Creato da senzaconfini2015 il 31/12/2014
Libero pensiero ed analisi dei fatti sono alla base del lavoro dei collaboratori di questo blog.
 

 

I numeri dei migranti in Italia e altrove

Post n°10 pubblicato il 23 Febbraio 2015 da senzaconfini2015
 

I numeri dei migranti in Italia e altrove

In Italia fra i politici e nei mass media sulla numerosità dei migranti nel Paese c’è grande fermento e preoccupazione, che si riversa su tutta la popolazione, che assiste più o meno da vicino al fenomeno e quasi sempre senza un’adeguata informazione sulla situazione di cui si parla. Risulta pertanto molto interessante l’articolo della prima pagina del quotidiano di Trieste “Il Piccolo” di lunedì, 23 febbraio 2015, in cui il giornalista Francesco Jori scrive che, ad oggi, i migranti presenti in Italia sono 67.034, cioè il 0,1 % della popolazione italiana, che è di circa 60 milioni di abitanti mentre in Francia sono 232.000 su una popolazione di circa 66 milioni, in Germania 190.000 su circa 80.000 abitanti, in Inghilterra 126.000 su circa 64 milioni. Anche senza fare tutte le percentuali mi sembra evidente che l’Italia non è il Paese col maggior numero di migranti in Europa.

A quanto sopra vanno poi aggiunte altre due informazioni importanti: il fatto che nel 2014 meno di 70.000 delle persone giunte illegalmente in Italia via mare ha chiesto asilo in Italia mentre le altre sono andate altrove e il fatto che - secondo quanto scrive su “Segnalazione” nel giornale e giorno citati Maurizio Ambrosini -  gli ingressi sono negli ultimi anni diminuiti passando dai 400.000 all’anno fino al 2009, ai 250.000 del 2013 e ai 178.000 del 2014.

Se poi usciamo dall’Europa e consultiamo il sito di Amnesty International per conoscere la situazione di altri Paesi troviamo che il Libano ospita 1.1 milioni di rifugiati registrati, ovvero circa il 26 % della popolazione del paese; la Giordania ne ospita 618.615, il 9.8 % della popolazione; la Turchia 1.6 milioni, il 2.4 per cento della popolazione; l'Iraq 225.373, lo 0.67%  della popolazione; l'Egitto 142.543, ossia lo 0.17%  della popolazione.

La situazione mi sembra chiara: l’Italia non è il Paese col maggior numeri di rifugiati in Europa e nel mondo come sembrerebbe guardando la televisione, ascoltando la radio e leggendo i giornali. E i numeri in alcuni casi sono più esplicativi delle parole.

Perché dunque tanta preoccupazione?

 

 

 
 
 

Finalmente ci siamo!

Post n°9 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da senzaconfini2015
 

Finalmente ci siamo!

Finalmente ci siamo! Con questa espressione si potrebbe sintetizzare il Giorno del Ricordo 2015. Dal 2004 si commemorano le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata. Fino a pochi anni fa la Rai faceva molta fatica solamente a parlarne o a trasmettere un documentario su quei tragici fatti. Ora possiamo dire che lo spazio dedicato all’esodo istriano non solo dalla Rai ma anche da altri media è molto soddisfacente anche se sicuramente si può fare di più. Fino a tre o quattro anni fa quelle vittime innocenti sono stati morti di serie B e per una parte ormai minoritaria del nostro paese lo sono ancora. Ma se la visibilità è sicuramente cresciuta su quei tragici fatti è grazie ad un’opera teatrale a dir poco impeccabile. Bisogna riconoscere che Simone Cristicchi è riuscito a fare breccia. il cantautore romano ha trattato quei temi incredibilmente drammatici con una sensibilità unica. E a differenza di altre opere dedicate all’esodo Magazzino 18 può vantarsi di aver avuto un successo senza eguali. Chi si ricorda “Il cuore nel pozzo”? oppure “Porzus”? o ancora i molti libri dedicati all’esodo? Beh sicuramente se lo ricordano gli esuli, i loro parenti oppure gli storici o ancora le persone che nutrono interesse su quel tema. Ma la gente comune e disinteressata alla storia del confine orientale sicuramente non conosce queste opere. Grazie al Magazzino 18 la storia di quegli italiani dimenticati è finalmente conosciuta da una buona fetta del paese, basta pensare che, ovunque venga portata, l’opera di Cristicchi fa il pieno di spettatori. In ogni teatro del nostro paese ma anche in Istria e in Canada il successo è stato a dir poco commovente. L’opera, nata nel 2013, continua a girare per tutto lo stivale e riceve riconoscimenti molto importanti. Da un sondaggio commissionato diversi anni fa dall’Associazione Venezia Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, gli italiani che sapevano cos’erano le foibe o l’esodo erano solamente il 30%. Si può dire che questa percentuale grazie all’apporto considerevole di Cristicchi è destinata a crescere notevolmente. Il cantautore nato a Roma nel 1977 viene chiamato spesso nelle scuole per raccontare l’esodo dei giuliano-dalmati e per spiegare come è nato il suo interesse per questa storia molto dolorosa. Indubbiamente ora di esodo e foibe si parla di più non solo dai partiti politici ma bensì dalle stesse associazioni. L’associazione più conosciuta degli esuli, l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, solamente nel 2014, durante il 10 Febbraio, ha organizzato ben 350 eventi. Finalmente l’esodo non è più rimasto chiuso a Trieste, dove si ricorda ogni giorno, ma si è preso la scena quasi ovunque da Bolzano fino al Sud Italia. Questa storia rimasta nascosta per molti anni ora è conosciuta. Non c’è comunque solo il Magazzino 18 ma anche l’interessante libro di Nino Benvenuti “L’Isola che non c’è” e prossimamente ci sarà l’uscita del film “Rosso Istria” del regista Antonello Bellucco, figlio di profughi fiumani. Questo film già presentato a Padova è dedicato a Norma Cossetto, giovane studentessa istriana uccisa barbaramente dai titini. La storie importanti dell’esodo riescono ad interessare una quantità vasta di persone. In futuro speriamo che questi film, libri o opere si moltiplichino. Dell’esodo giuliano- dalmata si deve parlare. Purtroppo anche quest’anno bisogna registrare vili attacchi come la scritta becera sui muri della Casa del Ricordo a Roma, ma ci sono anche le notizie positive per esempio l’Università di Bologna non ha concesso spazi per la conferenza ad un gruppo di negazionisti. C’è ancora molto lavoro da fare ma non ci sono dubbi che la strada intrapresa sia quella giusta. In un paese come l’Italia dove sicuramente la cultura non è mai stata considerata notevolmente, la pagina triste dell’esodo giuliano-dalmata deve essere conosciuta perché appartiene a tutta la nazione e non solo ad una parte.

Filippo Borin, giovane collaboratore

 

 
 
 

Giorno del Ricordo a S. Canzian d'Isonzo (GO)

Post n°8 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da senzaconfini2015
 

Il Circolo Istria a S. Canzian d'Isonzo (GO)

per celebrare il Giorno del Ricordo 2015, venerdì 13 febbraio.

L'incontro si è svolto nella sala del Consiglio Comunale alla presenza di diversi assessori e consiglieri e del Sindaco, Silvia Caruso, che ha coordinato l'incontro.  La serata è cominciata con la presentazione dei due  relatori: Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria e Biagio Mannino, politologo e collaboratore del Circolo, che hanno tenuto la medesima celebrazione qui anche l'anno scorso. Era presente pure Paolo Padovan, presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI), a cui il sindaco ha dato la parola per primo per un saluto. Egli non si è però limitato soltanto a salutare ma ha fatto una sintetica e corretta esposizione  - quasi una lezione, come ha più tardi commentato Dorigo - sull'esodo e gli eventi che l'hanno provocato.

Il saluto di Paolo Padovan

Il tema “Il Giorno del Ricordo ed il superamento dei confini psicologici” è oltremodo suggestivo. Lascia a tante possibilità interpretative. Ascolterò con attenzione gli illustri relatori. Certo è che sulla legge – e parlo di questa e non sulla giusta e doverosa opportunità di ricordare gli eccidi delle foibe e poi, credo distintamente, l’esodo dei tanti “esuli per l’Italia” una considerazione di principio vada fatta.

La prima cosa sono le cosiddette “foibe”;

la seconda è l’esodo di circa 250.000 abitanti dell’Istria, Pola, Fiume, Zara e della Dalmazia dalla loro terra di origine nella neocostituita Repubblica italiana.

Voglio dire, per chiarezza, e su questo l’ANPI si è pronunciato ripetutamente, che, secondo noi, la legge n. 92 del 30 marzo 2004 è stata creata per riconoscere il dramma dell’esodo del popolo istriano, unendolo fittiziamente a quello che fu il “dramma” dell’eliminazione e seppellimento nelle cosiddette “foibe” di nemici e criminali di guerra nazisti, fascisti, collaborazionisti (italiani, sloveni, croati) fra i quali anche civili innocenti, avvenuta nel 1943 e negli anni successivi, in particolare nei 45 giorni della permanenza delle truppe di Tito a Trieste e nella provincia e città limitrofe.

Questa è una pagina tragica, dolorosa, complicata per i vari intrecci internazionali, nazionalistici ed etnici che coinvolsero queste nostre terre, dove da secoli convivevano pacificamente popolazioni multiculturali, multireligiose e multietniche.

Non voglio – non è compito mio – entrare nel merito particolare del perché quelle cose drammatiche ed esecrabili sono successe.

Io sono convinto che il dramma degli esuli istriani, al pari di quelli di altri popoli europei, vada riconosciuto come tale. Nei loro confronti abbiamo avuto un deficit di comprensione e solidarietà se non un giudizio superficiale, emotivo e molte volte egoistico.

Lo Stato italiano, che tanto ha promesso e poco mantenuto, ha una grande responsabilità sia nell’incentivare che nel dimenticare il dramma di chi ha lasciato le proprie amate terre per andare in una Patria molte volte indifferente se non ostile.

La Jugoslavia ha avuto il grande torto di incentivare l’esodo, di fare una pulizia nazionale, del resto praticata anche in realtà europee di gran lunga numericamente più consistenti.

Un problema che deve ancora essere approfondito, e questa utile iniziativa va in tal senso, è se la politica jugoslava verso le terre d’Istria e della Dalmazia fu di pulizia etnica, oppure se vi siano stati tanti altri intrecci, compreso l’obiettivo italiano di usare politicamente la perdita di quelle terre per un rinnovato revanscismo nazionalistico per una forte e internazionalista classe operaia, che aveva visto e vedeva nella Resistenza e nell’antifascismo la conquista della democrazia ma anche di uno stato democratico e socialista sulla spinta della Rivoluzione d’ottobre, che tanta speranza creò nelle classi subalterne e in particolare in quella operaia.

È giusto ricordare il dramma patito dagli esuli. Esso va collocato nel tempo non nascondendo le responsabilità del fascismo e del nazismo, che mostrò in queste terre di confine la faccia più feroce e repressiva con le leggi razziali e la persecuzione del popolo sloveno.

Quindi vanno bene tutte le iniziative che ricordano quel dramma senza però cadere nell’uso politico e spregiudicato che la destra e il fascismo, principale colpevole delle conseguenze di una guerra d’aggressione perduta, ha fatto e tenta ancora di fare speculando sui morti e sull’esodo.

Oggi viviamo in un mondo più aperto. Molte barriere, anche mentali, sono cadute. Popoli che allora erano nemici oggi stanno sotto alla stessa bandiera europea, che ha garantito fino ad oggi 70 anni di pace. È questo un patrimonio che va salvato e rafforzato anche attraverso al drammatico insegnamento dei torti e dei patimenti subiti, che siano di monito affinché - e venti di guerra soffiano anche vicino a noi – le cose non si debbano più ripetere.

 La parola è stata poi data a Livio Dorigo, che ha descritto la sua infanzia e prima giovinezza a Pola. Nella città, alla fine della guerra, sotto una neutrale amministrazione inglese mentre tutto il territorio all’intorno era in mano jugoslava, l’atmosfera era di grande insofferenza. Pola era una città operaia, di sinistra, come si direbbe oggi, contrariamente alla fama di fascisti tuttora attribuita agli esuli istriani. Lo sviluppo demografico della città avvenne infatti quando l’impero austro-ungarico ne fece la base della sua flotta navale, cosa che portò all’insediamento e sviluppo sul posto di cantieri navali e all’afflusso di maestranza operaie specializzate da tutto l’impero, che non erano certamente di destra. Poi, in una caldissima domenica d’agosto, sulla spiaggia di Vergarolla, affollata in particolare di donne e bambini anche perché alla Società “Pietas Julia” che vi aveva la sede si doveva disputare la gara per la coppa Scarioni, le mine marine che vi erano state accatastate e private del detonatore dopo la bonifica del porto improvvisamente scoppiarono provocando una settantina di morti, e moltissimi feriti. È il culmine del disagio! In città si parlò subito di attentato. Di chi? Ancor oggi non c’è un’assoluta chiarezza sull’argomento nonostante il grande impegno del Circolo Istria nella scoperta della verità, fino al punto di finanziare una ricerca condotta dal dott. Gaetano Dato, che ne ha tratto un volume, recentemente pubblicato e presentato per la prima volta in Parlamento. Il giorno dopo la strage Guido Miglia, direttore de “L’arena di Pola”, lo storico quotidiano della città, tuttora pubblicato dagli esuli polesi, scrisse: “La colpa è della guerra!” Sono le guerre le cause di tutte le stragi.

 Dopo quest’episodio la città si svuotò.

 Anche Livio prese la strada dell'esodo in Italia con la famiglia nel 1947 e visse come gli altri l'accoglienza, gli studi, la carriera professionale. Un iter che lo portò in diverse parti d’Italia, cosa che gli consentì di conoscere meglio il nostro paese e i suoi abitanti e di constatare purtroppo la disinformazione, il disinteresse a volte anche l’ostilità della gente nei confronti degli esuli giuliano-dalmati. Una cosa da un certo punto di vista comprensibile negli anni ‘40/’50 quando l’Italia era ancora dolorante per le ferite della guerra  e non era in grado di affrontare decorosamente un problema come quello dell’esodo giuliano-dalmata.

Questa la sua memoria personale che non può essere condivisa perché ognuno ha la sua memoria, che non è storia.

 E poi, lentamente e faticosamente, avvenne il suo recupero delle radici e dell’identità istriana. Ha così avuto inizio il suo impegno nella ricerca della verità storica sulla strada indicata dai padri fondatori del Circolo Istria, come Guido Miglia, Depangher Giorgio, Vocci Marino, Fragiacomo Mario, Tomizza Fulvio e altri e sulla strada dell’unione fra i popoli, indicata già nell’800 da Giuseppe Mazzini nelle sue “Lettere slave”. Impegno indirizzato al benessere attuale e futuro, in una prospettiva europea, del territorio che va ''da Cherso al Carso'' senza dimenticare la sua storia passata, che è romano-veneta e non è soltanto quella delle persecuzioni, delle foibe e dell'esodo.

Prende poi la parola il politologo Biagio Mannino, che inizia il suo intervento definendo il ruolo del politologo, che è quello di studioso della politica. L’espressione più evidente di questa scienza sono gli stati e i loro confini. Il confine segna un limite, una divisione del territorio, separa da qualcosa/qualcuno che generalmente si teme e si ritiene nemico. Esso è infatti dovuto di solito alla paura ed è molto ben espresso da un muro. Di muri come confini nella storia ce ne sono infatti parecchi a partire dalla muraglia cinese e, per andare a tempi più vicini a noi, al muro di Berlino o, ancora più vicino, alla divisione in due parti di Gorizia dopo l'occupazione jugoslava di parte della città, per cui una parte di essa, proprio come accadde per la città di Berlino, fu assegnata all'ex Jugoslavia e una parte rimase all'Italia.

Il confine non è però soltanto evidente e fisico, c’è anche quello psicologico. Gli esuli giuliano-dalmati hanno vissuto sulla propria pelle l’uno e l’altro: c’è chi s’è trasferito da Ancarano a Muggia, distanti pochi chilometri l’una dall’altra ma la prima nell’ex Jugoslavia, la seconda in Italia. Ora che i confini fisici tra Italia Slovenia e Croazia sono stati abbattuti la distinzione fra andati e rimasti dovrebbe aver perso significato, ma non è così per tutti in quanto non basta eliminare i confini fisici per diventare un unico stato perché esistono anche i confini psicologici, non esteriormente percepibili ma anche più persistenti e difficili da abbattere dei limiti concreti. Questo generalmente non riguarda le nuove generazioni, anche grazie al mondo internet, che non ha confini.

“A tutto questo, che fa parte della politica, si intrecciano le storie personali come la mia – dice Mannino - che sono nato a Trieste con ascendenti istriani e siciliani, cosa in un territorio come quello di Trieste frequentissima, eppure, dallo studio statistico da me effettuato fra i giovani delle scuole superiori di Trieste, dove hanno stabilito la loro residenza ben 63.000 esuli, risulta che il 30 % è di origini istriane ma ben l’80 % di essi non si sente istriano. 

Cosa significa questo? 

Si tratta di persone di terza generazione, che non hanno vissuto l’esperienza dell’esodo e quindi il loro modo di vederlo non può che dipendere dall’informazione ricevuta o meno sull’argomento, specie in famiglia, e dal modo in cui gli è stata comunicata. Gli esuli infatti a volte non hanno narrato la loro esperienza di esodo altre volte hanno trasmesso ai loro discendenti assieme ai fatti vissuti anche gli stati d’animo, le emozioni che li hanno accompagnati, che spesso persistono nel tempo rinnovandosi ad ogni occasione di ricordo. Accade quindi che i discendenti di queste persone si ritengano gli eredi anche dei loro sentimenti e dei comportamenti che ne derivano, che fanno propri  e non intendono cambiare perché sarebbe come tradire i genitori e i nonni che glieli hanno consegnati”. 

È il conservatorismo estremo, l’immobilismo! 

Ma, passando al significato del Giorno del Ricordo, esso deve essere un’occasione per ricordare l'evento Esodo e quanto ad esso attine, riflettere su di esso ed elaborare. Tutti i popoli hanno un Giorno del Ricordo.

Conclusi gli interventi dei due relatori, il Sindaco offre la parola al pubblico. La chiede l’assessore Del Bello che fa un lungo intervento centrato sul tema della pulizia etnica. Ciò che è avvenuto in Istria, a Fiume, a Zara e in Dalmazia dopo l’occupazione jugoslava non fu a suo avviso tale ma la conseguenza dell’ordinamento socio-politico della Jugoslavia del tempo, che tendeva all’eliminazione anche fisica degli oppositori.

Nessuno obietta anche se certamente più d'uno, me compresa, non è d'accordo perché, oltrettutto, "l'eliminazione anche fisica degli oppositori"  se non fu pulizia etnica, che cos'è? 

Molto diplomaticamente interviene il sindaco, la sig.ra Caruso, esponendo un’esperienza della sua famiglia italo/slovena, tipica del territorio.

 
 
 

Il Giorno del Ricordo nell'Europa contemporanea

Post n°7 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da senzaconfini2015
 

Il significato del Giorno del Ricordo nell'Europa contemporanea

Cosa significa il Giorno del Ricordo nell’Europa contemporanea - e non solo a Trieste, in Italia, in Istria - è l’interrogativo che il politologo e collaboratore del Circolo Istria Biagio Mannino ha posto attraverso ad una serie di domande al prof. Fulvio Salimbeni, docente di storia contemporanea all’Università di Udine e a Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria ed esule da Pola.

È così che il Comune di Monfalcone ha pensato di celebrare la ricorrenza, presentata al numeroso e attento pubblico presente dalla prof.ssa Paola Benes, assessore alla cultura del Comune di Monfalcone. La domanda che ella stessa si è posta – come riferisce – all’arrivo la mattina nella scuola in cui insegna vedendo le bandiere d’Italia e d’Europa a mezz’asta. “Perché?” “… e se ne accorgeranno anche i ragazzi? “Che risposta si daranno?”

“La nostra epoca  - afferma il dott. Mannino - è quella delle commemorazioni dei tragici eventi che hanno colpito i popoli a causa delle scelte della politica”. Tutti gli stati le hanno: quello ebraico il 27 novembre in memoria della shoah; quello giapponese il 6 agosto per ricordare  il bombardamento atomico di Hiroshima del 1945; quello germanico il 9 novembre per celebrare la caduta del muro di Berlino del 1989;…  tutte “perché non accada più” - come fa più volte notare il prof. Salimbeni nei suoi interventi – eppure anche attualmente in Ucraina è in corso una guerra di cui forse sottovalutiamo l’importanza. 

Non abbiamo imparato niente! “Quel che è accaduto – sostiene ancora Mannino – si ripresenta” ma, dal momento che l’incontro ha lo scopo di ricordare l’esodo dei giuliano-dalmati e le ragioni che l’hanno provocato, Mannino chiede al prof. Salimbeni qual  è il contesto storico del Giorno del Ricordo.

“Per rispondere adeguatamente a questa domanda - premette il prof. Salimbeni -  bisognerebbe andare avanti fino a domani, in poche parole, il contesto è quello della II Guerra Mondiale, dell’occupazione jugoslava di parte della Venezia Giulia del 1943, del Trattato di Pace di Parigi del 1947. Si tratta di un contesto europeo, ed è bene ricordarlo perché l’Istria, Fiume, Zara e quella parte della Dalmazia che sono state interessate dall’esodo giuliano-dalmata sono spesso visti come un territorio a sé mentre le sue vicende riguardano tutta l’Europa Centro-Orientale e bisogna risalire alla fine del 1.800, in particolare al 1880, come fece la nota Commissione culturale italo-slovena, per comprendere appieno quel che accadde in seguito. 

Al dott. Livio Dorigo, esule da Pola, viene rivolta la medesima domanda per quanto riguarda l’esodo. “Qual era il contesto / la situazione di Pola nel periodo dell’esodo?”

Dorigo parte anche lui da lontano, dalla sua infanzia, da quando, a 6 anni, nel 1936, cominciò a frequentare la scuola elementare e gli fu chiesto di portare 2 lire per la pagella e 5 per l’Opera Nazionale Fascista. L’educazione che si riceveva ai suoi tempi era d’impronta fascista e così egli diventò “balilla”, poi “balilla moschettiere”. Ebbe la sua divisa e il suo piccolo moschetto, di cui andava molto orgoglioso… Passarono gli anni, venne la guerra,… ma essa si fece sentire in particolare dopo l’armistizio dell’8 settembre quando Pola venne occupata dalle truppe germaniche. I tedeschi pretesero l’arruolamento dei militari in servizio e dei giovani nel loro esercito, nelle SS, nella Todt, nella Repubblica Sociale Italiana. Per chi si rifiutava c’era la deportazione in Germania. La guerra in Istria non era ancora finita. Poi venne l’occupazione jugoslava accompagnata da vendette, persecuzioni, infoibamenti,… Il tutto culminò con la strage di Vergarolla, dopo la quale i polesi abbandonarono quasi tutti la città. “Questa la mia storia personale, che è memoria non scienza – conclude Dorigo – che non potrà mai essere condivisa da altri perché ognuno ha la sua memoria mentre per quanto riguarda la storia come scienza bisognerebbe fare lo sforzo di trasmettere almeno ai giovani delle nazioni viciniori un’unica storia”.

Inevitabile il passaggio, da parte dello storico, agli altri esodi europei: della Polonia che  è “traslata” a Occidente di ben 300 chilometri,  dei 4 milioni di tedeschi cacciati dalla Transilvania, della Jugoslavia durante il periodo nazista, per non citare che alcuni dei numerosi spostamenti di popolazioni europee del XX secolo per ragioni etnico-nazionali e politiche di cui le grandi potenze (Gran Bretagna, USA, URSS  e in grado minore Francia) si sono rese responsabili anche per risolvere i problemi conseguenti alla politica nazista.

Dalla scena internazionale ritorniamo a quella personale dello studente liceale Dorigo, di 17 anni, che lascia la natia Pola assieme al padre, di 48 anni, faticosamente passato dalla condizione di operaio a quella di piccolo imprenditore, proprietario di un salumificio. Emblematico il momento della chiusura della porta della casa prima di partire per l’esilio. La porta si chiude o non si chiude? E cosa si fa della chiave? Con un gesto di sconforto suo padre la getta via. I loro vissuti sono e rimarranno sempre diversi. Il padre non ritornò mai più a Pola. Il figlio - grazie alla buona accoglienza ricevuta a Varese, dove svolse la sua attività lavorativa, alla lettura delle opere di Tomizza assieme al trasferimento a Trieste e al contatto col mondo degli italiani rimasti - recuperò le sue radici e intraprese la sua vita da profugo come impegno per la conservazione e diffusione della storia del nostro territorio e il suo benessere. 

“Gli esuli istriani fermatisi a Trieste sono tanti: ben 63.000. Qual è il loro atteggiamento verso i nuovi esodi?” chiede Mannino. 

Secondo Dorigo i singoli ritengono che si dovrebbe operare un’accoglienza civile ma desta tristezza l’indifferenza dei popoli europei di fronte a questo nuovo problema, che non è soltanto italiano.

Trieste come Budapest sono pieni di monumenti che testimoniano la loro antica storia. Mannino chiede a Salimbeni cosa sanno i giovani d’oggi della storia dei luoghi in cui vivono e della storia in generale. Secondo il professore, fatte salve alcune  eccellenze, i giovani d’oggi sono molto ignoranti in storia e questo fa riflettere sull’insegnamento di questa materia, specie negli istituti superiori, che andrebbe rivisto. Si dovrebbe passare dalla storia delle guerre a quella delle civiltà, a ciò che unisce. Si dovrebbe fra l’altro riprendere il citato documento italo-sloveno e cominciare a scrivere una storia comune almeno delle nazioni confinanti.

Per concludere Mannino si rivolge a Dorigo chiedendogli se, come Presidente del Circolo Istria, pensa che gli istriani riusciranno a mantenere la propria identità nella realtà europea che si va profilando. Secondo Dorigo bisogna essere innanzitutto cittadini della propria terra e quindi avere una propria sicura identità perché allora si possono attraversare i confini senza timore di perderla, rimanendo se stessi.

Al prof. Salimbeni invece Mannino chiede se la scarsa conoscenza della storia del confine orientale è da imputare agli storici o ai politici. 

Salimbeni ritiene che gli storici abbiano fatto la loro parte, perché esiste da tempo una vasta pubblicistica sull’argomento; la colpa è senz’altro prevalentemente dei politici, che hanno mantenuto il silenzio su questa parte della storia fino al 1980, per opportunità politica, perché non bisognava scontentare il maresciallo Tito, da cui dipendeva l’equilibrio fra il mondo occidentale e quello orientale. Quando Tito non fu più utile a questi fini le cose cambiarono anche nei rapporti coi rimasti,  distinzione che in un’Europa unita dovrebbe cadere perché non ha più senso.

A questo proposito Dorigo ritiene che la minoranza italiana in Istria ha bisogno dall’Italia di un sostegno non solo culturale ma anche socio-economico altrimenti non riuscirà a sopravvivere. La sua situazione è infatti completamente diversa da quella della minoranza slovena in Italia, che ha la sua banca ed altre risorse economiche. Dorigo espone poi sinteticamente il progetto del Circolo Istria, anche un suo grande sogno, di un villaggio in Ciceria della convivenza autonoma di giovani italiani sloveni e croati.

A sostegno dell’affermazione di Dorigo della necessità di sostenere anche economicamente gli italiani dell’Istria, interviene dal pubblico l’assessore della provincia di Gorizia Fabio Del Bello che espone quanto la sua provincia già fa attraverso intensi scambi commerciali con la penisola citata.

Carmen Palazzolo

 

 

 

 
 
 

Riavviato il tavolo Governo-Esuli

Post n°6 pubblicato il 14 Febbraio 2015 da senzaconfini2015

Comunicato stampa

RIAVVIATO IL TAVOLO GOVERNO – ESULI

Diritti umani, beni e scuola al centro della discussione

Si è svolta oggi in un clima disteso e costruttivo presso il Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la tanto attesa riunione del Tavolo di Concertazione tra il Governo e le Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati.

Il Governo ha chiarito di non aver preso alcuna decisione circa l’eventuale ritiro dei milioni di dollari dovuti, in solido, da Slovenia e Croazia all’Italia quale indennizzo per tutti i beni espropriati dell’ex. Zona B. Su tale aspetto vi sarà un approfondimento giuridico finalizzato alla tutela delle legittime aspettative degli esuli interessati. L’eventuale incasso dovrà comunque essere contestuale alla verifica dell’attuazione dell’Accordo di Roma del 1983, anche in riferimento alla questione dei ‘beni in libera disponibilità’.

Le Associazioni degli Esuli hanno inoltre esposto le loro principali istanze, tra cui: l’indennizzo ‘equo e definitivo’, il recupero delle salme degli infoibati nelle attuali Croazia e Slovenia, la consegna della medaglia d’oro all’ultimo gonfalone di Zara italiana, la proroga di dieci anni per la presentazione delle richieste di conferimento delle medaglie ai parenti degli infoibati, l’inserimento, nelle linee guida didattiche per le scuole, delle sofferenze patite dagli esuli a causa delle violazioni dei diritti umani.

Ha aperto l’incontro il Sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova. Per la regione Friuli Venezia Giulia era presente l’Assessore Gianni Torrenti, il quale si è fatto garante degli interessi delle Associazioni degli Esuli circa la questione dei beni.

Alla riunione hanno inoltre partecipato:

Antonio Ballarin e Giuseppe de Vergottini - Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalnati;

Renzo Codarin e Davide Rossi - Associazione Nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia;

Manuele Braico e Bruno Liessi - Associazione delle Comunità Istriane;

Lucio Toth - Associazione Dalmati Italiani nel Mondo - Libero Comune di Zara in Esilio;

Guido Brazzoduro - Libero Comune di Fiume in Esilio;

Tullio Canevari e Paolo Radivo - Libero Comune di Pola in Esilio;

Mssimiliano Lacota ed Enrico De Cristofaro - Unione Istriani.

Roma, 12 febbraio 2015.

 
 
 

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