Siamo un incidente di percorso. L’uomo, l’Homo Sapiens Sapiens è un incidente di percorso dello sviluppo biologico sulla terra. E' così, indubbiamente!Lo sviluppo di alcune aree del cervello preposte al linguaggio e all’empatia, nel primate sapiens-sapiens, ha permesso di diventare la specie che siamo, dominando di fatto il pianeta rispetto a tutte le altre specie viventi. Questo però ad un certo punto ha determinato un cortocircuito nell’universo. Il linguaggio, che non è solo comunicazione ma prima di tutto codificazione di immagini mentali, ad un certo punto ci ha messo di fronte a noi stessi e all’idea della nostra fine. Il ruolo dei neuroni-specchio, che ci permettono l’apprendimento per imitazione così come di essere empatici, cioè metterci nei panni dell’altro, hanno un ruolo importante nell’autocoscienza: per immedesimarmi nelle tue sensazioni devo innanzi tutto riconoscermi come individuo. Questo processo rende coscienti della morte e della negatività di questa. Fin da piccoli l’idea della propria fine si concretizza nel vedere (e quindi riconoscersi empaticamente) in un uccellino o una lucertola morti. O un cadavere visto in un film o al telegiornale. Oppure semplicemente nelle immagini mentali suscitate da un racconto in cui qualcuno muore. Sappiamo di morire. Questo, fra tutti i fenomeni di vita sulla terra rappresenta una eccezione: ma non è un pregio. E’ un limite, più terribile della morte stessa. Un limite alla felicità. Cosa è la felicità? Non è altro che sentirsi partecipi, avvertire che non siamo altro rispetto ad un tutto . Avvertire l’intimità con il cosmo. Non scorgere il confine fra la propria identità e quella del cosmo. Essenzialmente, essere il cosmo, identificandosi con esso. Questo senza l’immaginazione di essere una cosa diversa, un’”al di qua” rispetto ad un tutto che è fuori e altro da noi. L’incidente di percorso di cui siamo vittime ci ha invece separato dal tutto. La morte è separazione. La separazione è disperazione. La coscienza della finitezza è disperazione.Ciò che ci ha fornito le peculiarità della nostra specie (linguaggio,logica, empatia) è anche il limite terribile alla felicità.Ecco le religioni, ecco la filosofia, ecco l’arte, ecco la politica, ecco il potere. Scongiurare la fine che sappiamo ci sarà. Esiste però un’ altra via, di gran lunga superiore ai palliativi appena citati, volti solamente a placare temporaneamente l’ansia che l’idea della morte suscita. Questa si chiama “ Via Della Continuità”.
Siamo un incidente di percorso?
Siamo un incidente di percorso. L’uomo, l’Homo Sapiens Sapiens è un incidente di percorso dello sviluppo biologico sulla terra. E' così, indubbiamente!Lo sviluppo di alcune aree del cervello preposte al linguaggio e all’empatia, nel primate sapiens-sapiens, ha permesso di diventare la specie che siamo, dominando di fatto il pianeta rispetto a tutte le altre specie viventi. Questo però ad un certo punto ha determinato un cortocircuito nell’universo. Il linguaggio, che non è solo comunicazione ma prima di tutto codificazione di immagini mentali, ad un certo punto ci ha messo di fronte a noi stessi e all’idea della nostra fine. Il ruolo dei neuroni-specchio, che ci permettono l’apprendimento per imitazione così come di essere empatici, cioè metterci nei panni dell’altro, hanno un ruolo importante nell’autocoscienza: per immedesimarmi nelle tue sensazioni devo innanzi tutto riconoscermi come individuo. Questo processo rende coscienti della morte e della negatività di questa. Fin da piccoli l’idea della propria fine si concretizza nel vedere (e quindi riconoscersi empaticamente) in un uccellino o una lucertola morti. O un cadavere visto in un film o al telegiornale. Oppure semplicemente nelle immagini mentali suscitate da un racconto in cui qualcuno muore. Sappiamo di morire. Questo, fra tutti i fenomeni di vita sulla terra rappresenta una eccezione: ma non è un pregio. E’ un limite, più terribile della morte stessa. Un limite alla felicità. Cosa è la felicità? Non è altro che sentirsi partecipi, avvertire che non siamo altro rispetto ad un tutto . Avvertire l’intimità con il cosmo. Non scorgere il confine fra la propria identità e quella del cosmo. Essenzialmente, essere il cosmo, identificandosi con esso. Questo senza l’immaginazione di essere una cosa diversa, un’”al di qua” rispetto ad un tutto che è fuori e altro da noi. L’incidente di percorso di cui siamo vittime ci ha invece separato dal tutto. La morte è separazione. La separazione è disperazione. La coscienza della finitezza è disperazione.Ciò che ci ha fornito le peculiarità della nostra specie (linguaggio,logica, empatia) è anche il limite terribile alla felicità.Ecco le religioni, ecco la filosofia, ecco l’arte, ecco la politica, ecco il potere. Scongiurare la fine che sappiamo ci sarà. Esiste però un’ altra via, di gran lunga superiore ai palliativi appena citati, volti solamente a placare temporaneamente l’ansia che l’idea della morte suscita. Questa si chiama “ Via Della Continuità”.