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Giovani di Salice per il Partito Democratico

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Post N° 45

Post n°45 pubblicato il 21 Giugno 2007 da sgsal

La Carovana dell'Acqua fa tappa a Salice

www.acquabenecomune.org

Lunedì 25 giugno ore 20,00
PIAZZA PLEBISCITO





L'evento prevede l'intervento di alcuni relatori che cercheranno di  spiegare i punti della legge di iniziativa popolare sulla ripubblicizzazione dell'acqua per la quale si stanno raccogliendo firme in tutta Italia. Si parlera' anche di questioni legate all'acquedotto pugliese.

I relatori che interverranno sono:

-Margherita Ciervo (comitato territoriale del contratto mondiale sull'acqua)

-Teresa Fiocco (referente comitato provinciale in Lecce)

-Padre Gianni Capaccioni (missionario comboniano)

-Stefano Margiotta (Docente incaricato di Geologia Applicata Università di Lecce)

-Renato Di Nicola (Abruzzo social forum)

-Corrado Oddi  (fp-Cgil forum nazionale acqua pubblica)

In caso di maltempo. L´evento si svolgerà nel Centro Polifunzionale in via Turati.

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 18/07/07 alle 18:00 via WEB
Mi piaceva riportare fedelmente questi scritti da "MONDOPERAIO". Saluti, Marco Ligori Segretrio cittadino SDI PERCHE’ SERVE ANCORA UN PARTITO SOCIALISTA Scritto da Gavino Angius “Sono Partito democratico e non torno indietro”. Questo è lo slogan scelto dai dirigenti della Margherita per una campagna comunicativa in vista del nuovo soggetto politico. Verrebbe da chiedersi se ci troviamo di fronte a un buon auspicio o a una minaccia. Non sembrano più moltissimi, in effetti, i sostenitori convinti di questo pur nobile progetto, finito, purtroppo, su dei binari che sembrano essere sempre più quelli di un binario morto. Dopo la fine dei congressi dei Ds e della Margherita, continuano ad emergere dubbi e perplessità sullo stato di salute di questo enfant prodige un po’ ammaccato della politica nostrana, il cosiddetto Partito democratico. E non c’è da stupirsene molto, del resto, visto il modo con cui si è proceduto dal seminario di Orvieto in poi. In quella sede si è deciso tutto: struttura del nuovo partito, ipotesi di organigrammi, la scuola di formazione e chi avrebbe dovuto dirigerla, la rivista di riferimento. Lì si decise anche il comitato di “saggi” che avrebbe poi scritto il Manifesto per il Pd che abbiamo potuto leggere qualche mese più tardi. Un Manifesto che uno dei più convinti sostenitori del Partito democratico non ha esitato a definire “orripilante”. Nella nostra mozione, Per un partito nuovo, democratico e socialista, abbiamo avuto modo di rimarcare quanto sia di scarsa attrattiva un progetto che nella sostanza continua ad essere una sommatoria tra i vertici di Ds e Margherita. Due forze figlie di due culture politiche a sé stanti che difficilmente riusciranno a trovare sintesi alte e incisive sui problemi attuali, dalla riforma del Welfare State, alle liberalizzazioni, fino ad arrivare ai tanto discussi temi inerenti i diritti civili e quelli eticamente sensibili. Il tempo in cui viviamo, le grandi questioni sul piano internazionale, i mutamenti climatici, la globalizzazione, foriera sia di grandi opportunità per i Paesi emergenti ma sia anche di nuove disuguaglianze mai viste, per entità, nella storia del genere umano. Tutto questo richiede un partito di tipo nuovo, adatto alle sfide del XXI secolo. L’Italia è un Paese con un’articolazione complessa di riformismi presenti sulla scena politica e il patrimonio politico di cui dispongono, le cui origini sono da rintracciare nella storia del Novecento europeo, necessita, per poter offrire i frutti migliori, di una particolare cura per arrivare a militare insieme in una casa comune. Il cattolicesimo democratico, il liberalismo, il riformismo socialista, il riformismo di matrice comunista, l’ambientalismo, il femminismo, la cultura della non violenza possono e devono lavorare insieme per fare crescere la stabilità politica e il benessere collettivo dell’Italia. Il mezzo per affrontare questa delicata operazione è, secondo noi, l’Ulivo del 1996. Pensiamo, infatti, ad un partito dove le diverse opinioni siano una ricchezza e contribuiscano a costruire i progetti e le politiche di tutti. Pensiamo ad un partito di tipo federativo e federale. Federativo: in grado di accogliere anche adesioni in forma collettiva di partiti, di associazioni e gruppi d’interesse su singoli temi. Federale: per aderire anche in forme organizzative diverse, alle diverse realtà economiche e sociali dell’Italia delle città e delle regioni. Ci sembra sbagliato, inoltre, sostenere che il cammino del Governo dipenda dalla nascita del cosiddetto “Partito democratico”. Serve, invece, instaurare un rapporto diverso con la società italiana consapevoli del fatto che la sfida politica e culturale con la destra è ancora del tutto aperta e non può essere affatto sottovalutata la sua capacità di presa, anche presso larghi strati di elettorato popolare. Un partito del riformismo dai forti contenuti innovativi non può avere sulla laicità alcun tipo di posizione ambigua o titubante, considerando il fatto che i temi dei diritti civili e quelli eticamente sensibili ormai rappresentano ovunque le punte più avanzate delle politiche di progresso delle forze riformiste in ogni parte d’Europa. La laicità non è la filosofia degli atei, degli anticlericali, ma è una priorità democratica che non si esaurisce nella statica garanzia della neutralità dello Stato dalle fedi religiose, nella semplice separazione fra le chiese e lo Stato. Inoltre, come Democratici di sinistra siamo parte del socialismo europeo: per noi non è pensabile una scissione né un distacco da questa grande esperienza politica. Noi non ci priveremo dei valori di libertà, giustizia, solidarietà che ispirano il socialismo democratico e che sono fonte di speranza per miliardi di esseri umani in ogni parte del mondo. È solo mantenendo viva questa speranza che si potrà compiere, nel tempo, una nuova sintesi, di programma e di progetto, per un governo democratico capace di riorientare la globalizzazione verso lo sviluppo umano. Siamo disponibili a lavorare per ampliare il campo del socialismo, per arricchirlo con le necessarie innovazioni di cultura politica e di progetto e per aprirlo a nuovi apporti di forze democratiche e progressiste, poiché ciò è indispensabile per affrontare con successo le sfide del presente e del futuro. A queste nostre valutazioni, a Firenze, non è seguita alcuna proposta politica chiara e netta. La verità è che un partito non nasce per le necessità di una parte politica ma per profonda convinzione, cosa che oggi sembra del tutto assente. Mentre si assiste a un serrato calcolo di convenienza. Primarie vere sarà difficile farle, poiché gli accordi su cui si reggerà il futuro partito non prevedono scossoni realmente democratici determinati da forze non controllabili. Sono emerse ulteriori incertezze sulla modalità di elezione dell’Assemblea costituente, sulla leadership e sulle future alleanze politiche. L’Assemblea costituente avrà il compito di redigere il Manifesto per il Pd ma secondo il dispositivo votato dai due congressi dei Ds e della Margherita quasi simultaneamente: “Assumendo il testo scritto dai saggi nelle sue linee politiche ideali fondamentali”. Anche se nel congresso dei Ds è stato sottolineato come sia necessario riscrivere il Manifesto, non si può negare che quel voto simultaneo sul dispositivo assuma un significato e un peso politico assai rilevanti. E nessuno, vorrei sottolinearlo, sarà chiamato a discutere delle priorità politico-programmatiche di cui il nuovo soggetto dovrà essere l’incarnazione. Ad oggi ancora non si conosce un punto, una battaglia o una proposta di legge che rappresenti appieno la novità del cosiddetto Partito democratico. Secondo noi, ciò che è mancato in questi mesi è un dibattito politico vero sulla società italiana, sulle sue angosce e sui suoi bisogni. Non potrà mai nascere un partito vero della sinistra riformista se non si darà rappresentanza a quei movimenti reali che nascono e si sviluppano nelle contraddizioni attuali del nostro sistema produttivo e di quello globale che lasciano indietro milioni di cittadini, a Sud come a Nord, e che creano nuove leve di esclusi dal benessere economico. Tanto per citare un grande classico sul tema del perché ad un certo punto della storia la nascita di un determinato partito politico diventa addirittura necessaria : “La prova diretta non discende soltanto dalla convenienza, dalla nobiltà e giustezza delle posizioni ideali e programmatiche, ma dal fatto che queste posizioni siano espressione e risultato di un movimento reale, il quale parta dalla sostanza stessa della vita economica e sociale, e giunga a manifestarsi in un diffuso progresso della coscienza politica di importanti gruppi sociali e, quindi, in una forte ed efficace organizzazione adeguata alle necessità dell’azione che il partito vuole e deve condurre.” Insomma, quello che avevamo previsto si sta realizzando. Le decisioni prese a Orvieto vengono seguite (o eseguite) alla lettera e passo dopo passo. Certo: forse qualcosa di quel manifesto per il Pd potrebbe pure essere modificato strada facendo, ma non nei suoi tratti fondamentali. Il nuovo partito sarà laico sì, ma con cautela, non starà nel Pse e avrà nel suo codice genetico il Cristianesimo come valore principale di riferimento. La sinistra scomparirà come soggetto politico autonomo in grado di esprimere politiche progressive per il Paese per finire nelle pastoie organizzativistiche di un partito in cui, unico caso al mondo e nella storia, nascono prima le correnti e poi il resto. Con questa scelta si è commesso a mio avviso un errore politico enorme, creando una situazione per cui in Italia, unico caso in Europa, non avremo più una sinistra democratica, riformista e di governo di ispirazione socialista. Certamente questo atto produrrà degli effetti, anzi li sta già producendo. Assistiamo, infatti, a un movimento costituente parallelo che vede come principali attori gli eredi della diaspora socialista, insieme ai laici ai liberali, a pezzi dell’ambientalismo che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il campo socialista in nome di urgenze artificiose e create ad hoc. Mi sembra una strada più convincente da intraprendere. Anche questa sarà un’impresa dura. Per questo e per tutte le ragioni appena esposte non parteciperò alla Costituente per il Partito democratico. Mettere insieme i socialisti, comunisti, laici, repubblicani, ambientalisti, cattolici di ieri si può se si vuole costruire una casa del socialismo democratico, liberale, ambientalista e riformista del XXI secolo. Un partito nuovo dove i valori di uguaglianza, giustizia, libertà vivano nuovamente nel solco del socialismo liberale. Un partito in cui le sfide per l’ambiente, per il lavoro e per i diritti vadano di pari passo con l’attenzione al mondo dell’impresa. Un partito dove una leva di giovani dirigenti possa da subito rappresentare le nuove sfide che abbiamo di fronte a noi. Servirà una forza con un’organizzazione ampia, con delle forze sociali di riferimento e con una galassia associativa amica ramificata su tutto il territorio nazionale. Un partito moderno dove regole certe siano in grado di mettere nelle condizioni di decidere realmente sia gli iscritti sia i non iscritti tra elettori e simpatizzanti. Una forza che si batta per la definitiva applicazione dell’articolo 49 della Costituzione al fine di regolamentare la vita interna dei partiti. Non so se si riuscirà a compiere un’impresa di portata tanto vasta ma credo che valga la pena tentare. Ciò di cui sono profondamente convinto è che solo attraverso un partito dalle caratteristiche appena descritte si potrà rendere un servizio al centrosinistra e al Paese. LA SCELTA DEI SOCIALISTI Scritto da Antonio Landolfi “Andare oltre il socialismo” è la formula alchemica che si sente ripetere da tempo immemore, e che ancora una volta viene ripresentata in occasione della proposta del Partito democratico che è destinato a sorgere dal connubio tra Ds e Margherita. Una formula funambolica ed illusionistica, perché tutti i suoi precedenti storici hanno dimostrato che quando si vuole andare “oltre il socialismo” in realtà si finisce per andare da tutt’altra parte. A ben vedere la formula in questione, che ha lo scopo di dare una giustificazione teorica al trasferimento del corpo politico ed organizzativo derivante dalla storia comunista e postcomunista in un’area diversa da quella socialista, altro non è in fondo che un ennesimo corollario della teoria di Popper della “falsificazione”, per la quale tutti i grandi movimenti culturali e politici si riconoscono per il fatto che vengono sottoposti a ripetute alterazioni falsificatrici e contaminatrici. E’ quello che da centocinquant’anni è capitato al socialismo, il cui modello teorico e pratico ha trovato innumerevoli occasioni di imitazioni discorsive, alle quali per fortuna ha saputo contrapporsi non invocando ortodossie o lanciando scomuniche, ma rinnovandosi continuamente. Per cui mentre le sue falsificazioni (molte delle quali condotte secondo lo slogan appunto di “andare oltre il socialismo”) sono via via andate scomparendo, la famiglia socialista è andata ampliandosi e rafforzandosi in Europa e in altri continenti, grazie al suo perenne processo di autorevisione che modifica in modo rapido ed efficace i suoi valori variabili, senza però alterare quei suoi valori invarianti che sono quelli identitari. Tale capacità revisionistica, che ha portato alla attuale identità socialista liberale, ha dato luogo alla realtà di un socialismo proteiforme, ma solidamente attestato su principi fondamentali di equità sociale, di inoppugnabile scelta democratica, di difesa della libertà, dello Stato sociale, dei diritti umani, del garantismo giuridico, della laicità. Ed ha permesso ai maggiori partiti che si richiamano, in modo proteiforme, a questi principi di capeggiare i movimenti di modernizzazione in atto in Paesi come la Gran Bretagna e la Spagna e della stessa Germania dei Governi Schroeder. E non solo in Europa. Perché è da ritenere particolarmente significativa la recentissima vicenda di quello che è forse il più grande partito del mondo operante in un Paese democratico: il Partito del congresso indiano, che conta milioni di iscritti e decine e decine di milioni di elettori. Il Partito del congresso, che ha origine dall’esperienza gandhiana, e la cui leadership s’identifica con la storia della famiglia del “mahatma” fino alla sua attuale leader Sonia, era considerato una sorta di “Margherita asiatica”: un partito popolare, democratico, anche d’ispirazione religiosa induista. Agli inizi di febbraio del 2007, il Presidente dell’internazionale socialista Andreas Papandreu comunicava alla stampa di tutto il mondo la notizia che il Partito del congresso indiano compiva una netta scelta socialista, chiedendo l’ammissione a pieno titolo all’Internazionale socialista, che in tal modo si arricchisce della presenza del più grande partito del mondo libero. Ciò mentre la Margherita in Italia si apprestava ad operare per costituire il Pd, ponendo come condizione assoluta che la nuova compagine non abbia nulla a che fare con il socialismo europeo, escludendo ogni scelta socialista del nuovo soggetto politico. Naturalmente tutti hanno il pieno diritto di fare le loro scelte, che comunque restano nell’ambito di un’alleanza politica generale del centrosinistra. Ciò che va messo in evidenza è il significato della scelta dei nuovi socialisti indiani: perché essa coincide con la nuova fase di modernizzazione del loro grande Paese, ed essi riconoscono che il movimento socialista è attualmente il movimento più adeguato ad affrontare e guidare la complessa opera di sviluppo economico, sociale e culturale di quell’immenso e complesso Paese. La scelta indiana potrebbe essere di buon auspicio anche per la rinascita del socialismo italiano. In ogni caso può essere utile a formare e confermare la convinzione che la strada del socialismo è perfettamente compatibile con la soluzione delle grandi questioni che sono di fronte alla società attuale, se si segue la direttrice revisionista che è rivolta a porre i socialisti all’avanguardia dei processi di modernizzazione. Il caso indiano inoltre propone una lettura più approfondita della scelta di segno opposto perseguita da Margherita e Ds in Italia. Essa appare destinata, al contrario di quanto affermano i suoi fautori, ad un indebolimento della cultura modernizzatrice e civilizzatrice che è propria invece dei movimenti che si richiamano al socialismo democratico e liberale. I segnali in tal senso sono più che preoccupanti, specie in termini di laicità e di garantismo. La debolezza della ispirazione laica e garantista, il pericolo della sottomissione ai condizionamenti corporativistici e monopolistici indeboliscono la qualità dell’iniziativa di governo in una società che ha sempre maggior bisogno di un riformismo di carattere straordinario che deve portare a misurarsi con enormi problemi di ritardo nella costituzione economica e sociale, civile e culturale di un Paese che è chiamato a recuperare terreno in ogni settore. Il paradosso della nascita del Partito democratico, nei termini in cui avviene, è che esso rappresenta, lo si voglia o no, una fuoriuscita dalla strada del socialismo liberale proprio in coincidenza di una fase nella quale la sfida socialista e liberale appare più necessaria ed urgente. Conseguentemente il vuoto che si viene a determinare obbliga tutto ciò che è presente nell’area socialista, ancora disunito dagli effetti della cosiddetta diaspora, ad impegnarsi in un’opera rapida di ricostruzione della presenza socialista. Boselli ha fissato l’appuntamento per il prossimo autunno, quando dovrà tenersi la Costituente chiamata a ridare vita al Psi. In effetti il congresso di Fiuggi dello Sdi ha dichiarato in modo esplicito e con forza questa sua volontà: che, ovviamente, dovrà trovare riscontro nell’evoluzione del quadro complessivo della politica italiana, in particolar modo della sinistra, da cui dipendono le condizioni obiettive che possono tradurre nei fatti il proposito espresso dal congresso accogliendo unanimemente la proposta del suo leader. Una condizione certamente già si intravede nella dinamica dello schieramento del centrosinistra ed è derivante dal processo in atto della formazione del Partito democratico. Il modo con cui tale processo si è determinato, ed in particolare la condizione capestro imposta dalla Margherita della fuoriuscita del costituendo partito dallo schieramento del socialismo europeo. L’effetto che rischia di scaturirne è tutto all’opposto di quello che si ripromettevano i fautori del Pd: invece di ricondurre ad unità le varie componenti riformiste del centrosinistra, ha determinato un processo di scomposizione pressoché devastante. Si è innanzitutto brutalmente interrotto il percorso che aveva condotto lo stesso soggetto politico post-comunista ad avviare il suo inveramento nel mondo del socialismo europeo ed internazionale, tanto da far ritenere a molti che tale percorso si sarebbe concluso alla lunga in una esplicita e definitiva assunzione del ruolo di rappresentanza del socialismo democratico e liberale in Italia. Su tutto questo la proposta del Pd e la conseguente accettazione di interrompere il legame con il Pse e inevitabilmente con l’Internazionale socialista ha prodotto una scissione nelle file Ds di entità che si annuncia consistente, e soprattutto ha aperto un vuoto di rappresentanza possibile del ruolo e delle esigenze di una presenza socialista, che ha inevitabilmente rilanciato la questione socialista che alcuni si illudevano fosse ormai sepolta. C’è al fondo di tale incauto atteggiamento un errore di valutazione ben più generale. E’ l’errore di una valutazione diffusa dai maestri del terzaforzismo, con in testa Giddens, il quale ha finito per indicare in Gheddafi l’espressione più esemplare delle sue idee, secondo cui il socialismo fosse ormai al termine della sua parabola, sia come movimento di idee, sia come movimento politico. Un errore derivante sostanzialmente dal fatto che il socialismo, soprattutto quello moderno, ha la sua caratteristica originalissima nella natura proteiforme acquisita per il suo rifiuto di ogni rigida ortodossia ideologica che permette una sua costante trasformazione che non alterando il suo fondamentale modello di cultura gli permette di adeguarsi alle trasformazioni in atto nella società reale ben più rapidamente ed efficacemente di altre culture politiche. La flessibilità e la proteiformità del socialismo democratico e liberale, il suo revisionismo permanente possono quindi ingannare coloro che non ne condividono il modello culturale di base: ed è quindi anche comprensibile (per restare alle cose italiane) che ingannino dirigenti, quadri ed elettori della Margherita; ma è meno comprensibile che ingannino quelli diessini, a meno che non sia intervenuta per essi una profonda mutazione antropologica fino ad oggi difficilmente osservabile ed analizzabile. Sta di fatto che a ragione delle errate ed incaute valutazioni del gruppo dirigente della Quercia si è riproposta con forza la questione socialista: e non soltanto in modo teorico, ma anche in modo politico, perché contestuale all’apertura di uno spazio lasciato libero dal trasferimento dei Ds nell’area del Partito democratico. E a differenza di quanto avvenuto in precedenti situazioni, questa volta lo Sdi non si è trovato da solo a misurarsi con la possibilità di ripresa della questione socialista e della rappresentatività delle istanze socialiste e liberali, oltre che laiche, nello spazio politico che si è certamente aperto, anche se non è ancora possibile sapere quanto ampio sarà questo spazio, e quali più o meno consistenti forze in esso si potranno incontrare. Pertanto possiamo valutare che ad ampliare lo spazio politico che si va creando contribuisce naturalmente la percezione che il Pd presenterà un quoziente molto indebolito di laicità, e quindi è destinato ad orientare le forze associative e i singoli cittadini ad esprimersi verso un’area culturale e politica in cui trovano accoglienza le convinzioni laiche insieme a quelle socialiste e liberali. Per tale motivo il congresso di Fiuggi ha con buone ragioni confermato la caratura laica del socialismo italiano, e di conseguenza ha prospettato una linea unificante dell’area socialista aperta esplicitamente alle posizioni laiche e liberali, incluse, ovviamente, quelle radicali. Tra l’altro ciò ha permesso di stemperare la polemica insorta negli ultimi tempi con gli stessi radicali sul destino della Rosa nel pugno, tant’è vero che Marco Pannella, intelligentemente, ha commentato positivamente l’andamento e l’esito del congresso. Egli non vuole e non può restare estraneo ad un processo unificante di tal genere. Quindi, come Emma Bonino ha puntualizzato nel suo discorso congressuale, la Rosa nel pugno non scompare. Oltre a rappresentare in concreto un gruppo parlamentare unitario di eletti radicali e di socialisti, ed essere rappresentativa di entrambe le due componenti nel Governo Prodi con la presenza di un ministro, di un viceministro e di tre sottosegretari, sarà chiamata a partecipare in prima fila al cammino della Costituente annunciato da Boselli. Nessuno dei gruppi socialisti che vi parteciperanno è ostile ai radicali, di cui i socialisti sono sempre stati amici, alleati, oppure in stretta sinergia; si tratterà di trovare le forme di una necessaria ed inevitabile compresenza in un’area che dovrà comprendere forze socialiste, laici, liberali, e quindi anche radicali a pieno titolo. Qualcuno parla di una Rosa nel pugno più larga. Chi vivrà vedrà, viene da dire. Certo è che Pannella ed i suoi appaiono decisi a non escludersi e a non essere esclusi dalla novità del progetto espresso dal Congresso di Fiuggi. Potrebbe essere anche l’occasione, quella della Costituente, per chiarire un aspetto della posizione radicale che solleva un interrogativo: dove collocare sul piano dell’affiliazione internazionale i soggetti della galassia radicale? Lo slogan secondo il quale i punti di riferimento debbono essere per radicali e socialisti i tre nomi di Fortuna, di Zapatero e di Blair, dovrebbe consequenzialmente comportare un’adesione al Partito socialista europeo, di cui i due personaggi attualmente viventi ed operanti, Blair e Zapatero, fanno parte. In fondo si tratta dello stesso problema che si pone per la scelta che i Ds fanno costituendo il Partito democratico. Può un soggetto della sinistra democratica, liberale, laica e socialista agire sul piano europeo fuori dal campo del Pse, affiliandosi a gruppi diversi, addirittura ostili al socialismo continentale? I radicali, lo ripetiamo, che indicano per primi i nomi di Fortuna (che del socialismo internazionale era convinto sostenitore) Blair e Zapatero dovrebbero sciogliere questo nodo per associarsi al partito di cui gli ispiratori della loro azione fanno parte. Soprattutto oggi che con il Congresso di Oporto il Pse si è aperto maggiormente all’ingresso di partiti anche di nome e di tradizione diversi. Comunque, c’è tutto il tempo per risolvere un problema che ci appare di logica politica indiscutibile. Al progetto di Costituente di fatto già consentono – e ne sono di fatto anch’essi promotori – oltre ai socialisti di De Michelis, di Bobo Craxi, di Zavettieri e di Formica, anche dirigenti diessini come Caldarola e i seguaci di Turci che aveva già anticipato tutti gli altri. Non solo a loro, ma anche a tutti gli altri dissidenti che lasciano la Quercia, ormai sciolta, come Mussi, Salvi, Angius e compagni, lo Sdi ha rivolto un appello ed un invito a partecipare alla sua iniziativa. Non è dato sapere, allo stato dei fatti, quale sarà la risposta. Ci sembra che la parte più consistente, quella che fa capo a Fabio Mussi, appare più attratta dalla prospettiva di costruzione di una sinistra aperta alla partecipazione di quelle realtà che si collocano su una posizione diversa da quella del socialismo europeo, se non addirittura in un’area nominalmente e sostanzialmente comunista. Mussi e compagni, prendendo occasione dallo scioglimento della Quercia e del loro stesso atto di indipendenza da essi compiuto, sollecitano un’evoluzione in senso socialista dell’estrema sinistra. Vorrebbero accelerare un processo di revisione, sulla scia di quello preconizzato dallo stesso Bertinotti, che però appare difficile che possa avverarsi in tempi brevi, e soprattutto, approdare sulla sponda del socialismo riformista e liberale di tipo europeo. Ne consegue che pur se esistono dialogo ed anche azioni comuni, specie sul terreno della laicità e dell’etica politica, non sarà affatto semplice trovare una strategia comune con l’ala secessionista dei Ds. I socialisti che aspirano all’unità e al rilancio insieme con le forze laiche e democratiche, anche se lo volessero, non sono in grado di annullare il consistente tasso di innovazione culturale e politica che hanno accumulato in decenni di coraggioso revisionismo che li ha messi per primi in Italia al passo con i grandi cambiamenti delle analisi e delle elaborazioni programmatiche del socialismo moderno, come oggi da molte parti si riconosce. E non possono disperdere questo patrimonio, ma anzi aggiornarlo ed arricchirlo, perché ciò corrisponde non soltanto alle esigenze del movimento socialista, bensì anche a quelle di tutta la sinistra, che alle sue revisioni ha dimostrato, giungere sovente con enorme ritardo.
 
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