella sua vita, perché quella donna usava la crema di sua madre e farci l'amore sarebbe stato tornare nell'utero e alla vita.

 

Si mise tra le labbra il sigaro spento e pensò: "Esiste la ritroverò!" "Bastardo d'un pistola, certo che la ritroverò, dovessi pagare un investigatore privato! Muovere tutta l'arma! La ritroverò!". Diede un morso al sigaro e poi... sorrise come non aveva mai sorriso da quando sua madre era morta.

 
 
 

Polvere

Post n°4 pubblicato il 19 Dicembre 2012 da alias.ego9

Capitolo 4

Le narici si ostruivano di quella polvere sedimentaria giallina e anche i polmoni si comprimevano a quel pulviscolo che saturava l'aria e lentamente i vestiti si impregnavano senza appello, tuttavia, per lui quella polvere che lo avvolgeva era qualcosa che gli rimase scolpita nei ricordi e adesso che era uno dei giudici più affermati del nazione e che i suoi manuali erano letti nelle migliori università di giurisprudenza, a lui mancava quella polvere.

Polvere di segatura, a volte la sentiva ancora con quel odore pungente che ne caratterizzava l'odore intenso di legno frantumato e polverizzato.

A volte accarezzava il pensiero di quella polvere vedendo la forfora sulle giacche impeccabili dei colleghi e ripensava a quel tempo che era fatto di studio e di quel lavoro in falegnameria. Pensava che se non avesse avuto quel lavoro da falegname oggi, non sarebbe stato quello che era...

***

L'argilla si seccava lentamente, le mani si irrigidivano sentiva la pelle tirare nel centro estetico dove era solita fare capolino dopo periodi intensi di lavoro. Avvolta in quello che era la plastica trasparente per il corpo, sonnecchiava nella lentezza di quel rilassamento meritato, tuttavia, l'argilla sulle mani che da prima si asciugava crepandosi si sbriciolava, poi divenendo qualcosa di impercettibile e si polverizzava, la sentiva polvere sulle mani, tra le dita e i polpastrelli.

Quella sensazione la riportava a quand'era bambina e rammentava, mentre era lì immobile avvolta.

Giocava con la terra e l'acqua, e con un pentolino cercava di dare forma a quella terra.

Le forme erano sempre imperfette.

 

Le mani di bambina con la polvere della terra erano un ricordo di un esistenza lontana.

 
 
 

Schiuma

Post n°5 pubblicato il 18 Giugno 2013 da alias.ego9

Capitolo 5

Il boccale di birra aveva assunto, un colore giallo e la schiuma si era spalmata sul vetro spesso e pesante.

Era assorto nei suoi pensieri, meditava. La penna stilografica infilata sopra l'orecchio, il cappello inclinato e storto era madido di sudore per il caldo e la noia. Il pennino ad ogni suo movimento si conficcava nella pelle dietro all'orecchio. La sensazione non gli dispiaceva, anzi lo faceva sentire vivo: ancora una volta stava scrivendo senza sapere se i personaggi sarebbero divenuti altre parole o se semplicemente sarebbero rimasti sospesi tra realtà e finzione, eppure, il luccichio del boccale, gli permetteva ancora di credere che forse la catarsi sarebbe avvenuta da lì a poco, ma quella schiuma lo inorridiva, gli riempiva gli occhi era troppo bianca, spumeggiante ed eterea, prese a cercare con un gesto compulsivo e rapido il fazzoletto, non lo trovava! Allora, vide uno straccio appoggiato due sedie più in là del suo solito tavolino, vi si avventò: lo prese senza guardare, boccale bevve tutto d'un fiato il liquido rimanente, poi lo guardò contro luce e vi infilò lo straccio, con tutto il pugno.

Fuori e dentro, fuori e dentro. per pulirlo, di tanto in tanto lo osservava, vi erano delle piccole strisce di schiuma. Lo pulì tutto con maniacale precisione. Ormai era quasi soddisfatto!

Lui, il vecchio scrittore era fermo immobile in mezzo al bar, tra lo sbigottimento della gente e soprattutto quello di una giovane cliente, perché lo straccio non era uno straccio ma la sua sciarpa estiva. Esterrefatta, strabuzzava gli occhi senza riuscire a proferire una sola parola.

 

Fu felice, lanciò lo straccio a terra e voltandosi, per la prima volta di quel giorno si accorse della gente che lo guardava, e disse: "Bastardi! Cosa avete da guardare!", posando con delicatezza il boccale sul tavolo ormai privo di schiuma. Era perfettamente pulito e asciutto. Perfetto! - pensò e iniziò a scrivere: "l'oceano era calmo d'una calma piatta e irreale..."

 
 
 
 

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