Alberologia.........

Il cervello vuole vivere nel Bosco


NEW YORKVoglio andare a vivere in campagna», cantava un noto musicista italiano. Il suo inno alla natura e ai benefici effetti che produce sull’uomo anticipava di circa un decennio lo studio di una squadra di psicologi americani secondo cui la città, con tutti gli stress ad essa legati, danneggia il cervello umano.«La mente è una macchina limitata - spiega Marc Berman, professore dell’Università del Michigan e coordinatore dello studio che ha valutato i deficit cognitivi causati anche solo da una passeggiata in un’area urbana molto trafficata -. Stiamo iniziando a capire solo ora i vari modi in cui la città forza questi limiti». Dopo pochi minuti trascorsi in una strada affollata, il cervello riduce la memoria e l’auto-controllo. In sostanza mentre è noto e ampiamente condiviso il fatto che la vita di città sia per molti aspetti estenuante, la ricerca ne mette a nudo un altro pericoloso effetto: la capacità di offuscare la mente umana, in alcuni casi in maniera drammatica. E’ la mancanza del contatto con la natura la principale causa di indebolimento psicologico: lo studio infatti rivela che i pazienti ricoverati in ospedale guariscono più velocemente se hanno la possibilità di guardare alberi o piante dalla finestra della camera, mentre gli anziani nelle case di cura conservano una maggiore capacità di focalizzare l’attenzione se trascorrono qualche ora in un giardino ricco di verde.La buona notizia, secondo gli esperti, è che anche piccole modifiche dall’habitat possono giovare al cervello. Mettere qualche pianta nel giardino o sul terrazzo, oppure trasferirsi in una zona più vicina a parchi e boschi, riduce gli effetti negativi dello stress cittadino. In sostanza il cervello ha bisogno della natura e anche piccole iniezioni di verde aiutano a mantenere in salute la mente umana. Non a caso Central Park, il parco newyorkese, è stato realizzato nel cuore di Manhattan: il polmone verde della City garantisce infatti una valvola di sfogo a chi vuole fuggire, anche solo per qualche istante, dal caos della giungla di cemento. La città quindi, sin dal diciottesimo secolo culla del progresso e fucina delle arti e delle scienze, rischia di innescare un meccanismo di involuzione, se vissuta senza le giuste accortezze.Se ne accorse lo stesso Pablo Picasso che dopo alcuni anni a Parigi, musa ispiratrice di alcuni suoi capolavori, preferì andarsene alla ricerca di lidi più tranquilli. Oggi che la maggior parte della popolazione mondiale vive in zone urbane, la necessità di un «ammortizzatore mentale» è ancor più forte. Una passeggiata sulla Fifth Avenue a New York ad esempio richiede molteplici e ripetuti sforzi: evitare i pedoni distratti, spesso insensibili ai richiami a causa della musica sparata nelle orecchie dall’iPod, incroci pericolosi da attraversare evitando le manovre degli automobilisti, il suono dei clacson e il frastuono dei cantieri a cielo aperto, o le mille luci di vetrine e insegne pubblicitarie. Si tratta di sollecitazioni simultanee che si traducono in un sovraccarico di lavoro per una zona cruciale del cervello, la nostra cabina di regia delle sensazioni.Sono distrazioni che impongono una correzione continua di attenzione, non richiesta in un ambiente «eco-friendly» come la campagna o la montagna. Lo dice la «Attention Restoration Theory» una teoria sviluppata da un altro psicologo del Michigan, Stephen Kaplan, la stessa che spiega come i bambini affetti da deficit di attenzione mostrano sintomi più lievi all’aumentare del verde. «Se guardiamo la foto di una strada trafficata sviluppiamo immediatamente uno stato di agitazione inconscia», dice Berman secondo cui a questo segue un deficit di attenzione. Inoltre all’aumentare della densità abitativa delle zone urbane diminuisce l’autocontrollo perché le tante distrazioni a cui siamo sottoposti entrano in conflitto col funzionamento della corteccia perifrontale, la porzione del cervello che si trova immediatamente dietro agli occhi. Infine si fatica a tenere a freno le emozioni: le violenze domestiche sono meno frequenti nelle case con vista su parchi e boschi. Ad accorgersene più di un secolo fa furono alcuni architetti come Frederick Law Olmsted, che sostenevano la necessità di «integrare la natura nella vita moderna». A distanza di tanti anni però le città continuano a crescere a dismisura e spesso in modo disordinato. Questo, secondo gli esperti, rende più che mai necessario il recupero del rapporto con l’ambiente per mitigare i danni psicologici delle metropoli pur preservandone i benefici. Senza fuggire per forza in campagna, anche perché il rischio sarebbe una patologia opposta come racconta un altro cantautore, Lou Reed: «Mi sto ammalando di alberi, per favore portatemi in città».Venerdì 16 Gennaio 2009 LASTAMPA.IT Scienza