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« Messaggio #37Qui non esplodono i razzi »

dal Capitolo 1 di Cent'anni di solitudine_G.García Márquez

Post n°38 pubblicato il 11 Luglio 2008 da onoskelis

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquíades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquíades. “Le cose hanno vita propria,” proclamava lo zingaro con aspro accento, “si tratta soltanto di risvegliargli l’anima.” José Arcadio Buendía, la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell’ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia, pensò che era possibile servirsi di quella invenzione inutile per sviscerare l’oro della terra. Melquíades, che era un uomo onesto, lo prevenne: “Per quello non serve”. Ma a quel tempo José Arcadio Buendía non credeva nell’onestà degli zingari, e così barattò il suo mulo e una partita di capri coi due lingotti calamitati. Ursula Iguarán, sua moglie, che faceva conto su quegli animali per rimpinguare il deteriorato patrimonio domestico, non riuscì a dissuaderlo. “Molto presto ci avanzerà tanto oro da lastricarne la casa,” ribatté suo marito. Per parecchi mesi si ostinò a dimostrare la veracità delle sue congetture. Esplorò la regione palmo a palmo, compreso il fondo del fiume, trascinando i due lingotti di ferro e recitando ad alta voce l’esorcismo di Melquíades. L’unica cosa che riuscì a dissotterrare fu una armatura del Quindicesimo secolo con tutte le sue parti saldate da una crostaccia di ruggine, la cui cavità aveva la risonanza vacua di un’enorme zucca piena di sassi. Quando José Arcadio Buendía e i quattro uomini della sua spedizione riuscirono a disarticolare l’armatura, vi trovarono dentro uno scheletro calcificato che portava appeso al collo un reliquiario di rame con un ricciolo di donna.
A marzo tornarono gli zingari. Questa volta traevano un cannocchiale e una lente grande come un tamburo, che esibirono come l’ultima scoperta degli ebrei di Amsterdam. Misero a sedere una zingara a un’estremità del villaggio e collocarono il cannocchiale sull’entrata della tenda. Per cinque reales, la gente poteva chinarsi sul cannocchiale e vedere la zingara a portata di mano. “La scienza ha eliminato le distanze,” proclamava Melquíades. “Tra poco, l’uomo potrà vedere quello che succede in qualsiasi luogo della Terra, senza muoversi da casa sua.” In un mezzogiorno ardente fecero una mirabile dimostrazione con la lente gigantesca: misero un mucchio di erba secca in mezzo alla strada e le appiccarono il fuoco mediante la concentrazione dei raggi solari. José Arcadio Buendía, che ancora non era riuscito a consolarsi dell’insuccesso delle sue calamite, concepì l’idea di utilizzare quell’invenzione come arma di guerra. Melquíades, di nuovo, cercò di dissuaderlo. Ma finì per accettare i due lingotti calamitati e tre pezzi di denaro coloniale in cambio della lente. Ursula pianse di costernazione. Quel denaro faceva parte di un cofano di monete d’oro che suo padre aveva accumulato in tutta una vita di privazioni, e che lei aveva seppellito sotto il letto in attesa di una buona occasione per investirle. José Arcadio Buendía non cercò nemmeno di consolarla, completamente assorto nei suoi esperimenti tattici con l’abnegazione di uno scienziato e perfino a rischio della propria vita. Mentre cercava di dimostrare gli effetti della lente sulla truppa nemica, espose se stesso alla concentrazione dei raggi solari e patì scottature che si trasformarono in ulcere e guarirono solo dopo parecchio tempo. Nonostante le proteste di sua moglie, messa in apprensione da un’invenzione così pericolosa, poco mancò non incendiasse la casa. Passava lunghe ore nella sua stanza, facendo calcoli sulle possibilità strategiche di quella sua arma inusitata, finché riuscì a comporre un manuale di una stupenda chiarezza didattica e di un irresistibile potere di convinzione. Lo spedì alle autorità, allegandovi numerose testimonianze sulle sue esperienze e vari fascicoli di disegni illustrativi, affidandolo a un messaggero che attraversò la sierra, si perse tra pantani smisurati, risalì fiumi impetuosi e fu sul punto di perire sotto il flagello delle belve, del paludismo e della disperazione, prima di riuscire a raggiungere una strada di allacciamento con le mule della posta. Nonostante il viaggio alla capitale fosse in quei tempi poco meno che impossibile, José Arcadio Buendía si riprometteva di intraprenderlo non appena il governo glielo avesse ordinato, allo scopo di dare dimostrazioni pratiche della sua invenzione alle autorità militari, e addestrarle personalmente nelle arti complicate della guerra solare. Per molti anni attese una risposta. Alla fine, stanco di aspettare, si lamentò con Melquíades del fallimento della sua iniziativa, e lo zingaro diede allora una prova convincente di onestà: gli restituì i dobloni in cambio della lente, e gli lasciò inoltre delle mappe portoghesi e diversi strumenti di navigazione. Scrisse di suo pugno una succinta sintesi degli studi del monaco Hermann, che lasciò a sua disposizione perché potesse servirsi dell’astrolabio, della bussola e del sestante. José Arcadio Buendía trascorse i lunghi mesi di pioggia chiuso in uno stanzino che aveva costruito in fondo alla casa perché nessuno turbasse i suoi esperimenti. Tralasciò completamente i propri doveri domestici, rimase nel patio per notti intere a sorvegliare il corso degli astri, e fu sul punto di contrarre un’insolazione mentre cercava di stabilire un metodo esatto per trovare il mezzogiorno. Quando fu esperto nell’uso e nel maneggio dei suoi strumenti, ebbe una nozione dello spazio che gli permise di navigare per mari incogniti, di visitare territori disabitati e di allacciare rapporti con esseri splendidi, senza bisogno di lasciare il suo laboratorio. Fu in quel periodo che prese l’abitudine di parlare da solo, vagando per la casa senza badare a nessuno, mentre Ursula e i bambini si rompevano la schiena nell’orto per coltivare il banano e la malanga, la manioca e l’igname, la ahuyama e la melanzana. Improvvisamente, senza alcun preavviso, la sua febbrile attività si interruppe e fu sostituita da una specie di allucinazione. Rimase come stregato per parecchi giorni, continuando a ripetere a se stesso a bassa voce una filza di sorprendenti congetture, incapace egli stesso di dar credito al proprio raziocinio. Alla fine, un martedì di dicembre, verso l’ora di pranzo, esplose in un colpo solo tutta la carica del suo tormento. I bambini avrebbero ricordato per il resto della loro vita l’augusta solennità con la quale il padre si sedette a capotavola, tremante di febbre, consunto dalla veglia prolungata e dal fermento della sua immaginazione, e rivelò la sua scoperta:
“La Terra è rotonda come un’arancia”. […]

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Commenti al Post:
onoskelis
onoskelis il 11/07/08 alle 13:34 via WEB
Cent'anni di solitudine è uno dei libri preferiti di Sebastiano e ho trovato giusto ricordarlo anche così...
 
derivalchiarodiluna
derivalchiarodiluna il 11/07/08 alle 14:18 via WEB
...non sono mai riuscito ad arrivare alla terza pagina del libro!...sono 'na capa fresca!...ma adesso provo a leggere almeno questo estratto...è una grossa prova per me!
 
onoskelis
onoskelis il 11/07/08 alle 14:27 via WEB
A me è stato regalato in lingua originale, l'ho letto moooolto lentamente e l'ho riletto in italiano. Anche leggerlo diventa un'esperienza surreale...
 
 
derivalchiarodiluna
derivalchiarodiluna il 12/07/08 alle 22:22 via WEB
...ancora non l'ho letto! (testa di scecco, altro che capa fresca...tra reggini ci capiamo, immagino!)...comunque è più figa questa nuova veste grafica! Ciauuuuuuuuuuuuu!
 
   
onoskelis
onoskelis il 12/07/08 alle 22:26 via WEB
Il mio problema è che sono viola addicted...vedo il mondo in viola! Grazie grazie :)
 
giulia_dimarco1
giulia_dimarco1 il 13/07/08 alle 21:40 via WEB
Viola????????????????????????? è bellissimo questo libro, c'è persino una storia legata a papà. sai come lo ha scoperto lui? lo ha trovato sul sedile di un treno. e tra andata e ritorno lo ha letto tutto, al suo solito. appena a reggio è andato alla casa del libro, libreiria che ora non c'è più, e ha detto a peppino il libraio 'portane dieci copie e te le faccio vendere tutte'.... si incrociano le nostre storie continuamente. ti avrebbe adorata, te lo garantisco.
 
 
onoskelis
onoskelis il 14/07/08 alle 21:39 via WEB
Mi avrebbe adorata come io ho adorato lui! Non ci siamo incontrati per caso... è stata una ricerca, tutto con tuo padre era ed è ricerca di qel che siamo stati, siamo e saremo!
 
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Un blog di: onoskelis
Data di creazione: 18/04/2008
 

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