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Nakahara Chuya.


Nato nel 1907 a Yamaguchi (nella parte meridionale del Giappone), il padre era un medico dell'esercito. Nel 1915, cominciò a scrivere le prime poesie per cercare di esprimere il dolore che provava per la morte del fratello minore e già nel 1920 alcuni suoi versi vennerò pubblicati da un giornale locale. Le sue prime poesie seguono il modello stilistico dei Tanka (poesia tradizionale giapponese). Dopo essersi trasferito prima a Kyoto e poi a Tokyo si laureò in lingue.
Dopo aver incontrato  Takahashi Shinkichi e Tominaga Taro decise di passare ad un modello di poesia molto più libero ispirandosi alle idee del dadaismo e nello stesso periodo fondò una rivista di poesia chiamata "gli idioti".A lui si deve la traduzione in lingua giapponese di molte delle opere di Rimbaud e Verlaine.Durante la sua vita non ebbe il successo che meritava ma dopo la sua morte, avvenuta a soli trenta anni per meningite, la sua popolarità andò aumentando fino a diventare uno dei più amati poeti giapponesi.Kenzaburo, (premio nobel per la letteratura nel 1994 e nei cui romanzi ritorna spesso l'elemento autobiografico della nascita di un figlio handicappato), inserisce la seconda strofa della poesia "timidezza" nel racconto "Aghwee il mostro celeste".In altro oltre l'intrico dei rami,un cielo triste, gremito di anime di bambini morti:un battito di ciglia e proprio là, sulle distese lontane,richiami di lana di agnello, immagini antiche di sogno.
La morte precoce della primogenita segna in qualche modo il destino di Nakahara Chuuya, che ebbe una profonda crisi nervosa e venne ricoverato in ospedale, e allo stesso modo in questo racconto Oe Kenzaburo narra del procedere della malattia mentale del protagonista, innescata dalla morte precoce del figlio handicappato.La figura della primogenita morta è un elemento ricorrente nelle poesie di Chuuya.Ecco la primavera che ritornadicono che la primavera stia per tornare,ma il mio dolore e' lo stesso.che essa ritorni a che serve?il mio figlioletto non tornera' mai piu'.ricordo questo maggio.andammo allo zoo, e ti stringevo.ti mostrai gli elefanti, e tu dicesti "miao",ti mostrai gli uccelli, e tu ancora "miao",quando alla fine ti mostrai i cervi,tutto attratto dalle loro cornanon dicesti piu' nulla, osservando ammirato.allora anche tu eri immersonella luce di questo mondo.e, ritto in piedi, osservavi...Dal 1996 la sua città natale ogni anno indice un concorso letterario per la miglior poesia in suo nome.