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Alberologia.........

Dall'albero al Bosco. Selviturismo.L'ultima evoluzione del turismo naturalistico; vera ed unica proposta di turismo eco-compatibile

 

 

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Il cervello vuole vivere nel Bosco

Post n°24 pubblicato il 17 Gennaio 2009 da grifo58

NEW YORK

Voglio andare a vivere in campagna», cantava un noto musicista italiano. Il suo inno alla natura e ai benefici effetti che produce sull’uomo anticipava di circa un decennio lo studio di una squadra di psicologi americani secondo cui la città, con tutti gli stress ad essa legati, danneggia il cervello umano.

«La mente è una macchina limitata - spiega Marc Berman, professore dell’Università del Michigan e coordinatore dello studio che ha valutato i deficit cognitivi causati anche solo da una passeggiata in un’area urbana molto trafficata -. Stiamo iniziando a capire solo ora i vari modi in cui la città forza questi limiti». Dopo pochi minuti trascorsi in una strada affollata, il cervello riduce la memoria e l’auto-controllo. In sostanza mentre è noto e ampiamente condiviso il fatto che la vita di città sia per molti aspetti estenuante, la ricerca ne mette a nudo un altro pericoloso effetto: la capacità di offuscare la mente umana, in alcuni casi in maniera drammatica. E’ la mancanza del contatto con la natura la principale causa di indebolimento psicologico: lo studio infatti rivela che i pazienti ricoverati in ospedale guariscono più velocemente se hanno la possibilità di guardare alberi o piante dalla finestra della camera, mentre gli anziani nelle case di cura conservano una maggiore capacità di focalizzare l’attenzione se trascorrono qualche ora in un giardino ricco di verde.

La buona notizia, secondo gli esperti, è che anche piccole modifiche dall’habitat possono giovare al cervello. Mettere qualche pianta nel giardino o sul terrazzo, oppure trasferirsi in una zona più vicina a parchi e boschi, riduce gli effetti negativi dello stress cittadino. In sostanza il cervello ha bisogno della natura e anche piccole iniezioni di verde aiutano a mantenere in salute la mente umana. Non a caso Central Park, il parco newyorkese, è stato realizzato nel cuore di Manhattan: il polmone verde della City garantisce infatti una valvola di sfogo a chi vuole fuggire, anche solo per qualche istante, dal caos della giungla di cemento. La città quindi, sin dal diciottesimo secolo culla del progresso e fucina delle arti e delle scienze, rischia di innescare un meccanismo di involuzione, se vissuta senza le giuste accortezze.

Se ne accorse lo stesso Pablo Picasso che dopo alcuni anni a Parigi, musa ispiratrice di alcuni suoi capolavori, preferì andarsene alla ricerca di lidi più tranquilli. Oggi che la maggior parte della popolazione mondiale vive in zone urbane, la necessità di un «ammortizzatore mentale» è ancor più forte. Una passeggiata sulla Fifth Avenue a New York ad esempio richiede molteplici e ripetuti sforzi: evitare i pedoni distratti, spesso insensibili ai richiami a causa della musica sparata nelle orecchie dall’iPod, incroci pericolosi da attraversare evitando le manovre degli automobilisti, il suono dei clacson e il frastuono dei cantieri a cielo aperto, o le mille luci di vetrine e insegne pubblicitarie. Si tratta di sollecitazioni simultanee che si traducono in un sovraccarico di lavoro per una zona cruciale del cervello, la nostra cabina di regia delle sensazioni.

Sono distrazioni che impongono una correzione continua di attenzione, non richiesta in un ambiente «eco-friendly» come la campagna o la montagna. Lo dice la «Attention Restoration Theory» una teoria sviluppata da un altro psicologo del Michigan, Stephen Kaplan, la stessa che spiega come i bambini affetti da deficit di attenzione mostrano sintomi più lievi all’aumentare del verde. «Se guardiamo la foto di una strada trafficata sviluppiamo immediatamente uno stato di agitazione inconscia», dice Berman secondo cui a questo segue un deficit di attenzione. Inoltre all’aumentare della densità abitativa delle zone urbane diminuisce l’autocontrollo perché le tante distrazioni a cui siamo sottoposti entrano in conflitto col funzionamento della corteccia perifrontale, la porzione del cervello che si trova immediatamente dietro agli occhi.

Infine si fatica a tenere a freno le emozioni: le violenze domestiche sono meno frequenti nelle case con vista su parchi e boschi. Ad accorgersene più di un secolo fa furono alcuni architetti come Frederick Law Olmsted, che sostenevano la necessità di «integrare la natura nella vita moderna». A distanza di tanti anni però le città continuano a crescere a dismisura e spesso in modo disordinato.

Questo, secondo gli esperti, rende più che mai necessario il recupero del rapporto con l’ambiente per mitigare i danni psicologici delle metropoli pur preservandone i benefici. Senza fuggire per forza in campagna, anche perché il rischio sarebbe una patologia opposta come racconta un altro cantautore, Lou Reed: «Mi sto ammalando di alberi, per favore portatemi in città».

Venerdì 16 Gennaio 2009 LASTAMPA.IT Scienza

 

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Commenti al Post:
gaiaaaaa
gaiaaaaa il 17/03/10 alle 20:49 via WEB
Ahhhhhhhhhhhhhhh ecco: qualche tempo fa ero infinitamente più intelligente di ora....... se fino ad ora pensavo in un normale decadimento neurale, adesso sono CERTA che è colpa del mio attuale fidanzato che si rifiuta di accompagnarmi nelle uscite di trekking che facevo almeno ogni 15 giorni nel Parco Naturale del Pollino: adesso so con chi prendermela... grazie per avermi avvertita!!!!!!!!!!!
 
 
grifo58
grifo58 il 20/01/14 alle 23:23 via WEB
ASGARD sono IO!!!! Lo vuoi capire o no?
 
grifo58
grifo58 il 20/01/14 alle 23:26 via WEB
Ma nonostante le scomuniche, i rimproveri e le minacce, il culto degli alberi si tramandò per altri numerosi secoli. A prova di questo è la storia del vescovo Anselmo che nel 1258 a Sventanistis ordinò l’abbattimento di un’enorme quercia sacra; la sua forza e resistenza era talmente alta che l’ascia rimbalzò sul tronco colpendo mortalmente il boscaiolo. Allora, il vescovo in persona prese 130 Alberologia l’ascia, ma anche lui non riuscì a far nulla, così ordinò che l’albero fosse bruciato. Notizie del genere si hanno anche un secolo dopo, dove, tra il 1351 e 1355 a Romuva, in Prussia, su richiesta del vescovo Giovanni I, il gran maestro dei cavalieri della croce; fece segare una quercia sacra sotto la quale si radunava la popolazione per pregare. Si levi l’abuso che in questa diocesi è grande di drizzar gli albori (alberi) che si chiamano “Maggi” alle feste delle Calende di maggio, che oltre causa molti disordini, risse, contentini (contese,dissensi) et soprattutto scandali, dà segno più presto di una pagana superstizione che di attione (azione) cristiana e in vece loro si drizzino delle croci in tutti i capi delle strade pubbliche. Così tuonava il Nunzio Apostolico assieme al clero della diocesi di Alba nell’anno 1584 scagliando un durissimo anatema contro l’usanza diffusa nel basso Piemonte di innalzare “maggi”. Era questa forse la “trasformazione” di un rito pagano, secondo il quale grandi alberi sacrali inghirlandati, venivano portati prima in processione, poi piantati. Parole dure, ma anche queste risultarono vane. Le croci furono drizzate ma i riti degli alberi continuarono e la Chiesa, con disinvolta politica sincretistica, vista l’impossibilità di sopprimerli, incominciò ad appropriarsene e le cristianizzò, associandoli alla celebrazione dei Santi. Verso la fine del XVIII secolo gli alberi assunsero altri significati e vennero eretti in nome della libertà. Culti, riti, credenze passarono in second’ordine. Durante la rivoluzione francese per festeggiare l’abolizione della tirannide e il ritorno della libertà i repubblicani piantano l’“Albero della libertà”; succede a Parigi la prima volta nel 1790, poi un po’ dappertutto dove trionfano i rivoluzionari. Un decreto della Convenzione del 1792 ne regolava l’uso: l’albero della libertà è sormontato da un berretto frigio rosso e adorno di bandiere, ai suoi piedi giurano i magistrati, si bruciano i diplomi nobiliari e si danza e si festeggia. Sull’onda dei fatti del 1799, Avigliano (PZ) fu la prima città, ancor prima di Napoli, a piantare l’albero della libertà e a proclamare la Repubblica Napoletana, che ebbe tra i suoi fautori i lucani Mario Pagano e Michele Granata. XXVIII. Dendrolatria 131 Figura 28.2 Illustrazione dell’albero della libertà, JohannWolfgang Von Goethe, 1793 Da Avigliano i moti si estesero in tutta la regione, animati dalla “Organizzazione democratica” guidata dagli aviglianesi Michelangelo e Girolamo Vaccaro, ma l’insurrezione venne repressa. I francesi ritornarono sette anni più tardi, nonostante le resistenze della popolazione, la cui gran parte era di parte borbonica. Piantate in mezzo a una pubblica piazza un palo coronato di fiori, ponetevi intorno un popolo, e otterrete una festa» (v. J.J. Rousseau, 1758; tr. it., p. 269). L’obiettivo di Rousseau è pedagogico: egli mira a formare un popolo che rinnovi le salde virtù patriottiche. La festa è occasione di divertimento, strumento di costruzione civile e di unificazione sociale. Ma torniamo alle piante e ai riti arborei a loro dedicati, ai culti pagani, agli alberi della cuccagna, i quali nulla hanno a che vedere con la religione Cattolica, che da gran tempo ha mal sopportato questi 132 Alberologia cerimoniali che fino ad oggi ha mal tollerato. Siamo arrivati così alla prima metà del XX Secolo, per notare che altro vescovo scrive a tal proposito: è il Servo di Dio Mons. Raffaello Delle Nocche (1877– 1960) 68° Vescovo della Diocesi di Tricarico (MT); il monito è per sottolineare l’impegno volto al recupero delle feste patronali, ma con quei necessari ritocchi, richiami ed esortazioni affinché non siano mescolati il sacro con il profano. A volte antiche tradizioni, pur rispettabilissime e degne di studio accurato dal punto di vista antropico, hanno finito con lo svuotare l’autenticità dei fatti religiosi relegati a far da cornice. Ad esempio è nota ad Accettura la cosiddetta festa del “maggio” esportata anche nei paesi limitrofi, una manifestazione ancestrale ed emblematica della fecondità della natura. In questo rito non si capisce bene che cosa ci stia a fare il Santo Patrono. Il vescovo sollecita l’arciprete affinché recuperino il loro senso religioso. Questo avviene durante la quinta visita pastorale ad Accettura precisamente nel 1949 e si trova nel decreto emesso per Accettura nella quinta visita che, con accoramento ed affetto paterno, sente urgente il bisogno di raccomandare i cittadini con queste parole: Si convincano i nostri figli di Accettura che la tradizionale usanza del maggio è contraria alla santità delle sane processioni, è occasione di gravi offese alla legge di Dio e assai contraddice allo spirito di bontà cristiana; perciò, mentre non ci stanchiamo di raccomandare ai buoni fedeli l’obbedienza a questa nostra piena esortazione e vivo desiderio, premuriamo il reverendissimo arciprete a non far mancare mai la sua parola persuasiva al riguardo, affinché durante le manifestazioni religiose tutto avvenga conforme alla bontà d’animo degli accetturesi e alle sue tradizioni cristiane4. Questo forse non significa che quella prima battaglia, iniziata da Giulio Cesare e seguitata dagli altri soggetti non meno implacabili, risulta definitivamente persa. Comunque dopo duemila anni il culto offerto agli alberi non è stato soppresso ed ancora vige in molte zone d’Italia. Sopravvivono dunque i riti, i culti, e si continua a tributare agli alberi quei sacrifici e quelle feste anche se i canoni nel terzo millennio, sono molto diversi dalle venerazioni di una volta, pur avendo lo stesso 4. Pancrazio Perrone Raffaello Delle Nocche vescovo di Tricarico San Paolo Ed. 2010. XXVIII. Dendrolatria 133 significato. Anche qui, su queste colline, questi riti venivano celebrati. Da sempre. Le feste e gli uomini cambiano. I significati degli alberi un po’ meno! Il culto (arboreo),
 
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