Scrivi sul mio Blog

Ciao! Grazie per l'invito, accetto volentieri. Questo è uno dei blog più "seri" che mi è capitato di visitare. Se qualcuno vuol visitare il mio, che invece è uno dei più "pallosi", è il benvenuto! Vorrei regalarvi una piccola riflessione sul significato delle parole "libertà" e "felicità", e sul loro intrinseco reciproco legame. Il premio. Vorrei qui dare un piccolo chiarimento sull’idea di felicità. Vi è in essa un punto critico, che consiste a mio avviso nel passaggio fra una condizione individuale, com’è di solito concepita la felicità, e la dimensione sociale che invece attiene ad ogni problema etico. Bisogna quindi affrontare il tema della libertà. La dimensione sociale è comunemente vissuta come limitante nei confronti della felicità individuale, quasi che un uomo per essere felice dovesse starsene da solo, e dal momento in cui si trovi invece in mezzo ai suoi simili questa felicità risultasse irrimediabilmente compromessa o addirittura non più raggiungibile. È dunque questo il nodo da sciogliere. È evidentemente assurdo dividere a questo modo le necessità individuali dai bisogni sociali. Quest’impostazione deriva da un concetto dell’individuo molto parziale e limitato. L’individuo non può essere inteso come qualcosa di assolutamente autonomo e staccato dalla società in cui è inserito, così come la società non è soltanto la somma di tutte le singole individualità. Esiste, ovviamente, una breccia nel concetto di individuo di cui non si può non tener conto. La breccia consiste nel fatto che l’individuo è sì compreso nella società, ma ogni società, con le proprie regole, la propria cultura, la sua lingua particolare e tutti i suoi più o meno pesanti condizionamenti, è inequivocabilmente e pesantemente compresa in ognuno degli individui che la compongono. Anche qui è quindi fondamentale un approccio di tipo sistemico al problema. Risulta chiaro, allora, che non ha molto senso concepire la felicità a livello puramente individuale senza tener conto della sua possibilità a livello sociale. La situazione politica, economica, ma soprattutto culturale deve cioè essere tale da rendere possibile la felicità degli individui. Questo può accadere solo ad una condizione ben precisa: ogni individuo, all’interno della società in cui vive e di cui è parte, deve essere e sentirsi libero. E quindi dobbiamo necessariamente passare, se vogliamo chiarirci le idee riguardo all’idea della felicità, attraverso l’idea della libertà. Questa va vista nel suo significato assoluto. Intendiamo dire, ad esempio, che il soddisfacimento di tutti i bisogni materiali non è certamente qualcosa che di per sé possa garantire la libertà in senso assoluto, ma solo relativo: una “libertà da”. In questo caso, appunto, dai bisogni materiali. Ma anche la pace, la giustizia sociale, la ricchezza, l’assenza della delinquenza e di soprusi di qualunque genere non garantirebbero, nemmeno tutte insieme, la libertà, ma solo la “libertà di”. È chiaro che queste forme di “libertà relativa” sono decisamente predisponenti al raggiungimento della libertà in senso pieno, ma non sono, in se stesse, né decisive né, a rigore, assolutamente irrinunciabili. La libertà è una conquista difficile perché necessita di una condizione indispensabile: il raggiungimento di un grado di evoluzione personale che consenta all’individuo di percepire e concepire se stesso come parte organica di un tutto. Che non si deve necessariamente fermare al tutto della società ristretta in cui ognuno di noi si trova a vivere, ma può anche essere un tutto allargato al “mondo degli uomini”, cioè a livello universale. Ognuno di noi può conoscere la libertà solo nel momento in cui, elevandosi con il suo pensiero al di sopra dei propri bisogni individuali, dei propri desideri, delle proprie ambizioni, in una parola al di sopra dei propri limiti individuali, riesce a cogliere se stesso come parte funzionale e necessaria, anche se non necessariamente insostituibile, di un organismo, dotato, in quanto insieme organizzato di parti, di senso e di uno specifico scopo. È l’assenza di senso la principale se non l’unica responsabile dell’angoscia esistenziale e quindi della scomparsa della libertà e della felicità dalla nostra vita. Il nostro contrapporci ad una società e ad un mondo che non ci piace e in cui non ci riconosciamo è un contrapporci anche ad una parte di noi stessi. È conflitto interno, è assenza di armonia interiore e di integrazione e completezza nella nostra vita. Perché la società, ripetiamo, è tanto fuori quanto dentro di noi, e ribellarci ad essa è ribellarci a quella parte del nostro mondo che noi ci ostiniamo a vedere solo fuori, ma è anche dentro di noi. Il tarlo, il marcio, il male, sono anche dentro di noi, e solo noi, con un lavoro individuale, risoluto e spietato, possiamo, individualmente, oltrepassarlo e non esserne più schiacciati. E solo nella nostra consapevolezza di guerrieri impegnati nella lotta più dura, cioè la lotta per andare non contro ma oltre ciò che dentro di noi è ostacolo e limite, potremo aspirare a raggiungere la vera libertà. Libertà che andrà, sappiamolo, quotidianamente riconquistata, perché nasce appunto dalla lotta, dal continuo riconoscere a noi stessi il nostro inesausto impegno per la sua difesa. Questa è una guerra che vedrà sicuramente delle sconfitte, ma che sarà capace di ricompensarci con il premio più grande, quel premio che contiene in sé la vittoria e la sconfitta, la gioia e la sofferenza, la punizione e il premio: quel premio chiamato vita.