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A Napoli un bambino è morto a sei anni di povertà. Veniva dall’isola di Capo Verde, ma sapeva già leggere e scrivere in italiano. Era educato, ordinato, molto pignolo, dicono le maestre. Amava il disegno e sognava di fare l’ingegnere. Si chiamava Elvis, come l’eroe del rock. Lo hanno trovato per terra, in una stamberga di venti metri quadri, i polmoni intasati dalle esalazioni di un piccolo braciere. Da quando l’Enel aveva staccato la corrente che alimentava la stufetta elettrica, quel fuoco improvvisato e velenoso era diventato l’unica fonte di riscaldamento di tutta la famiglia. Non c’era altro calore, non c’era più cibo. Ed Elvis se n’è andato così, addosso alla madre agonizzante, la testa appoggiata al ventre da cui era uscito sei anni prima per la sua breve e infelice partecipazione alle vicende del pianeta Terra. Mi sento totalmente inutile, come giornalista e come essere umano, perché mi tocca ancora raccontare storie del genere, nel mio evoluto Paese. Ci riempiamo la bocca, io per primo, di parole superflue. Ci appassioniamo ai problemi di minoranze potenti e arroganti. E accanto a noi, in un silenzio distratto, si consumano le disfatte degli umili e dei mansueti. Persone come la mamma di Elvis, che fino all’ultimo ha provato a raggranellare onestamente qualche soldo per la stufetta, andando in giro a fare le pulizie. Il Bene ieri ha perso di brutto. L’importante è rendersene conto, non distrarsi, non rassegnarsi, organizzare la riscossa. Anche per Elvis, che tornerà a trovarci ogni giorno, sulla faccia di tanti bambini uguali a lui

L'articolo è stato pubblicato da "LA STAMPA" Autore Gramellini. Ciao.Ottimo il blog.

ti mando uno scritto,letto oggi, che però non c'entra niente.ciao Testimonianza e profezia È molto probabile che ad alcuni cristiani sia sfuggito il fatto che quando Nostro Signore ha detto che non di solo pane vive l’uomo, questo enunciato, questo messaggio l’ha potuto esplicitare perché il suo fisico non era condizionato e collassato da una crisi ipoglicemica. Se fosse stato in questa condizione menomata, se non avesse potuto mangiare per un lungo periodo di tempo il Spirito sarebbe rimasto opaco, e casomai avrebbe avuto qualche visione in cui Sua Madre metteva in guardia i “credenti” se non avessero pregato Lei stessa perché li salvasse dalla dannazione eterna. Per essere più chiari e per cambiare tono, come ho già scritto in altre occasioni la precondizione della libertà, di ogni tipo di libertà, è quella dal bisogno. I diritti umani fondamentali al cibo, alla salute, al lavoro ed all’educazione sono la porta per le libertà successive, di pensiero, parola, stampa ed elucubrazioni mistiche nelle quali veleggiano tutti i devoti e tutti i credenti che però hanno arricchito i loro esercizi spirituali di una dieta monocalorica, che va dagli antipasti alla tazzina di caffè. Perché dico questo? Perché, in generale l’Occidente ricco e cristiano ulula e si scandalizza del socialismo cubano, perché comprime la libertà di pensiero dei suoi cittadini. Bene: se l’Occidente fosse cristiano, prima cosa non sarebbe ricco; poi riuscirebbe ad apprezzare una realtà estremamente positiva e preziosa: Nel mondo muoiono ogni anno migliaia di piccini per la mancanza di uno spicciolo: nessuno di loro è cubano. Nel mondo milioni di bambini non vanno a scuola, ma sono sfruttati nel lavoro minorile: nessuno di loro è cubano. Per un cristiano la categoria del “tutti” dovrebbe essere un criterio fisiologico fondamentale, (siamo tutti figli dello stesso Padre), e a Cuba tutti hanno il cibo, tutti vanno a scuola, tutti sono curati se si ammalano: non è un miracolo questo, se lo mettiamo in rapporto alla condizione dei cittadini del Paese più “libero e democratico” del mondo? Colà c’è il massimo della libertà di pensiero, ma milioni di poveri, liberissimi di pensare quello che vogliono, purché non abbia attinenza col socialismo, se si ammalano non hanno l’assistenza sanitaria, hanno il cibo garantito in rapporto ai dollari di cui possono disporre, frequentano delle scuole in cui, per sopravvivere, è necessario avere il giubbotto antiproiettile. Ed allora eccoci arrivati al nucleo del problema: la rivoluzione è violenta, è ingiusta, è maligna, perché vive all’interno di una pace che lascia morire ogni giorno, e lascia sfruttare, e lascia soffrire uno sterminato popolo di nostri fratelli, cittadini di questo nostro mondo che potrebbe fornire il necessario a tutti, e invece genera e coltiva differenze ed ingiustizie blasfeme fra di loro. E il meccanismo che innesca tutto questo è la trinità maligna, capitalismo, mercato e competizione, che strutturano l’economia, l’informazione e la cultura in modo che chi ha, abbia sempre di più, e chi non ha, abbia sempre di meno… questa trinità maligna poi, a sua volta, è il frutto della naturalità soggettiva del bipede umano, che è portato a pensare sempre prima a sè stesso, poi agli altri se ne rimane… È vero che la rivoluzione è inutile, che la creazione di strutture eque e solidali non funziona se non cambiano le zucche di coloro che dovrebbero dar corpo all’equità e alla solidarietà, ma è altrettanto vero che se si aspetta la conversione dei ricchi al socialismo, se si aspetta che i ricchi epuloni si accorgano dello sterminato popolo dei poveri Lazzari che sopravvivono con sofferenza alla periferia del mondo ed anche fra noi, se si aspetta che i cristiani adottino per libera scelta l’economia di comunione, non ci si arriva mai in cima… Inoltre gli enunciati che la rivoluzione è inutile, che il solo metodo è la non-violenza, che il problema è culturale, è il cambiamento della persona, vengono generalmente esplicitati da noi stessi in quanto abbiamo già mangiato, bevuto e fatto la pennichella, per cui ci sentiamo portati alle riflessioni teologiche avendo già nello stomaco, quel pane che da un lato non basta. Carissimi fratelli, il problema è veramente complesso. La storia ci mette davanti una tremenda realtà: a decidere sulla rivoluzione o non-rivoluzione non saremo certo noi, ma i poveri. Quando lo sfruttamento e l’ingiustizia di cui sono oggetto li avranno portati alla disperazione, la loro ira scatenerà come ai tempi della Rivoluzione Francese e di quella russa, e anche se dopo si tornerà alla divisione fra i ricchi e i poveri, per tutti ci saranno tempi duri ed amari. Il sottoscritto che era un educatore, considerava questa eventualità come una sconfitta evitabile, e si era dato da fare per mettere a punto una cultura che riuscisse a prevenire il precedente futuro educativo negativo, che incombe a causa della nostra adesione assatanata al progetto del “beati gli indefinitamente ricchi”. Tuttavia sono sempre stato contrastato da coloro che mettevano come unica soluzione del problema il cambiamento della persona. E la struttura? E la macchina che genera i poveri? E perché non denunciare lo strutturale maligno che, imprescindibilmente, rende impossibile la solidarietà coerente, e genera sfruttamento, ingiustizia e violenza sui non-garantiti del pianeta? Può il Tempio, aiutare una frazione di poveri e contemporaneamente benedire e dar forza all’Impero che li genera, li opprime e li mantiene tali? É vero che tutto passa per l’uomo, per la sua testa e per la sua cultura, ma è vero anche che la realtà include questi aspetti strutturali che condizionano in modo determinante il soggettivo, la persona. E noi, se è vero che non riusciamo ad aggredire il capitalismo, è anche vero che dobbiamo aggredire l’idolo del beati i ricchi che ne è la radice, radice che se ne sta dentro di noi. Ed è vero che la nostra naturalità ci spinge a cercare il prodotto più bello al prezzo più vantaggioso, ma questo è il mercato, è il “mercancro”, è la competizione, e noi dovremo impegnarci a progettare una società con il “pubblico”, con lo “statale” che funzioni e che determini il prezzo politico delle cose, per lo meno di quelle indispensabili. Altrimenti avremo strutturalmente dei disoccupati, dei precari, degli emarginati, e della gente che, se si ammala ed è povera, deve morire perché non ha i soldi per dottori e medicine, il che è la tragica normalità nella grande favela del Sud (e nei Paesi-guida nella difesa dei diritti umani di coloro che sono a corto di dollari). Proviamo cari lettori, ad arricchire la testimonianza di profezia, e a chiedere, a quelli che si ritengono custodi della Rivelazione, di fare altrettanto? Mario mariotti