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La tragedia di Arsia

Post n°15 pubblicato il 06 Marzo 2015 da senzaconfini2015
 

LA TRAGEDIA DI ARSIA

di Anna Piccioni

Ci son voluti settantacinque anni perché anche a Trieste arrivasse l'eco della tragedia scoppiata alle 4.35 nelle miniere di carbone dell'Arsa, nei pressi delle città istriane di Albona ed Arsia il 28 febbraio 1940. Questa è una tragedia che ha fatto 185 vittime di cui 2/3 istriani (italiani croati sloveni), e gli altri provenienti da Bergamo, Brescia, dal Friuli e due triestini. 

Il Circolo Istria che da alcuni anni commemora ad Albona/Labin le vittime delle miniere di Arsia, quest'anno è riuscito a coinvolgere il comune di Trieste, l' I.R.C.I., l'Unione italiana della comunità di Albona, il comune di Albona/Labin, il comune di Arsa/Raša e l'associazione musicale SERENADE ENSAMBLE, per una giornata di studi venerdì 27 febbraio nell'Auditorium del Museo Revoltella.

Molte sono le ragioni che legano Trieste alle miniere di Arsia: a cominciare dal direttore Guido Segre, imprenditore, nato a Torino, ma dal 1918 residente a Trieste; l'architetto Gustavo Pulitzer Finali, i tecnici, molto giovani, provenienti dalla Studio Pulitzer; artisti come Mascherini e Carrà: il vescovo Santin che consacrò la chiesa di Santa Barbara ad Arsia. Purtroppo la storia e la politica insieme non hanno permesso il superamento in tutti questi anni delle barriere ideologiche che hanno considerato la tragedia della miniera un lutto per una sola parte del territorio, perché avvenute in un periodo che da una parte e dall'altra si vuol dimenticare: l'occupazione fascista dell'Istria. Al di là delle pressioni ideologiche bisogna ricordare quando, come e perché sono iniziate le estrazioni del carbone.

Fin dal 1920 le miniere di Arsa sono attive, ma di poco interesse; nel 1935 Guido Segre acquisisce anche le miniere del Sulcis; attraverso l'amico Chino Alessi viene presentato a Mussolini. Il Duce è interessato all'estrazione del carbone per poter portare avanti il sistema autarchico. Viene fondata l'Azienda Carboni Italiani di Roma con sede a Trieste. Per poter estrarre di più c'è bisogno di manodopera (finora i minatori venivano dai dintorni di Albona e da Pola attraverso lunghi percorsi, di molte ore, in carri e a piedi). L'ingegner Segre pensò che era necessario avere i minatori vicino al posto di lavoro. Fu bonificata la valle del Carpano e, sacrificando la terra coltivata, che poco incideva sull'economia, si iniziò la costruzione delle abitazioni di operai, tecnici e dirigenti. L'intervento di Pulitzer non fu solo quello di dare alloggi a minatori e tecnici vicino al posto di lavoro, ma di intervenire con un piano urbanistico che rispondesse alle esigenze di vita di una comunità. Nello stesso tempo progetterà la città di Carbonia nel Sulcis.

Per cercare di capire le cause della tragedia e di quelle 185 vittime è necessario analizzare la condizione degli operai. Per lo più era una manovalanza poco qualificata e quindi sottopagata, sottoposta a turni massacranti, senza riposo domenicale in quanto bisognava produrre il più possibile dovendo provvedere al fabbisogno di tutto il territorio italiano, perciò ci furono altri morti per incidenti. In seguito alle leggi razziali Guido Segre dovette abbandonare la gestione della miniera. Le decisioni sulle quantità di carbone da estrarre venivano direttamente da Roma. I ritmi dell'estrazione aumentarono in seguito alle sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni all'Italia in seguito all'occupazione dell'Etiopa. Le rimostranze dei sindacati erano crescenti, sia di ordine morale che economiche. Ma secondo la retorica fascista “l'operaio era diventato soldato nella trincea del lavoro”.

Tuttavia il Prefetto di Pola si assunse il carico di quanto lamentavano gli operai: orari di lavoro, le multe, i licenziamenti senza ragione, le condizioni dell'ambiente di lavoro e provvide ad istituire un servizio sanitario e di pronto soccorso e alla costruzione di strade agevoli per il percorso da Pola ad Arsia. Non deve meravigliare se nel tempo ci furono vari incidenti con i loro morti. La tragedia più grande era nell'aria. L'incidente è avvenuto nella “camera 1” a 380 metri sottoterra. Una uscita di grisou, un colpo di vento: non c'era ventilazione, in pochi minuti fuoco fumo intorno.

Su quei morti della miniera ci sono responsabilità accertate: non erano previste procedure d'emergenza, non c'era personale preparato ad affrontare l'incidente, non c'erano maschere antigas; si dovette attendere i pompieri da Fiume, le maschere antigas arrivarono dai cantieri di Monfalcone, i filtri per le maschere da Venezia in aeroplano: passarono 48 ore e 185 minatori!

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