Un ateo tramite il suo blog porta un sacerdote al sucidio:
Il suicidio di un prete 45enne che si riteneva vittima di una «caccia alle streghe» sui giornali e su internet in Svizzera francese rilancia la discussione sulla pedofilia del clero cattolico da una parte e sul modo di parlarne nei media dall’altra.
La vicenda, in sè, va certamente ascritta al vasto capitolo delle «gogne mediatiche»: dopo il «mea culpa» del vescovo di Ginevra, Losanna e Friborgo per gli abusi sessuali di due preti su minori nelle diocesi da lui rette (un caso risalente a decenni fa è tornato di attualità dallo scorso mese di dicembre), il responsabile di un «blog» romando aveva chiesto alla Chiesa di Neuchâtel di identificare un prete della regione sospettato di pedofilia: «non aspettate che diventi un recidivo per parlare!», aveva scritto nel suo sito. E domenica sera un prete attivo nella zona di Neuchâtel si è suicidato, lasciando una lettera nella quale sosteneva di «non farcela più». In realtà, il suo caso ha ben poco a che vedere con la pedofilia. Molti anni fa, prima di diventare prete, quando era ventenne, aveva avuto una relazione omosessuale con un 17.enne (tecnicamente un minorenne, ma la differenza di età era di soli tre anni). I fatti erano stati cassati dalla giustizia nel 2001 perché caduti in prescrizione.
È possibile, ci si può chiedere, che un uomo si tolga la vita per il timore della diffusione selvaggia di accuse, per giunta infondate, sul suo conto? A rispondere, purtroppo, sono i fatti. E di fronte a simili esiti è normale interrogarsi sul tipo di informazione che circonda la questione della pedofilia del clero. Dobbiamo osservare che in questo caso ad essere messi in discussione non sono solo i media tradizionali, ma le nuove forme di comunicazione, come i «blog» appunto, che possono essere voci libere di informazione, oppure, come in questo caso, strumenti nelle mani di persone irresponsabili.
Il titolare del «blog» ha colpevolemente creato un «mostro» da stanare. Il fatto che il prete suicida avesse dei trascorsi omosessuali può invece indurre ad un altro grave errore dal punto di vista dell’informazione: il rafforzamento di alcuni dei più abusati luoghi comuni sulla pedofilia e sul clero. Come, ad esempio, la confusione tra omosessualità e pedofilia. Ma non esiste nessuna evidenza scientifica che un omosessuale rappresenti un rischio maggiore per un bambino di quanto lo sia un eterosessuale per una bambina. Se si vestono i panni dell’inquisitore alla rovescia (mettendo i religiosi sul banco degli imputati ), si rischia poi di divulgare l’assurda equazione prete=pedofilo, dimenticando, o forse ignorando, che la maggioranza dei casi di pedofilia coinvolge uomini eterosessuali sposati.
Ciò detto, gli errori brutali di questo blogger (ma anche di quei media che affrontano l’argomento senza le dovute sfumature) non dovrebbero spostare dalla Chiesa cattolica ai media le responsabilità per il problema della pedofilia del clero. Casi reali di abusi di sacerdoti sui minori, per quanto rari, esistono. E non stupisce che il vescovo di Ginevra, Losanna e Friburgo abbia pronunciato nei giorni scorsi ben più di un formale «mea culpa». La strategia scelta da mons. Genoud è probabilmente tardiva (la Chiesa ha taciuto fino a pochi giorni fa). Ma, nella misura in cui verrà applicata, ci sembra assai più radicale di quanto gli riconoscano alcuni media romandi. Non si limita intatti a meste parole di circostanza, ma propone misure pratiche per tutelare le vittime ed evitare nuovi abusi. L’istituzione di una «hotline» a disposizione di eventuali abusati, ma anche dei preti, gestita da una commissione indipendente, ha già raccolto due segnalazioni che sono state trasmesse alla magistratura. Il proposito di rinforzare uno scambio di informazioni tra diocesi a livello mondiale per impedire che i preti pedofili possano spostarsi in incognito da un luogo all’altro del pianeta, mostra l’intenzione di non ripetere l’inveterata prassi di trasferire un potenziale molestatore da un luogo in cui era conosciuto ad un altro dove non lo conosce nessuno senza impedirgli di nuocere e senza aiutarlo dal punto di vista psicologico. E la possibilità, che il vescovo romando ha fatto balenare, di togliere la prescrizione nei casi più gravi per prendere provvedimenti interni alla Chiesa, dimostrerebbe la volontà delle gerarchie di andare anche più in là della giustizia civile nella ricerca dei colpevoli e nel ristabilimento del diritto delle vittime. Se tutto questo verrà davvero attuato si realizzerà un capovolgimento epocale: dall’era della negazione e della rimozione del fenomeno a quello del riconoscimento e dell’assunzione delle responsabilità da parte della Chiesa cattolica. |