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« Il libro preferito?Ancora sui "miei" libri »

Sui libri preferiti (continua da post precedente)

Post n°59 pubblicato il 30 Luglio 2012 da meninasallospecchio

Come dicevo, scelgo di trattare l'argomento dal punto di vista non tanto dei libri che mi sono piaciuti molto, che sarebbero troppi, quanto di quelli che hanno contribuito alla mia formazione o, se preferite, che mi hanno cambiato la vita.

Li butto lì un po' alla rinfusa, senza gerarchie o cronologie.

Dostoesvskij compare due volte, il vecchio Fëdor Michajlovič sta sempre in cima alle classifiche dei romanzi di formazione. Tra l'altro, sia detto per inciso, con una bella citazione di Dostoesvskij si cucca alla grande :-), provare per credere.

Il primo è Delitto e castigo, lo so, sono banale. Allora forse non serve nemmeno che spieghi quali sono le riflessioni che induce, la soggettività/oggettività dell'etica,  la responsabilità e l'espiazione, ma soprattutto l'idea dell'etica superomistica, la riflessione su quali limiti etici presuntamente convenzionali possano essere superati in nome di un sé ritenuto, a torto o a ragione, superiore e capace di elaborare valori paralleli o addirittura più razionali. Dostoesvskij pone domande, non dà risposte. Almeno, a me sembra così, il suo fervore religioso lo trovo non soltanto poco convincente, ma anche poco credibile. Le sue storie sono narrativamente risolte, com'è nel paradigma del romanzo ottocentesco, ti lasciano appagato in una catarsi tragica definitiva, ma i suoi dubbi non lo sono.

Una scelta un po' meno banale, forse, quella de I demoni. Una luce sinistra su quanto di quello che abbiamo poi conosciuto come comunismo sovietico fosse nell'animo russo ben prima di Lenin e Stalin. E anche la commistione fra esistenzialismo e impegno politico, certe assurdità di adesione e annullamento del senso critico, l'individualità spesa per l'idea, la trasformazione in kamikaze morali: tutte cose che abbiamo vissuto con il terrorismo, impossibile per la mia generazione uno sguardo su quel periodo che ci lasci distanti, che non ci coinvolga in prima persona come se quel delirio non fosse anche una parte di noi.

Resto sul pesante e cito Se questo è un uomo, di Primo Levi. Si fa leggere ai ragazzi, e forse è un bene, ma dovrebbero poi rileggerlo da grandi. Non è un libro sul lager, è un libro sull'uomo. Messi a nudo dalla sofferenza e dalle condizioni estreme dell'esistenza, emergono i meccanismi ultimi dell'animo umano, le pulsioni, le meschinità, le grandezze. Privato di tutto, Primo Levi si rifugia nella salvezza estrema della riflssione sull'uomo: lui, gracile intellettuale, sopravvive dove altri apparentemente più forti di lui, soccombono. Un insegnamento immenso quello di tenere vivo il pensiero, l'autocoscienza, come antidoto al male, come scudo contro la sofferenza.

Di Madame Bovary ho già detto.

Dovrei parlare di Amleto, ma credo che prima o poi lo farò in un post dedicato. Il dilemma di Amleto, la scelta fra la sopportazione dignitosa del destino e l'azione che quel destino vuole sconfiggere e ribaltare è fra le grandi domande dell'uomo. Un dilemma che mi appartiene, il dubbio se l'accettazione sia un segno di grandezza morale o di codardia.

Ho ancora un paio di grandi classici, e poi qualche maestro un po' più insolito.

 

 
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