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Il Gran Bal Trad - 2

Post n°519 pubblicato il 25 Luglio 2016 da meninasallospecchio

L’Occitano mi accompagna nel luogo dove pernotterò, ovvero la stazione di Castellamonte. Che detto così pare brutto, ma in realtà è un grazioso appartamentino situato dentro l’edificio della stazione, e di pertinenza del gestore del bar; è lui il mio padrone di casa ed è un ragazzo normale, almeno lui. Ho trovato posto soltanto perché chi aveva prenotato precedentemente ha dato buca, ma 25 euro per un appartamento tutto mio sono veramente un’inezia. Ci sarebbero 6 posti letto. Ma mica mi lamento, eh. Il ragazzo è gentilissimo ed efficientissimo.

Nel frattempo l’Occitano mi ha aspettata. Anche se siamo ognuno con la sua macchina, andiamo a Vialfrè insieme, da lì sono 12 km. Insomma, per carità, un po’ va bene, ma… non è che sono andata lì con lui Questo conosce tutti e attacca a presentarmi come sua amica. Ma anche no!

E' un po’ il problema di andare in giro da sola, in generale. Voglio dire: caro sfigato che incontro in giro per il mondo, virgola, se sono sola non è perché non ho ancora avuto la fortuna di incontrare la mia anima gemella, che manco a dirlo saresti tu. No. Io sono sola perché mi va così. E se vado a ballare sola, voglio ballare con molte persone diverse, correndo anche il rischio di stare a bordo pista a guardare, perché qualche volta nessuno mi invita. Ma va bene così. Come nella vita. Certo, qualche volta potrebbe anche farmi piacere avere un uomo con me, ma se il prezzo è che me lo devo beccare sempre, e sempre solo quello, allora affronto serenamente qualche piccolo disagio, ma mi tengo la mia libertà. Fine dell’inciso.

Nonostante l’Occitano, la serata è comunque piacevole. Bella musica con i gruppi migliori su piazza, molti balli che non conosco, ma che è anche bello guardare. Appena posso cerco di liberarmi del mio ingombrante anfitrione, anche perché lui sembra essere lì più per socializzare che per ballare e passerebbe tutta la sera al bar. Mi allontano con qualche scusa e poi me ne vado per i fatti miei, ma subito mi cerca al telefono. Non rispondo una volta, due, tre, con la scusa della musica, ma alla fine sembra di essere scortese. Insomma, cerco di barcamenarmi. Ballo anche con lui, ovviamente, ma 'sta storia d'amore che nasce e muore nello spazio di una danza, con lui è già morta prima di cominciare.

Ad un certo punto della serata socializzo con due tizi che mi ha presentato, uno dei quali mi ispira molto. Hanno capito la situazione, gli chiedo di salvarmi. Per un po’ ballo con loro, tra l’altro sono pure bravi, e mi diverto un sacco. Ma a una cert’ora se ne vanno, lasciandomi di nuovo nei guai. Chissà se rivedrò mai quello che mi piaceva.

Nel frattempo è successa un’altra cosa. Una tipa si è presentata all’Occitano dicendo che un suo amico sta disperatamente cercando da dormire e chiedendogli se ha posto da lui. L’Occitano, molto dispiaciuto, le dice di non averne, ma in realtà mi sta fissando. Io, che mi lascio regolarmente sfuggire ogni buona occasione per tacere, faccio la mia battuta del cazzo. “Se è bello, può venire a dormire con me”. Detto fatto: non è bello, ed è pure un po’ agé, ma non aspettavano altro che io dessi la mia disponibilità a condividere l’appartamento. D’altra parte mi spiace anche per il ragazzo del bar, non fargli sfruttare appieno l’unica occasione che ha di guadagnare qualcosina, e comunque saremo in stanze separate.

Mi presentano quindi il mio occasionale coinquilino, che chiameremo il Pompiere, essendo lui per l’appunto un pompiere in pensione. Sempre partendo dall’ottimistico preconcetto di avere a che fare con persone intelligenti, faccio la spiritosa: “Diciamoci almeno i nomi, visto che dovremo dormire insieme”. In realtà il Pompiere è forse ancora più testa di cazzo dell’Occitano. Senza forse. Logorroico e pieno di sé, si crede un gran ballerino. Dopo 5 minuti mi ha già raccontato la storia della sua vita. Ora ne ho due da cui fuggire.

Dopo che l’Occitano ha tentato di baciarmi e chiesto se potrà in seguito telefonarmi e rivedermi, e dopo che io l’ho finalmente trattato in malo modo, si rassegna a ballare con altre, minacciando che sarei rimasta sola senza nessun cavaliere. Correrò questo rischio, gli dico. Venti secondi dopo sto ballando con un tizio di Torino abbastanza gradevole. Ma sono sfortunata. Anche lui deve andare via.

Ma la serata è quasi finita. Ballo ancora con un virtuoso che mi fa girare come nelle tazze di Gardaland e poi devo rientrare con il Pompiere, perché lui non ha le chiavi dell’appartamento. Alle 4 e mezza del mattino è ancora lì che mi racconta le sue gesta eroiche, manco fosse stato a Ground Zero, che qui da noi i pompieri più che altro salvano gattini in cima agli alberi e il massimo dell'eroismo è quando distruggono un nido di calabroni. Ormai non gli rispondo per evitare di incoraggiarlo.

Nell’appartamento tenta senza successo di aprire il divano-letto: non mi offro nemmeno di aiutarlo. Vado in bagno per prima e me ne vado a dormire. Al mattino quando mi alzo lui se n’è già andato. Le chiavi che avevo lasciato all’ingresso non ci sono, immagino quindi che le abbia portate giù al bar. Lascio la mia roba dentro e scendo a fare colazione. Il ragazzo cerca affannosamente le chiavi. “Eppure erano qui”, dice. Insomma, il Pompiere, dopo averle depositate sul bancone, se le è riprese prima di andare via. Ci sono altre chiavi ma si trovano, poco saggiamente, dentro l’appartamento chiuso. Il Pompiere è tornato a Vialfré dove sta partecipando agli stage di danza e non ha nessuna intenzione di tornare a restituire il maltolto. Alla fine la ragazza del barista va a recuperarle e io posso finalmente riprendermi la roba e partire.

Fine dell’avventura e, per il momento, dei miei spero non troppo noiosi racconti sul ballo folk.

Ah, alla sera ero di nuovo a ballare in un posto qua vicino, organizzato da un’associazione benefica. Fra i volontari dell’organizzazione c’era un mio studente, che mi ha fatto un sacco di feste e mi ha servita a cena come una regina. Più tardi, mentre ballavo, l’ho visto armeggiare con il cellulare, ormai sarò su tutti i social.

 
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Il Gran Bal Trad

Post n°518 pubblicato il 24 Luglio 2016 da meninasallospecchio

E torniamo là dove avevamo cominciato, dalla mia gita a Vialfré.

Vialfré è un minuscolo paesino del Canavese, dove ogni anno si tiene una 4 giorni di ballo folk. Nei prati e nei boschi nei pressi del paese.si costituisce un accampamento: quattro grandi tendoni con fondo a palchetto, opportunamente distanziati fra loro, bar, mensa, servizi, zona camper e tende.

Durante il giorno nei tendoni si tengono degli stage, in cui gli stessi gruppi che poi suoneranno la sera, coadiuvati da maestri, insegnano i vari balli. Oltre agli occitani, ci sono anche irlandesi, israeliani, gruppi dal sud Italia che insegnano la taranta e la pizzica, e tanto altro.

La sera dalle 21 si balla, in contemporanea nei 4 tendoni, con gruppi e musiche diverse. Ogni gruppo suona circa un’ora e mezza, ma sono leggermente sfalsati, per cui quando finisce uno, per non aspettare, ci si può spostare a un altro tendone. L’ultimo gruppo finisce di suonare alle 4 del mattino. Ma a volte i singoli musicisti si trovano ancora al bar e suonano fra loro, mentre la gente balla fino all’alba.

Insomma, tutti parlavano di ‘sto Viafré e mi sono incuriosita. Da casa mia però sono due belle ore di macchina. Prima ho pensato di andare di giorno, ma poi mi hanno spiegato, quelli che c’erano già stati, che non aveva molto senso. Oltretutto costa anche caro. Meglio andare di sera, più bello e i costi sono contenuti. Già, però due ore di macchina da sola alle 4 del mattino… Prima ho tentato di coinvolgere una tipa del mio corso di ballo. Poi, fallito il tentativo, mi sono detta che si poteva fare, a patto di dormire là e tornare il mattino seguente.

Ma io non sono tipo da tenda. Per carità, ho dormito in tenda molte volte in vita mia, ma se posso evito. Oltretutto i B&B del Canavese, zona per nulla turistica, sono molto economici. Già, economici ma pieni. Non so se avete presente, quando uno è indeciso se fare una cosa oppure no, e dice: lasciamo decidere il destino. C’è anche il trucco della moneta: testa vado, croce non vado. Poi esce croce e dici: vaffanculo, vado lo stesso.

Insomma, chiamo questo B&B. Siamo pieni, mi dice la signora. Ok, non importa. Aspetti, dice lei, le do il numero di uno che fa B&B da poco e forse ha ancora posto. Mah, le dico, in realtà sono incerta perché non so se viene la mia amica, forse sono sola. No, ma venga! dice entusiasta la signora. Vedrà che si diverte, anche da sola. Bah, proviamo. Chiamo il tipo e non mi risponde. Bon, destino.

Due ore dopo mi richiama. Lui non ha posto ma c’è un altro tizio che invece il posto ce l’ha. Via, andata. Prendiamo accordi: lo incontro in un paese e poi lui mi accompagna alla mia destinazione. Già al telefono questo personaggio, che balla anche lui, si rivela un tipo alquanto rustico. All’incontro si presenta con berretto e foulard al collo con bandiera occitana d’ordinanza. La sua auto è tappezzata di adesivi occitani. Nel seguito di questo racconto sarà quindi chiamato l’Occitano. Mi corre tuttavia l’obbligo di ricordare che nel Canavese sono occitani quanto me.

 

(continua)

 
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La mazurka Klandestina

Post n°517 pubblicato il 23 Luglio 2016 da meninasallospecchio

La mazurka klandestina, o skeggia nella sua versione più piccola, è un raduno spontaneo di gente che si ritrova per ballare. Per potersi definire tale, deve seguire delle regole ben precise. Non deve essere un evento organizzato con modalità ufficiali, manifesti, notizie sui quotidiani o sui siti; la diffusione è totalmente affidata al passaparola e ai social. Deve essere rigorosamente gratuita, nessuno paga o viene pagato per la sua partecipazione. In genere si balla con la musica registrata, ma a volte possono anche esserci dei musicisti, che però partecipano in forma individuale e gratuita. Spesso si portano cibi o bevande da condividere.

Si chiama clandestina perché in teoria sarebbe illegale, dato che non si richiedono permessi alle autorità e soprattutto non si foraggia quell’associazione per delinquere che prende il nome di SIAE. In realtà questi raduni sono tutt’altro che segreti e nelle grandi città spesso si svolgono in posti centralissimi. Le autorità chiudono un occhio o anche tutt’e due, visto che la musica non è ad alto volume e i partecipanti non causano problemi di ordine pubblico.


Una vera klandestina inizia a tarda sera e dura fino all’alba. Io non ci sono ancora mai stata, bisogna andare a Torino o a Milano o a Genova. Ma ci sono mazurke anche a Verona, a Bologna, a Napoli e Palermo. Noi ci limitiamo a delle piccole skegge che iniziano verso le 22 e durano fino all’una o poco più, poi tutti vanno a dormire perché le facciamo sempre nei giorni feriali. Però da quando è iniziata l’estate ne facciamo una alla settimana.

Durante la MK si possono ballare tutte le danze del repertorio, ma in genere si dà la prevalenza ai balli di coppia. Non soltanto la mazurka francese, ce ne sono altri: lo scottish per esempio, una danza forse di origine tedesca, ma anche varie forme di valzer francese cosiddette impari, a 5, 8 e 11 tempi. Le musiche sono meno tradizionali, più lente, a volte anche un po’ jazzate o contaminate con brani rock.

Il ballo, man mano che si scivola verso la notte fonda, diventa più sensuale, con le coppie che danzano strette, le donne con gli occhi chiusi. Come in tutti i balli di coppia, è l’uomo a condurre, in teoria la parte più difficile. Ma anche imparare a lasciarsi portare, a fidarsi, a non esercitare il controllo, è tutt’altro che facile. “La mazurka è una storia d’amore che nasce e muore nello spazio di una danza”, così è stata definita. E c’è del vero. Nel buio degli spazi clandestini, a notte fonda, ubriachi di sonno, musica e dolcezza, c’è un’intimità molto profonda fra i ballerini; non serve piacersi, è l’intesa creata dalla danza. La musica finisce e si rimane abbracciati ancora un attimo, il tempo di lasciar depositare l’emozione, di permettere all’incanto di svanire. E non si vorrebbe mai smettere.

 

(continua)

 
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L'Europa dei balli

Post n°516 pubblicato il 20 Luglio 2016 da meninasallospecchio

La cosa veramente bella di questi balli folk è che sono un fenomeno allo stesso tempo locale ed europeo. Ci fa pensare a quell’Europa delle regioni di cui si parlò per qualche tempo e che ora sembra così superata dallo scetticismo generale. O forse no, visto che mentre la nazione Gran Bretagna esce, la regione Scozia vorrebbe restare. E a volte ci si chiede che senso abbiano queste spinte centrifughe, prevalentemente propugnate dai vecchi, quando per i giovani è così scontato sentire qualsiasi paese europeo come casa propria, persino per un ballo.

Il fenomeno ha preso piede nelle città ed è andato a sostituire completamente il ballo liscio su base generazionale. Quest’ultimo ha avuto una sua stagione, iniziata fra ‘800 e ‘900 e durata fino agli anni ’60. Lo spazio di un paio di generazioni al massimo: ormai quasi nessuno sotto i 70 anni lo pratica. Culturalmente non è mai stato appealing, non ha niente di tradizionale, non è una musica di qualità, persino come ballo è piuttosto banale. Resiste il tango, nella coreografica versione argentina, molto più ricco di suggestioni e musicalmente ben frequentato. Resiste per il momento il ballo latino-americano, forse anch’esso destinato a segnare una moda passeggera.

Non so se sarà una moda effimera anche il ballo folk, che ha tuttavia una solida e antica tradizione che sicuramente almeno qualcuno si premurerà di conservare, come è stato nei secoli passati. Certo che ora si balla nelle valli del cuneese come a Torino, Milano, Bologna, Napoli e Palermo. E così si balla anche a Lubiana (da lì viene il secondo video del mio post precedente), a Barcellona e a Tel Aviv.

Si balla in modo organizzato in feste e concerti, ma si balla anche in modo improvvisato e spontaneo, semplicemente ritrovandosi fra amici in una piazza o sotto un portico. C’è una bella atmosfera, fatta di condivisione, di tolleranza verso chi è alle prime armi, di facile interazione fra sconosciuti.

 

(continua)

 
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I balli

Post n°515 pubblicato il 14 Luglio 2016 da meninasallospecchio

Anche se le chiamiamo danze occitane, in realtà i balli che facciamo noi sono solo in parte quelli delle nostre vallate e, in particolare, soltanto quelli della Val Varaita possono definirsi autenticamente tradizionali. Si tratta infatti di una valle del cuneese in cui non si è mai smesso di ballare, neppure durante il fascismo. Ogni 5 anni in Val Varaita si tiene una festa, a Carnevale: è una rievocazione storica, ma è anche l’occasione per ballare tutti i balli tipici di quella vallata, la courenta soprattutto, ma anche le sue molte varianti tipiche della valle.

Poiché si sono preservate nella loro terra d’origine, le danze della Val Varaita sono esattamente quelle della tradizione. Per le altre vallate, invece, dato che i balli sono diversi anche a breve distanza, si sono dovuti un po’ ricostruire. Negli anni ’70, quando è tornato l’interesse per la cultura popolare, qualcuno è andato in giro nelle aree montane a intervistare i vecchi, chi si ricordava, e, sulla base di questi ricordi, si sono fissati i passi e le figure delle altre courente, quella della Val Chisone, della Rocho, ecc. Anche la Val Vermenagna ha mantenuto abbastanza il suo ballo, ma è soltanto uno ed è poco codificato, nel senso che il passo ognuno lo fa alla sua maniera.

Questi balli sono generalmente balli di coppia, ma in alcuni tipi di danza le coppie possono essere due, tre o quattro, che ballano insieme. Il che è fonte di molta confusione quando non si è tanto esperti, ma è anche molto divertente. Specie nella Val Varaita, la danza prevede una parte finale in cui i cavalieri si spostano cambiando dama ad ogni giro di musica, il che evidentemente risponde a un’esigenza di incontrarsi e conoscersi in un tempo in cui le occasioni non erano molte. Devo dire che non è male neanche oggi.

Nei nostri corsi e nelle nostre feste, a questi balli tradizionali delle vallate se ne sono aggiunti molti altri, provenienti dalla tradizione di tutta Europa: dalla Francia, alla Scozia, alla Svezia, ai Paesi Baschi, fino alla Grecia e Israele. Alcune danze sono antiche, altre hanno poco meno di un secolo di vita, altre vengono inventate ancora ai giorni nostri. Fra le più famose ci sono delle danze facili e divertenti, adatte anche ai principianti, come il circolo circasso (di origine scozzese) e la chapelloise (di origine svedese): sono balli in cui si cambia coppia ad ogni giro, per cui è semplice per chiunque buttarsi nella danza, basta abbrancare il primo cavaliere o dama che ti viene a tiro, tanto si cambia subito.

Poi ci sono danze individuali, come quelle basche, o danze che si ballano in cerchio non in coppia, come quelle greche o israeliane, ma anche alcune di quelle francesi. E poi ci sono le danze di coppia vere e proprie, fra cui la famosa mazurca francese. Non è la mazurca del ballo liscio, anche se con questa, e con qualsiasi tipo di mazurca, ha in comune il ritmo ternario. Ma la musica è generalmente più lenta e meno ritmata, con una melodia più romantica che si presta a una danza anche molto sensuale.

Questi balli di coppia sono in genere danzati su musiche non tradizionali, ma opera dei vari musicisti e gruppi che suonano musica folk un po’ in tutta Europa; i loro brani diventano famosi fra coloro che praticano abitualmente le danze.

 

(continua)

 
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Lou Dalfin

Post n°514 pubblicato il 09 Luglio 2016 da meninasallospecchio

Il più famoso fra i gruppi che suonano musica occitana si chiama Lou Dalfin. Attivi fin dai primi anni ’80 con un repertorio dapprima tradizionale, si sciolgono e si riformano negli anni ’90 come gruppo folk-rock. Negli ultimi anni, con il diffondersi del ballo, sono tornati un po’ alla tradizione, ma quando ho iniziato ad ascoltarli io, la loro musica non era tanto ballabile (troppo veloce), quanto gradevole da ascoltare, con un’impronta più rock e cantautorale.

Non si trova su youtube musica di quel periodo, ma per farvi un’idea guardate questo video, in cui sono in concerto con Davide Van de Sfroos, un cantautore folk comasco, anche lui poco conosciuto fuori dai giri locali.

Apro una parentesi per togliermi un sassolone dalla scarpa. Che il sud Italia abbia più musica folk di noi, sono io la prima a dirlo. Ma non si capisce perché a livello nazionale debbano essere noti soltanto i gruppi meridionali. Perché i Lou Dalfin, che pure fanno musica migliore di tanti gruppetti avventizi della Campania o della Puglia non sono mai andati per esempio a un concertone del Primo maggio? Lasciatemelo dire, questo fa parte di una sostanziale discriminazione culturale che colpisce da sempre il settentrione. A noi nordici si impone di capire Troisi o il romanesco stretto di film come Romanzo criminale o Suburra, mentre i dialetti settentrionali vengono regolarmente sottotitolati. Così come fra Piemonte e Liguria (anche Lombardia, ma il lombardo è già un po’ più accettato) abbiamo dei cabarettisti strepitosi che nessuno conosce perché il dialetto è considerato troppo ostico: ma sono ostici solo i nostri, di dialetti?

Chiusa parentesi e torno ai Lou Dalfin. Il loro leader si chiama Sergio Berardo e, anche se sembra un fattone, è in realtà un musicista serissimo e ha fatto importanti ricerche sulle musiche tradizionali anche in Francia. Lo strumento più caratteristico della tradizione occitana è la ghironda. In questo video Sergio Berardo ne illustra il funzionamento.

 

(continua)

 
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Occitania - I simboli

Post n°513 pubblicato il 07 Luglio 2016 da meninasallospecchio

L’Occitania ha una sua bandiera. Questa.

Bandiera occitana

La croce occitana deriva dallo stemma gentilizio dei conti di Tolosa. Ne sono state date diverse interpretazioni, nessuna universalmente accettata. E’ accompagnata da una stella a sette punte, che rappresenta le regioni storiche dell'Occitania. Incontrerete sicuramente questo simbolo soprattutto se viaggiate in Provenza.

L’Occitania ha anche un inno, che per la verità è una canzone d’amore e nostalgia, si intitola Se chanto.

I gruppi di suonatori più tipicamente occitani eseguono sempre l’inno durante i concerti. A quel punto i ballerini smettono di danzare e cantano l’inno tutti in coro mentre si tengono abbracciati in catena.

 

(continua)

 
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Occitania

Post n°512 pubblicato il 06 Luglio 2016 da meninasallospecchio

Sarà meglio che non la faccia tanto lunga, perché se attacco a parlare di musica folk non finisco più, e invece voglio andare a parare da un’altra parte.

Insomma, eravamo rimasti al revival etnico degli anni ’90, che ci ha portato musiche da tutto il mondo, precedentemente note solo a qualche appassionato; e anche interessanti fenomeni di fusion. Qui in Italia la parte del leone l’hanno fatta i gruppi del sud, dove le tradizioni musicali sono sempre state più vive. Ma ci sono anche regioni del nord con una solida cultura locale: Lombardia, Liguria e buona parte del Piemonte.

C’è poi il fenomeno specifico della regione transnazionale che va sotto il nome di Occitania.

Da Wikipedia:

L'Occitania è un'area storico-geografica dell'Europa, non delimitata da confini politici, sviluppatasi in una larga parte della Francia meridionale, più alcune altre zone geografiche, limitrofe e no.

La sua caratteristica principale è linguistico-filologica, ovvero fondata sulla diffusione della lingua occitana, o lingua d'oc, evoluzione dell'occitano antico o provenzale. […]

Altre caratteristiche dell'Occitania risiedono in alcune tradizioni secolari come le musiche e le danze popolari.

L’area geografica è quella mostrata da questa cartina:

Carta dell'Occitania (Wikipedia)

Come si può notare, la regione indicata è quasi tutta francese. Sono incluse poche piccole aree della Spagna a ridosso dei Pirenei e della Catalogna. La parte italiana comprende alcune vallate fra le Alpi Cozie e Marittime, Valle Stura, Valle Maira, Valle Varaita, Valle Gesso, Valle Vermenagna, Valle Germanasca, qualche zona in Liguria e nelle valli del Torinese. L’intero territorio raccoglie circa 16,2 milioni di abitanti, ma solo un quarto parla occitano.

Quanti siano gli occitani in Italia non è chiarissimo, dipende anche dalla definizione che si vuole dare. Dal 1999 esiste una legge che tutela le minoranze linguistiche: questa legge ha stabilito un elenco di comuni che rientrano nell’area occitana, ma evidentemente non sono costituiti per intero da cittadini che parlano occitano. Ancora più evidentemente, tutti parlano anche italiano. Comunque si tratta di un gruppo che sta fra i 130 e i 200.000 abitanti. E che per la verità non hanno chissà che bisogno di essere tutelati. Ce l’avevano forse in passato, quando invece sono stati perseguitati dal fascismo anche nelle loro tradizioni, come la musica e i balli, oltre che per la lingua. Oggi la tutela che serve è culturale e filologica, per evitare che la tradizione occitana scompaia del tutto.

E questo non succederà, almeno fino a quando perdurerà l’interesse intorno alla danza.


(continua)

 
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Un po' di storia

Post n°511 pubblicato il 05 Luglio 2016 da meninasallospecchio

No, no, è più forte di me, non ce la faccio a non partire da Adamo ed Eva. Devo raccontarvi da dove arriva l’interesse per la musica folk e le tradizioni popolari. E qui dobbiamo tornare indietro agli anni ’70.

Il fatto è che i regimi autoritari, tipicamente con una forte impronta centralistica, hanno sempre conculcato le culture locali, arrivando fino a proibire lingue minoritarie e dialetti, musiche e persino il ballo. Le spinte libertarie, talora centrifughe come nel caso della Catalogna e dei Paesi Baschi, dove l’opposizione al franchismo si saldava con le richieste di autonomia, portarono negli anni delle contestazioni giovanili a una grande riscoperta delle tradizioni popolari.

In quegli anni fiorì ovunque la musica folk o folk-rock. Ricorderete in Italia soprattutto la Nuova Compagnia di Canto Popolare di De Simone; in Francia Alan Stivell, in Inghilterra i Fairport Convention e gli Steeleye Span. E poi tanti altri, anche cantautori come Lluis Llach in Catalogna, che facevano canzoni folk dai contenuti politici.


C’era, negli ambienti di sinistra, una attenzione per le tradizioni, viste come patrimonio culturale delle classi sociali più popolari. Dalle mie parti si andava alla piola (l’osteria) a bere vino insieme ai vecchietti e farsi insegnare le canzoni in dialetto. Guccini, De André, tutta gente che andava per osterie.

Poi arrivarono e gli anni ’80 e infine la Lega si mangiò dialetti e tradizioni trasformandoli in qualcosa di radicalmente diverso da come noi li avevamo conosciuti. Non nascevano per escludere il forestiero, ma per rappresentarci, per condividere, per offrirgli qualcosa di noi allo stesso modo in cui faremmo assaggiare un piatto tipico o un bicchiere del nostro vino. Non potrò mai perdonare alla Lega di aver trasformato il dialetto in qualcosa da combattere; di aver resuscitato, per reazione, quell’idea di nazione che già negli anni ’70 consideravamo superata.

Vabbé. Gli anni della Lega sono già abbastanza dietro le spalle e fin da metà degli anni ’90 la musica folk è tornata di moda, insieme a un regionalismo decisamente più raffinato di quello di Borghezio; complici anche le nuove tendenze gastronomiche, la cucina delle tradizione e del territorio. Di nuovo, la tendenza non è esclusiva: la musica è chiamata etnica anziché folk, ascoltiamo la nostra, quella del sud Italia, quella dei Balcani o del Brasile. Mangiamo brasato sushi e curry. Il nostro mondo è un insieme di tante culture e siamo molto più fragili di quanto la Lega o i fautori della Brexit non amino credere: soltanto preservando le altre tradizioni, riusciamo a salvare anche le nostre.

(continua)

 
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Non ho pił scuse

Post n°510 pubblicato il 04 Luglio 2016 da meninasallospecchio

Ho finito con la scuola, con gli scrutini, ho fatto una gita a Venezia con mio figlio, il raduno a Viterbo, il Gran Bal Trad di Vialfré, in mezzo ho persino lavorato un po’: ora il blog mi chiama a gran voce e non posso più sottrarmi.

Del raduno hanno già scritto tutti e io mi sono espressa con i commenti nel blog di sagredo, quindi non ho altro da aggiungere. Dovrei piuttosto parlarvi del ballo folk, attività alla quale mi sto dedicando con una certa intensità negli ultimi tempi. Anche perché, provare per credere, è come una droga e della droga ha le caratteristiche tipiche: quando inizi non vuoi più smettere e ne vorresti sempre di più. Sono discorsi un po’ per iniziati, se non avete mai provato sicuramente quello che sto dicendo vi sembrerà strano, ma vi assicuro che è proprio così. Tanto che il ballo si sta mangiando un po’ tutti gli altri miei interessi, dal cinema alla gastronomia (e questo non è un male), alla ricerca di avventure.

A dire il vero volevo prenderla un po’ alla lontana e raccontarvi dell’Occitania e di tutto quello che so sul ballo folk. In effetti sarebbe opportuno, per inquadrare il racconto, ma ho dato qualche anticipazione, e alcuni miei lettori si aspettano che racconti del mio avventuroso viaggio a Vialfré, quindi mi sa che partirò da lì, riservandomi di introdurre qualche divagazione per spiegare il contesto. E quindi comincio subito a divagare.

Dal mese di ottobre mi sono iscritta a un corso di balli occitani, di cosa si tratta vi dirò in seguito. Ovviamente, dice la maestra, non ha senso fare il corso se poi non si va a ballare alle feste; e non sia mai che io faccia una cosa che non ha senso o, dio non voglia, che non dia retta alla maestra. Detto fatto: da dicembre almeno una volta al mese vado alle feste in cui si balla questa roba. Non solo: essendo tipo droga, la frequenza delle mie partecipazioni è via via aumentata.

L’ambiente di chi pratica il ballo folk è piuttosto simpatico. Qui in zona l’età è elevata, ma nelle città il fenomeno coinvolge anche molti giovanissimi, un trend in crescita, in tutta Europa, ma anche di questo vi parlerò in seguito. La gente che frequenta questi balli appartiene in genere a quell’area ideologica che sta fra la parrocchia e i no-tav, senza soluzione di continuità, tutte persone impegnate nel sociale, a volte anche un po’ menosi, per dirla tutta, però sicuramente non è una congrega di tamarri. Spostandosi verso le zone di montagna, dove il ballo folk è autenticamente tradizionale, l’ambiente si fa più rustico, non privo di un suo fascino selvatico.

Insomma, ormai qui in zona conosco tutti quelli che ballano. Finito il corso e finita la stagione delle feste al circolo ARCI, con il bel tempo si balla la Mazurka Klandestina, fino a tarda notte, sulla pista dell’elicottero, che tanto di notte gli elicotteri non volano. E poi tutti mi parlavano di questo grande festival di Vialfré. E Vialfré qui, e Vialfré là… e allora io che potevo fare? Potevo forse esimermi? Certo che no.

 

(continua)

 
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