Anonimo il 18/02/08 alle 17:36 via WEB
VELTRONI: SIAMO IL NUOVO DI CUI IL PAESE HA BISOGNO!
E MENO MALE!!!!!
La vera storia di Veltroni
Era comunista ed espelleva i dissidenti
Roma - Nel 1995 gli chiesero per la prima volta: è mai stato comunista? Walter Veltroni rispose con veemenza, spiegando che no, non lo era stato: «Non ho mai partecipato a un corso alle Frattocchie, non sono mai stato in una scuola di partito, non sono neanche andato all’estero nei Paesi socialisti». Però questo è un ricordo «sbagliato», anzi, in un avventuroso viaggio con una delegazione ufficiale della Fgci nella Germania dell’Est nell’estate del 1973, al Festival mondiale della gioventù comunista, scoccò proprio la prima scintilla dell’amore con la sua futura moglie Flavia Prisco.
Fra gli elementi più interessanti che emergono da Il piccolo principe, la biografia di Marco Damilano, Maria Grazia Gerina e Fabio Martini che esce per la Sperling & Kupfer martedì prossimo, c’è uno scavo nel passato del futuro leader dell’Ulivo. Ed è molto interessante rileggere le citazioni di quando Veltroni era un militante a tutto tondo che i tre autori hanno pescato negli archivi e nella pubblicistica degli anni ’70.
Ed è singolare quella piccola «amnesia» sulla Germania dell’Est. Ci vollero quattro anni perché, nell’ottobre del 1999, in un’intervista rilasciata ad Antonio Padellaro, Veltroni ritrovasse quella memoria smarrita: «È vero, avevo 18 anni e una compagnia molto variopinta. C’erano Marco Magnani, Ferdinando Adornato, Fabrizio Barca. Ma da allora in poi non ho più messo piede in un Paese socialista». Mai? «La prima volta che sono andato a Mosca è stato nel 1990, ma era su invito di Gorbaciov, per parlare di democrazia».
Che cosa disse in seguito Veltroni, una volta diventato leader dei Ds, è noto. Ad esempio quando alla Stampa, intervistato da Gianni Riotta, nel 1999, dichiarò: «Comunismo e libertà sono stati incompatibili. Questa è la grande tragedia dopo Auschwitz». E poi la frase che sarebbe diventata famosa: «Si poteva stare nel Pci senza essere comunisti. Era possibile, è stato così». Gli autori del libro ricordano l’irriverente risposta del Manifesto, una prima pagina con una foto giovanile di Veltroni e D’Alema accompagnata dal titolo scorticapelle: «Facevamo schifo». Ma Veltroni non molla: «Io ero un ragazzo, allora, ma consideravo Breznev un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere».
Però il libro va a cercare le prove e i palinsesti di questa rielaborazione autobiografica, e trova qualche citazione interessante: ad esempio quella del 1974, quando il giovane Walter non dimenticava mai di inserire la parola socialismo anche se parlava di droga: «I giovani sognano una società più giusta e umana, quella società per noi è il socialismo». Oppure rintracciano un episodio agitato dei tempi in cui Veltroni era leader della Fgci romana, l’espulsione di un gruppo di giovani troppo «radical», Piero Galletti, Maurizio Fabretti e - niente meno - che due futuri giornalisti come Paolo Zaccagnini e Augusto Minzolini (il primo volto noto al Messaggero, il secondo retroscenista della Stampa). Galletti, nel suo ricordo, è feroce: «Veltroni arrivava con la sua borsa di pelle piena di ciclostilati, vuota di idee. Vestito da funzionario di partito, capelli pettinati, pantaloni con la riga» (è il rancore di un ex). E il ricordo di quella riunione che portò all’espulsione, non è meno agitato. I dissidenti nel loro intervento urlarono: «Il Pci vuole solo andare al potere, ha dimenticato i bisogni dei più deboli». E Minzolini aggiunse: «Non sono d’accordo con l’antifascismo, la politica estera e via disdicendo». Le conclusioni di Veltroni? «Voglio chiudere questa discussione ricordandovi che se siamo il più grande partito comunista d’Occidente non è grazie alle vostre balle, ma alla nostra capacità di fare politica».
I dissidenti furono buttati fuori dal Pci (il buonismo era ancora di là da venire...). Quello era un Veltroni che citava Lenin, Stokely Carmichael (il leader del Black Power) e poi naturalmente Marcuse. Quel Walter era simpaticamente «ribelle» e usava una prosa che ovviamente oggi in bocca a lui sembra aliena: «Compito nostro è strappare l’educazione all’influenza delle classi dominanti, emancipare culturalmente la forza lavoro». Oppure ruggiva di orgoglio, rivendicando i suoi risultati: «Non c’è nessuno che faccia più giornaletti, più ciclostilati e che scriva sui muri più dei comunisti!».
Veltroni inventa il «sudoku» Pd Per portare elettori alle urne presentate ben 2.227 liste
E poi, ad un tratto, nel bel mezzo della riunione sulle candidature per le primarie, il segretario dei Ds romani Mario Ciarla (che non è certo una mammoletta) si è messo a piangere: «Io... non so più quale sia la sede in cui si decide... Non questa! Faccio un passo indietro, non mi candido più».
E infatti in lista il suo nome non c’è. In Sardegna succede di peggio, e il duello regionale fra gli uomini che si riconoscono nel presidente Renato Soru e quelle del leader dei Ds Antonello Cabras ha assunto proporzioni di faida: se Soru perde - ti dicono gli uomini della Quercia - se ne va a casa. Ma tutte queste notizie, sulle cronache nazionali non arrivano, perché Walter Veltroni è un genio della comunicazione. E così oggi tutti scriveranno del «candidato-ragazzino» su cui Veltroni ieri, presentando le sue liste ha dato una imbeccata da provetto spin doctor: «I giornali non ne parlano, ma in queste liste ci sono tanti ragazzi... c’è il candidato più giovane della storia d’Italia, Lorenzo De Cicco, nato, se non sbaglio, il 29 dicembre del 1990!». Meraviglioso. Il sindaco ripeteva come un mantra le sue parole chiave: «Queste liste sono una bellezza per la politica e per la democrazia... metà-uomo-e-metà donna, metà-uomo e metà-donna...». Applausi scroscianti: «Queste primarie si confermano la grande festa della società civile!».
Peccato che dietro la vetrina scintillante non tutto sia idilliaco come previsto. Le lotte a coltello per il posto in lista hanno spinto il mitico Nico Stumpo, capo dell’Ufficio tecnico amministrativo (mussolinianamente denominato Utar), a una nuova proroga di 48 ore per aggiungere documentazione. Wonder-Walter fa passi da gigante nel sublimare la sua scienza ecumenica, e ieri ha vantato con orgoglio la presenza di un (ex) nemico irriducibile del Pd come Peppino Caldarola, e addirittura di un suo (ex) sfidante (!) come Furio Colombo. Gli apparati sono meno ecumenici di lui.
La «festa della democrazia» si celebra, come si sa, con liste bloccate. Ed ovunque i «200» nomi della società civile garantiti da Veltroni, sono seguiti o alternati agli uomini dei partiti. Studiando il sistema elettorale (un «proporzionale maggioritario», con quorum minimo tra il 12,5% e il 25% a seconda dei collegi) la prima domanda sorge spontanea. Ma perché Veltroni consente la nascita di tre-quattro liste (legate a lui a seconda di dove si vota) se con una sola avrebbe eletto più candidati? Semplice: perché il vero obiettivo di questo gigantesco Sudoku
elettorale non è avere la maggioranza (la sua è già blindata) ma portare la gente a votare. E così, il sistemone architettato dal regista Goffredo Bettini (ieri il senatore esibiva un fantastico paio di mocassini calzati senza pedalino), ha miscelato nei tre contenitori il maggior numero di ambizioni possibili: 2.227 liste in tutto, 1.181 per Veltroni, 476 per Letta e 471 per Bindi. È il «modello-Roma» proiettato su scala nazionale. Era quasi turbato l’assessore capitolino Riccardo Milana, dopo aver conquistato un ottimo secondo posto nel listone veltroniano: «Ho scoperto dalle liste che avevano candidato la moglie di uno dei miei candidati nella lista concorrente!». Il sistemone bettiniano prevede che in ogni collegio solo una delle tre liste sia veramente forte. Ecco perché l’economista Nicola Rossi era soddisfatto di un terzo posto nel listone: «Sono dietro un superstite di Auschwitz come Piero Terracina, mi va bene tutto». Ma se poi la gente va a votare davvero? Lionello Cosentino, deputato veltroniano, chiosa con divina ironia: «Il sistemone salta... Perché credo che i comuni mortali, di queste alchimie non capiscano proprio nulla». Sarebbe divertente vedere l’effetto che fa!
Se non lo pubblicate (come state tentando di fare- questa è la settima volta che lo invio-) lo manderò sino alla noia.
Francesco Verdesca
(Rispondi)
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