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Il Giorno del Ricordo nell'Europa contemporanea

Post n°7 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da senzaconfini2015
 

Il significato del Giorno del Ricordo nell'Europa contemporanea

Cosa significa il Giorno del Ricordo nell’Europa contemporanea - e non solo a Trieste, in Italia, in Istria - è l’interrogativo che il politologo e collaboratore del Circolo Istria Biagio Mannino ha posto attraverso ad una serie di domande al prof. Fulvio Salimbeni, docente di storia contemporanea all’Università di Udine e a Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria ed esule da Pola.

È così che il Comune di Monfalcone ha pensato di celebrare la ricorrenza, presentata al numeroso e attento pubblico presente dalla prof.ssa Paola Benes, assessore alla cultura del Comune di Monfalcone. La domanda che ella stessa si è posta – come riferisce – all’arrivo la mattina nella scuola in cui insegna vedendo le bandiere d’Italia e d’Europa a mezz’asta. “Perché?” “… e se ne accorgeranno anche i ragazzi? “Che risposta si daranno?”

“La nostra epoca  - afferma il dott. Mannino - è quella delle commemorazioni dei tragici eventi che hanno colpito i popoli a causa delle scelte della politica”. Tutti gli stati le hanno: quello ebraico il 27 novembre in memoria della shoah; quello giapponese il 6 agosto per ricordare  il bombardamento atomico di Hiroshima del 1945; quello germanico il 9 novembre per celebrare la caduta del muro di Berlino del 1989;…  tutte “perché non accada più” - come fa più volte notare il prof. Salimbeni nei suoi interventi – eppure anche attualmente in Ucraina è in corso una guerra di cui forse sottovalutiamo l’importanza. 

Non abbiamo imparato niente! “Quel che è accaduto – sostiene ancora Mannino – si ripresenta” ma, dal momento che l’incontro ha lo scopo di ricordare l’esodo dei giuliano-dalmati e le ragioni che l’hanno provocato, Mannino chiede al prof. Salimbeni qual  è il contesto storico del Giorno del Ricordo.

“Per rispondere adeguatamente a questa domanda - premette il prof. Salimbeni -  bisognerebbe andare avanti fino a domani, in poche parole, il contesto è quello della II Guerra Mondiale, dell’occupazione jugoslava di parte della Venezia Giulia del 1943, del Trattato di Pace di Parigi del 1947. Si tratta di un contesto europeo, ed è bene ricordarlo perché l’Istria, Fiume, Zara e quella parte della Dalmazia che sono state interessate dall’esodo giuliano-dalmata sono spesso visti come un territorio a sé mentre le sue vicende riguardano tutta l’Europa Centro-Orientale e bisogna risalire alla fine del 1.800, in particolare al 1880, come fece la nota Commissione culturale italo-slovena, per comprendere appieno quel che accadde in seguito. 

Al dott. Livio Dorigo, esule da Pola, viene rivolta la medesima domanda per quanto riguarda l’esodo. “Qual era il contesto / la situazione di Pola nel periodo dell’esodo?”

Dorigo parte anche lui da lontano, dalla sua infanzia, da quando, a 6 anni, nel 1936, cominciò a frequentare la scuola elementare e gli fu chiesto di portare 2 lire per la pagella e 5 per l’Opera Nazionale Fascista. L’educazione che si riceveva ai suoi tempi era d’impronta fascista e così egli diventò “balilla”, poi “balilla moschettiere”. Ebbe la sua divisa e il suo piccolo moschetto, di cui andava molto orgoglioso… Passarono gli anni, venne la guerra,… ma essa si fece sentire in particolare dopo l’armistizio dell’8 settembre quando Pola venne occupata dalle truppe germaniche. I tedeschi pretesero l’arruolamento dei militari in servizio e dei giovani nel loro esercito, nelle SS, nella Todt, nella Repubblica Sociale Italiana. Per chi si rifiutava c’era la deportazione in Germania. La guerra in Istria non era ancora finita. Poi venne l’occupazione jugoslava accompagnata da vendette, persecuzioni, infoibamenti,… Il tutto culminò con la strage di Vergarolla, dopo la quale i polesi abbandonarono quasi tutti la città. “Questa la mia storia personale, che è memoria non scienza – conclude Dorigo – che non potrà mai essere condivisa da altri perché ognuno ha la sua memoria mentre per quanto riguarda la storia come scienza bisognerebbe fare lo sforzo di trasmettere almeno ai giovani delle nazioni viciniori un’unica storia”.

Inevitabile il passaggio, da parte dello storico, agli altri esodi europei: della Polonia che  è “traslata” a Occidente di ben 300 chilometri,  dei 4 milioni di tedeschi cacciati dalla Transilvania, della Jugoslavia durante il periodo nazista, per non citare che alcuni dei numerosi spostamenti di popolazioni europee del XX secolo per ragioni etnico-nazionali e politiche di cui le grandi potenze (Gran Bretagna, USA, URSS  e in grado minore Francia) si sono rese responsabili anche per risolvere i problemi conseguenti alla politica nazista.

Dalla scena internazionale ritorniamo a quella personale dello studente liceale Dorigo, di 17 anni, che lascia la natia Pola assieme al padre, di 48 anni, faticosamente passato dalla condizione di operaio a quella di piccolo imprenditore, proprietario di un salumificio. Emblematico il momento della chiusura della porta della casa prima di partire per l’esilio. La porta si chiude o non si chiude? E cosa si fa della chiave? Con un gesto di sconforto suo padre la getta via. I loro vissuti sono e rimarranno sempre diversi. Il padre non ritornò mai più a Pola. Il figlio - grazie alla buona accoglienza ricevuta a Varese, dove svolse la sua attività lavorativa, alla lettura delle opere di Tomizza assieme al trasferimento a Trieste e al contatto col mondo degli italiani rimasti - recuperò le sue radici e intraprese la sua vita da profugo come impegno per la conservazione e diffusione della storia del nostro territorio e il suo benessere. 

“Gli esuli istriani fermatisi a Trieste sono tanti: ben 63.000. Qual è il loro atteggiamento verso i nuovi esodi?” chiede Mannino. 

Secondo Dorigo i singoli ritengono che si dovrebbe operare un’accoglienza civile ma desta tristezza l’indifferenza dei popoli europei di fronte a questo nuovo problema, che non è soltanto italiano.

Trieste come Budapest sono pieni di monumenti che testimoniano la loro antica storia. Mannino chiede a Salimbeni cosa sanno i giovani d’oggi della storia dei luoghi in cui vivono e della storia in generale. Secondo il professore, fatte salve alcune  eccellenze, i giovani d’oggi sono molto ignoranti in storia e questo fa riflettere sull’insegnamento di questa materia, specie negli istituti superiori, che andrebbe rivisto. Si dovrebbe passare dalla storia delle guerre a quella delle civiltà, a ciò che unisce. Si dovrebbe fra l’altro riprendere il citato documento italo-sloveno e cominciare a scrivere una storia comune almeno delle nazioni confinanti.

Per concludere Mannino si rivolge a Dorigo chiedendogli se, come Presidente del Circolo Istria, pensa che gli istriani riusciranno a mantenere la propria identità nella realtà europea che si va profilando. Secondo Dorigo bisogna essere innanzitutto cittadini della propria terra e quindi avere una propria sicura identità perché allora si possono attraversare i confini senza timore di perderla, rimanendo se stessi.

Al prof. Salimbeni invece Mannino chiede se la scarsa conoscenza della storia del confine orientale è da imputare agli storici o ai politici. 

Salimbeni ritiene che gli storici abbiano fatto la loro parte, perché esiste da tempo una vasta pubblicistica sull’argomento; la colpa è senz’altro prevalentemente dei politici, che hanno mantenuto il silenzio su questa parte della storia fino al 1980, per opportunità politica, perché non bisognava scontentare il maresciallo Tito, da cui dipendeva l’equilibrio fra il mondo occidentale e quello orientale. Quando Tito non fu più utile a questi fini le cose cambiarono anche nei rapporti coi rimasti,  distinzione che in un’Europa unita dovrebbe cadere perché non ha più senso.

A questo proposito Dorigo ritiene che la minoranza italiana in Istria ha bisogno dall’Italia di un sostegno non solo culturale ma anche socio-economico altrimenti non riuscirà a sopravvivere. La sua situazione è infatti completamente diversa da quella della minoranza slovena in Italia, che ha la sua banca ed altre risorse economiche. Dorigo espone poi sinteticamente il progetto del Circolo Istria, anche un suo grande sogno, di un villaggio in Ciceria della convivenza autonoma di giovani italiani sloveni e croati.

A sostegno dell’affermazione di Dorigo della necessità di sostenere anche economicamente gli italiani dell’Istria, interviene dal pubblico l’assessore della provincia di Gorizia Fabio Del Bello che espone quanto la sua provincia già fa attraverso intensi scambi commerciali con la penisola citata.

Carmen Palazzolo

 

 

 

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