e fu... Neapolis...

Raimondo di Sangro principe di Sansevero


 L’ incredibile e triste storia di Raimondo de Sangro, l’uomo che voleva vivere due volte E’ la notte del 22 marzo 1771. La notte in cui il più grande studioso, filosofo e alchimista di Napoli morrà. Raimondo de Sangro, il Principe di Sansevero è chino sul suo tavolo da lavoro, ingombro. Alambicchi, ampolle. Un calice. Alle sue spalle, un’ombra. Il profilo di Giuseppe Sanmartino. L’uomo che scolpì il Cristo Velato. E’ la notte del 22 marzo 1771. La notte delle rivelazioni, dei segreti…L’ultima notte del Principe di Sansevero…
Raimondo di Sangro principe di Sansevero (Torremaggiore 1710 – Napoli 1771) fu un originale esponente del primo Illuminismo europeo. Valoroso uomo d’armi, letterato, editore, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, egli fu – più di ogni altra cosa – prolifico inventore e intraprendente mecenate. Nei laboratori sotterranei del suo palazzo, in largo San Domenico Maggiore, il principe si dedicò a sperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica all’idrostatica, dalla tipografia alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero “prodigiosi” ai contemporanei. In virtù della sua concezione prevalentemente esoterica della conoscenza, di Sangro fu però sempre restio a rivelare nei dettagli i “segreti” delle sue invenzioni. Il suo messaggio intellettuale è così passato alla posterità soprattutto attraverso il ricco simbolismo della Cappella Sansevero, meraviglia dell’arte mondiale, del cui suggestivo progetto iconografico il principe fu geniale ideatore. Parte di quel messaggio egli affidò anche ai suoi scritti, e in particolare alla Lettera Apologetica, opera che destò sconcerto sia per l’eccezionalità tipografica sia per il controverso contenuto, tanto da essere giudicata “una sentina di tutte l’eresie” e, in quanto tale, proibita dalla Chiesa romana. Ora ritenuto un epigono della tradizione alchemica e un “grande iniziato” ora un interprete della giovane scienza moderna, Raimondo di Sangro alimentò un vero e proprio mito intorno alla propria persona, destinato a durare nei secoli. Con la sua poliedrica attività, ancor oggi avvolta da un alone di mistero, egli incarnò i fermenti culturali e i sogni di grandezza della sua generazione. Così lo ricorda l’iscrizione apposta sulla sua lapide: “Uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere […] celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura”. IL MISTERIOSO RAPPORTO CON GIUSEPPE SAMMARTINO Il Principe di Sansevero e Giuseppe Sammartino si sono conosciuti ad una festa di corte, alla fine del 1752. Quando il Principe lo incontra per la prima volta lo scultore è pressoché sconosciuto. Secondo quanto riporta uno dei suoi maggiori biografi, Elio Catello, il Sammartino fino a quel momento aveva realizzato una sola commessa per la città di Monopoli. L’ incontro con Raimondo de Sangro segna dunque una svolta nella vita del giovane. Naturalmente sono ancora oscuri i motivi per i quali il Principe decide di affidare il Cristo Velato ad un artista così sconosciuto. All’opera o meglio al progetto dell’opera, aveva lavorato il Corradini e tutta la “scuola” di scultori che ruotava intorno alla cappella e al Principe. Con un colpo a sorpresa, però, don Raimondo decide di affidare il lavoro proprio a Sammartino che nel 1753 ha solo 33 anni. E’ storicamente accertato anche il documento notarile con il quale Sansevero “incastra” Sammartino. Nulla , invece, si sa rispetto al motivo per il quale lo scultore decide di abbandonare il Principe subito dopo la realizzazione del Cristo Velato. Solo alcune leggende segnalano una serie di incontri misteriosi tra i due uomini. Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero morrà il 22 marzo 1771, in circostanze mai del tutto chiarite. La leggenda della morte e della risurrezione è citata in diverse versioni dai maggiori scrittori dell’Ottocento. Una delle versioni vuole che il Principe affascinato dall’ alchimia, si fosse convito di aver trovato il modo di diventare immortale grazie ad alcuni elisir dalla ricetta segreta. La pozione provata su se stesso, con l’ aiuto di un misterioso servitore, lo avrebbe inesorabilmente ucciso. Sanmartino invece muore nel 1793. La leggenda vuole che lo scultore fu prima accecato (proprio dal Sansevero) poi ucciso in circostanze misteriose. Il documento che, invece, attesta la sua morte “naturale” e conservato nel libro dei defunti della Parrocchia di Santa Maria dell’ avvocata a Napoli.  LEGGENDE E LE DICERIE POPOLARI SUL “NOBILE NERO” Accanto al “mito colto” di Raimondo di Sangro soprannominato dal popolino “Nobile Nero”, è fiorita nei secoli una moltitudine di leggende sulla Cappella Sansevero e il suo originale mecenate. I rumorosi laboratori sotterranei di Palazzo Sansevero, che non tacevano neanche di notte e gettavano sinistri bagliori, le sensazionali invenzioni che ne sortivano, meravigliando chi le osservava, dovevano accendere la fervida fantasia popolare dei napoletani, e in particolare di coloro che abitavano negli angusti vicoli del centro antico. Le parole di Salvatore Di Giacomo rendono ottimamente l’atmosfera che nel ’700 eccitava l’immaginazione e il timore dei passanti: “Fiamme vaganti, luci infernali – diceva il popolo – passavano dietro gli enormi finestroni che danno, dal pianterreno, nel Vico Sansevero […] Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco, romori sordi e prolungati suonavano là dentro: di volta in volta, nel silenzio della notte, s’udiva come il tintinnio d’un’incudine percossa da un martello pesante, o si scoteva e tremava il selciato del vicoletto come pel prossimo passaggio d’enormi carri invisibili”. Così, Benedetto Croce ricorda come, “per il popolino delle strade che attorniano la Cappella dei Sangro”, il principe di Sansevero fosse “l’incarnazione napoletana del dottor Faust […] che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura”. Ecco alcuni dei misfatti e dei prodigi che, secondo la cosiddetta “leggenda nera”, avrebbe compiuto il principe di Sansevero: “fece uccidere due suoi servi” per “imbalsamarne stranamente i corpi” (il riferimento è alle Macchine anatomiche); “ammazzò […] nientemeno che sette cardinali” per ricavare dalle loro ossa e dalla loro pelle altrettante sedie; accecò Giuseppe Sanmartino, autore del Cristo velato, affinché egli “non eseguisse mai per altri così straordinaria scultura”; “riduceva in polvere marmi e metalli” ed “entrava in mare con la sua carrozza e i suoi cavalli […] senza bagnare le ruote”. Sul capolavoro del Sanmartino, poi, è sorta quella che è probabilmente la più diffusa e la più inossidabile delle leggende, secondo cui il principe avrebbe “marmorizzato” attraverso un procedimento alchemico il velo del Cristo. Fu facile alla luce di quanto e cosa era e faceva il Principe di Sansevero, per il popolino, far nascere vicende magiche e misteriose sull'erudito e misterioso VII Principe di Sansevero, il quale peraltro nulla fece per screditare tali dicerie anzi, ammanta la propria vita di segretezza rinchiudendosi per giorni nei suoi laboratori alchemici, dove studiava e realizzava i suoi esperimenti, i suoi studi e le sue "invenzioni". Si aggiunga che, nei sotterranei del Palazzo, era stata installata una tipografia che, con i suoi rumori decisamente originali per l'epoca, ben poteva alimentare ulteriori dicerie. Dalle accuse generiche di alchimia, stregoneria e ateismo, si passò ad altre più particolari e, a quanto è dato di sapere, prive di alcun fondamento, come quella di far rapire poveri e vagabondi per ignobili esperimenti. Un altro fantasioso racconto riguarda le circostanze della morte del principe di Sansevero, che per i napoletani è il “Principe” per antonomasia. È ancora Croce a riportarlo: “Quando sentì non lontana la morte, provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano a tempo prefisso; senonché la famiglia […] cercò la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura, e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito, gettando un urlo di dannato”. Queste e tante altre leggende sono ancora vive, e continuano a nascerne di nuove. Basta aggirarsi tra i visitatori della Cappella Sansevero per sentire raccontare le più bizzarre storie su Raimondo di Sangro e le opere da lui commissionate, e non è raro imbattersi in un passante che, davanti a Palazzo Sansevero, si fa il segno della croce come per scacciare i malefizi del temuto e “diabolico” principe. C’è perfino chi ha narrato di “incontri ravvicinati” con lo spirito di Raimondo di Sangro. È anche attraverso questi stravaganti racconti che a Napoli sopravvive – distorto, ma saldo – il ricordo del principe di Sansevero.