ricomincio da qui

Il vecchio monastero:fine.


 La guardia aprì la porta con una grossa chiave. Un istante dopo mi ritrovai in cortile.Dopo l'estradizione e il periodo d'isolamento, si trattava della mia prima ora d'aria, respirai a fondo. Gli occhi faticarono ad abituarsi. Dopo giorni e giorni di penombra, la seppur fioca luce del sole mi ferì le pupille costringendomi a portarmi una mano al viso. Faceva freddo, eravamo in pieno inverno e una leggera coltre di neve ricopriva ogni cosa.Nulla era cambiato. Il muro scrostato, le panchine di marmo sudicie e ricoperte di scritte, le torrette marroni dei posti di guardia. Nulla.Rispetto al solito, c'erano poche detenute intente a passeggiare. Sarà stata la temperatura, pensai mettendomi a camminare di buona lena. Se fossi rimasta ferma, avrei rischiato di congelare.Iniziai a costeggiare il muro, osservando con la coda dell'occhio coloro che incrociavo. Non riconobbi nessuna dalla volta precedente, eppure erano trascorsi pochi anni, o una vita?Con le dita tremanti, presi il pacchetto di sigarette e cercai d'accendermene una. Durante la permanenza in Spagna ero riuscita a smettere ma, una volta tornata in questo posto, avevo ricominciato più di prima.Una, due, tre volte. La scatola di fiammiferi era umida, ne consumai una decina, e mi venne voglia di piangere.-Tieni, ma non farti vedere, altrimenti me lo sequestrano-La voce mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto.Imbacuccata in un pesante cappotto rattoppato, una donna mi stava porgendo un vecchio e malconcio accendino, un residuato.I battiti del cuore aumentarono a dismisura, avvertii chiaramente le lacrime bagnarmi il volto gelato.-Paula!- esclamai tra gioia e raccapriccio. Istintivamente, feci un passo indietro.-Ciao, ragazza. Non pensavo di ritrovarti ancora qua, cos'è successo?- disse cercando di sorridere.Non sapevo come comportarmi. Il mio sguardo, me ne resi conto, era totalmente focalizzato sulla parte destra del suo volto. Che non c'era più.Al suo posto, un ammasso di carne ricoperta da numerose cicatrici, uno scempio.Essendoci ormai abituata, Paula spazzò via la neve da una panchina e si sedette.-Miriam ha fatto un buon lavoro, ma ho la pelle dura, persino per l'acido- disse accendendosi a sua volta una sigaretta.Mi ritrovai ad annuire, senza trovare le parole di conforto che avrei voluto dire, e lei sembrò capire.-Acqua passata ormai, lascia perdere. Ma tu, piuttosto, come mai sei ancora all'inferno, dai, raccontami- proseguì togliendo la neve di fianco a se.Come un automa, mi sedetti e la guardai ancora. Per mia fortuna, potevo vedere solo il lato sinistro del suo volto.Sospirando, mi appoggiai alla sua spalla possente e piansi.Piansi tutte le lacrime che non avevo versato sino a quel momento, da quel giorno maledetto.Lei si limitò ad accarezzarmi i capelli, in silenzio.Quando riuscii a riprendermi, mi porse un fazzoletto pulito.Mi asciugai il viso e mi soffiai il naso.-Tienilo pure, ne ho altri- disse con dolcezza. Le raccontai tutto. Della mia nuova vita con Cesare, di Therese e Juanito, di come stavamo bene. Quando giunse il momento di parlare di Fernando e suo padre, m'irrigidii.Lei intuì subito quel cambiamento.-Non devi dirmi tutto adesso, abbiamo tutto il tempo-Io non dissi nulla. Ringraziandola con gli occhi, mi alzai e mi diressi verso la porta.Nei giorni che seguirono, io e Paula diventammo inseparabili. A sprazzi, ma sempre lucidamente, le raccontai ciò che accadde quel giorno.Lei non m'interruppe mai e, cosa ancor più importante, non giudicò in nessun modo quello che avevo fatto. Solo quando ebbi terminato, sulla stessa panchina in cui ci eravamo ritrovate, parlò per la prima volta.-Sei fortunata ad essere qua a raccontarlo. Avresti potuto essere sotto un metro di terra, invece sei sopravvissuta-Io non risposi subito. Davvero, non riuscivo a capire se ciò che mi aveva appena detto non sarebbe stata la soluzione migliore.Ma Paula aveva ragione. Ero di nuovo all'inferno, quello si, ma ero ancora viva, ed avevo un'amica.Quella rimase la mia unica consolazione quando, svegliandomi nel cuore della notte, rivivevo ancora una volta il mio incubo.Armando che si lanciava su Cesare, io che facevo lo stesso subito seguita da Fernando.Il coltello, sporco del sangue dell'uomo che amavo, era finito a un certo punto nelle mie mani. Avevo quindi iniziato a colpire alla cieca, mossa da una furia che non avevo mai provato.Quando il silenzio aveva avvolto la stanza, il pavimento era intriso di sangue. Io stessa ne ero ricoperta, mentre padre e figlio giacevano immobili, entrambi trafitti dal mio furore.Inebetita, mi ero accasciata sul corpo di Cesare, il volto pallido attraversato da un orrendo squarcio alla gola.E fu in quella posizione che, non ricordo quanto tempo dopo, mi avevano trovato i soccorritori. Ero stata condannata all'ergastolo, ma ciò non mi aveva turbato più di tanto. La mia vita, fuori da queste mura, era terminata. Ne avevo iniziato una nuova, e non ne avevo paura.Danio e Laura.