Alberologia.........

Dendrolatria terza parte....Continua......


Verso la fine del XVIII secolo gli alberi assunsero altri significati; non più tagliati né abbattuti ma per altri motivi e altre finalità vennero piantati o eretti in nome della libertà.Durante la rivoluzione francese, per festeggiare l’abolizione della tirannide e il ritorno della libertà, i repubblicani piantano il primo Albero della libertà, nel 1790 a Parigi e poi in tutta la Francia.Un decreto della Convenzione del 1792 ne regolava l’uso: l’albero della libertà, è sormontato da un berretto frigio (con la punta piegata in avanti come quello degli antichi abitanti dalla Frigia) rosso10 adorno di bandiere; ai suoi piedi giurano magistrati, si bruciano i diplomi nobiliari, si danza, si festeggia.  9 F. Di Palo, Stabat Mater Dolorosa. La settimana santa in Puglia. Ritualità drammaticae penitenziale, Fasano, 1992, p. 18.10 Questo berretto è rimasto ancora in uso, ed oggigiorno figura, come simbolo dilibertà, nelle bandiere dello Stato della West Virginia e New Jersey, e come sigillo ufficialedell’Esercito americano (United States Army) nonché del Senato degli Stati Uniti. InAmerica Latina è rappresentato negli stemmi di Argentina, Bolivia, Colombia, Cuba, ElSalvador, Nicaragua e Paraguay.Fig. 63. L’albero della libertà al confine della Repubblica di Magonza, durante le guerre rivoluzionarie francesi (acquerello di Johann Wolfgang von Goethe, 1793) La scrittasul tronco: Passans, cette terre est libre – “Passanti,questo paese è libero”.(Presente il berretto frigio)(Vd. p 222). 371Alberi della Libertà vennero successivamente piantati in ogni municipio della Francia e il fenomeno approdò in Svizzera e anche in Italia. Generalmente erano piantati nella piazza principale delle città, frequentemente tra contrasti delle fazioni opposte; molti furono sradicati una volta passato il periodo rivoluzionario, generando analoghi contrasti e dissidi fra cittadini di diversa appartenenza politica. Degli esemplari sono ancora presenti in diversi dipinti dell’epoca. Dopo la proclamazione del Repubblica Napoletana del 1799, anche a Potenza venne eretto un Albero della libertà nella piazza principale; fu abbattuto quando la violenta repressione condotta dal cardinale Ruffo, sfociò in guerra civile e si concluse con l’uccisione di chi aveva sostenuto la repubblica, tra gli altri il vescovo Giovanni Andrea Serrao.Egli vi aveva aderito sia perché la sua ispirazione a San Paolo lo induceva all’obbedienza all’autorità costituita, sia per le sue aspirazioni riformatrici che sembravano essere rappresentate dal nuovo governo repubblicano. Si tradusse in una violenta guerra civile.Fig. 64. Etienne Bericourt, particolare della cerimonia di innalzamento dell’Albero della libertà. XVIII secolo (Vd. p. 222).Nello stesso anno altri significativi episodi si ebbero in provincia di Potenza: a Lauria, venne piantato l’Albero della libertà per rappresen-tare l’emancipazione del popolo dalle tirannie. Non appena cessò la Repubblica partenopea, i borbonici proclamarono il ritorno alla normalità e la chiara intenzione di distruggere l’Albero della Libertà. Alla reazione dei giovani liberali, intervenne il sacerdote Don Domenico Lentini a placare gli animi, evitando altro spargimento di sangue; convinse i repubblicani ad abbattere l’albero con la promessa che al suo posto ne avrebbe fatto innalzare uno, “imperituro”, ribattezzandolo “del riscatto e della salute”. Era una semplice croce in ferro battuto, su una colonna di pietra alta non più di tre metri. A differenza di tutti gli altri alberi, è ancora al suo posto! Avigliano fu la prima città (precedendo anche Napoli) a piantare l’Albero della libertà e a proclamare la Repubblica, che ebbe tra i suoi fautori i lucani Mario Pagano e Michele Granata. Da Avigliano poi, i moti si estesero in tutta la regione, animati dalla “Organizzazione democratica” guidata dagli aviglianesi Michelangelo e Girolamo Vaccaro. Anche questa insurrezione venne repressa: gran parte della popolazione era fedele ai Borbone.Ma torniamo alle piante propriamente dette e ai riti a loro dedicati.Le autorità ecclesiastiche, poiché non bastarono le ammende e le punizioni a far sparire un culto radicato, considerata l’attrazione per gli alberi da parte del popolo, solitamente suscitata dal timore per i fenomeni che non sapeva spiegare, cercarono di focalizzare l’interesse verso quegli aspetti del mondo vegetale di importanza determinante per la vita umana e, anziché distruggerli gli alberi, li avvicinarono al culto dei santi e della Madonna. Peraltro, tanti santi hanno notoriamente mostrato di sentire fortemente la vicinanza con la natura tutta, basta ricordare il Cantico di San Francesco; inoltre, nomi di santi come S. Silvano e S. Silvestro erano naturalmente rapportabili al culto degli alberi per l’etimologia di abitanti delle selve. Di qui, molti dei santuari e cappelle dedicati alla Madonna: dalla Madonna del Bosco, alla Madonna della Selva e della Foresta, fino a una onomastica legata al singolo albero tipico del luogo: Madonna della Quercia, del Platano, del Cerro, del Frassino, del Pino e della Madonna dell’Olmo, di cui si è fatto cenno in precedenza; e, infine, i santuari che si incontrano sulle cime selvose delle montagne, dedicati a San Silvano e a San Silvestro, i quali meriterebbero una più approfondita riflessione proprio in merito alla collocazione. Nel corso del XIX secolo i festeggiamenti del maggio andarono in declino abbastanza rapidamente, sia perché la Chiesa, per sradicare questa tradizione di origine pagana, dedicò tutto il mese di maggio alla Madonna; sia perché più tardi il socialismo fece del primo maggio la festa dei lavoratori, prima in America, poi in molti altri Paesi, e anche in Italia, per ricordare i traguardi raggiunti dai lavoratori in campo economico e sociale, già dagli ultimi decenni dell’Ottocento.Durante il fascismo non furono proibite le “feste di Maggio” ma improntate al generale clima di propaganda. La chiesa cattolica rivolse la decorrenza del “lavoratore” a S. Giuseppe perché anche i cattolici potessero partecipare a pieno titolo ai festeggiamenti.  Queste ricorrenze sono andate perdendo le motivazioni magiche o sacrali e hanno assunto le sole motivazioni di gioco, divertimento e prova di forza, per riversarsi e concludersi nell’albero della cuccagna, in occasioni che hanno smarrito l’autenticità dei fatti religiosi relegati a fare da cornice. Solitamente il palo della cuccagna, prima di essere messo a dimora viene ricoperto di grasso o altra sostanza scivolosa per rendere difficile l’arrampicata da parte dei concorrenti. Così l’albero diventa una sorta di palestra di gara per dimostrare agilità e destrezza dei robusti giovanotti del paese a caccia dei suoi frutti; successivamente diventa anche una prova di robustezza dell’apparato digerente dei suoi conquistatori e dei partecipanti tutti.L’albero della cuccagna legato in qualche modo al popolo latino, attecchisce per tutta l’Europa, nell’utopico paese dell’abbondanza, dove non si fa altro che mangiare e bere, e ce n’è sempre più di quanto se ne desidera, insomma il sogno di tutti i poveri del mondo. Ad Accettura si celebra la cosiddetta festa del “Maggio” esportata anche nei paesi limitrofi, una manifestazione ancestrale, emblematica della fecondità della natura. In questo rito nulla è collegato al santo patrono San Giuliano. Verso questo aspetto specificamente pagano della festa ha rivolto il suo impegno e la sua cura un singolarissimo vescovo: per un trentennio del XXsecolo, è stata notevole in Basilicata l’azione civilizzatrice del Servo di Dio Mons. Raffaello Delle Nocche11(1877-1960), 68° Vescovo della Diocesi di Tricarico (Mt). Il suo impegno è stato rivolto anche a ridare dignità alle feste patronali, mediante richiami ed esortazioni affinché non fossero mescolati il sacro con il profano, il divino con il triviale, la preghiera con la crapula.In occasione della quinta visita pastorale ad Accettura, precisamente nel 1949, il vescovo sollecita l’arciprete De Luca affinché, in merito alla festa del maggio si recuperi il travisato senso religioso. Nel documento emesso in quella occasione, con accoramento e affetto paterno rivolse agli “Accetturesi” queste raccomandazioni:"Si convincano i nostri figli di Accettura che la tradizionale usanza del maggio è contraria alla santità delle sane processioni, è occasione di gravi offese alla legge di Dio e assai contraddice allo spirito di bontà cristiana; perciò, mentre non ci stanchiamo di raccomandare ai buoni fedeli l’obbedienza a questa nostra piena esortazione e vivo desiderio, premuriamo il reverendissimo arciprete a non far mancare mai la sua parola persuasiva al riguardo, affinché durante le manifestazioni religiose tutto avvenga conforme alla bontà d’animo degli accetturesi e alle loro tradizioni cristiane."11 Il 10 maggio 2012 il Servo di Dio Mons. Raffaello Delle Nocche è stato dichiaratoVenerabile. Papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del “Decreto di venerabilità”.La fase successiva sarà la “Dichiarazione di beatificazione”. Il processo per la suabeatificazione cominciò il 14 agosto del 1963, quando il Capitolo Cattedrale e la superioragenerale delle Discepole di Gesù Eucaristico rivolsero istanza al Vescovo di Tricarico,monsignor Bruno Pelaia, di apertura dei processi relativi alla causa di beatificazione di monsignor Delle Nocche.Altro intervento (ed ultimo) della chiesa ufficiale sulle feste dei “maggi”, attive in Basilicata e Calabria, è quello del Vescovo di Anglona-Tursi, in visita ad Alessandria del Carretto nel maggio del 1951 ricorrenza in onore del patrono San Alessandro.Il presule invitò il parroco a non lasciare la festa in mano ai procuratori, quindi a «moderare la cerimonia della peta [abete], che sa di “feticismo”*».*Termine senz’altro riferito alla forma di religiosità primitiva, consistente nel culto (pagano) di oggetti naturali, (alberi nello specifico) per alludere alle feste e ai rituali profani, considerati come celebrazioni di particolare importanza con grande partecipazione popolare. Questo suggerimento viene attribuito quasi certamente all’Arcivescovo Metropolita Pasquale Quaremba (1905-1986) poiché, all’epoca dei fatti amministrava quella diocesi.Nel terzo millennio, dunque, sopravvivono i riti, rivolti agli alberi in molte zone d’Italia e d’Europa, e si continua a fare degli alberi i protagonisti delle feste, sicché possiamo affermare che le feste cambiano, l’attenzione e l’amore per gli alberi restano!FINETratto da ALBEROLOGIA di Antonio de Bona www.alberologia.it