In Esistente

Prevert


La prima volta che ti dissi "me ne vado", tu mi abbracciasti più forte e mi dicesti "anch'io ti amo".Capii che avrei dovuto alzare la testa per non far mangiare al collo incassato e al cuore spaventato le parole della mente.Da quel giorno iniziai a passare più tempo in bagno. Fumavo e piangevo con la faccia di lei che, in una visione estatica, mi rideva e parlava, lenta ma forte, mia marionetta mentale a cui facevo dire ciò che volevo. Sorrideva sempre con ancora indosso le calze blu e i suoi sedici orecchini.A volte per cacciarla via prendevo a testate le mattonelle chiare , poi veloce passavo un po' di acqua fredda sulla fronte e tornavo da te e nostra figlia che iniziava a gattonare, di là in cucina, si aggrappava alla sponda del divano e cominciava a camminare.Anche tu non ridevi più da tempo. A volte quando eri con le tue amiche al telefono ti sentivo rispondere con una parola sintomatica "insomma", poi mordevi il labbro inferiore e guardavi il lago statico fuori dalla finestra.Non eri onesta, perchè sapevi che ti avevo detto 'me ne vado' e non 'ti amo'.Ma le comodità esistenziali fanno gola a tutti, immaginiamoci a te, adagiatrice sentimentale dal facile 'può bastare'.Mi trovai un secondo lavoro: educatore in un centro per tossicodipendenti sperso fra le campagne foggiane della mulino bianco.Una canna nel cruscotto della macchina era la mia risposta coerente alla vita.Nostra figlia mi chiamò papà per Natale e noi non facevamo più sesso da settembre. Che poi era capitato solo un paio di volte, ma tu stavi troppo male e anch'io avevo la sbrigatezza dei doveri acquisiti, nessuna moina, slacciare i pantaloni e dimenticarmi."Me ne vado". Occhi sul pavimento, linee dritte, trenta centimetri per trenta."Vai a prendere il pane e il latte, domani siamo a cena dai miei, la doccia quando te la fai".Ignoravi, se così si può dire. Combattevi la tua guerra con carezze materne sempre più assidue e col sonno . Riuscivi a dormire fino a dodici ore al giorno e le notti erano diventate mie , mie e sue.Cuscini mutaforma, mura con le sue labbra schiuse e, costante, a rimbalzare da una parete cerebrale all'altra la sua risata leggera come un foglio di carta velina, come un'ala di epidottero.Nostra figlia rideva ai giardini, circondata dagli amici, per il suo terzo compleanno, quando arrivò Samuele con le notizie di lei e della sua città.Il lago moriva all'orizzonte nel mare salato. Io avevo una camicia rossa da giannizzero testardo e malato.Faceva caldo, poi freddo, poi caldo e poi di nuovo freddo.Mi parlò di lei e tremavo. Lei che era tornata sola e che in qualche modo se la cavava. Scavavo nel marciapiede con un piccone di desiderio e lo dissi a me stesso"Me ne vado".Una cantilena da rosario iniziò a pulsarmi nelle vene. Incessante come mai.Le chiavi dell'auto incassate fra le dita, togliere il freno a mano, accendere, premere l'accelleratore. Il sole  cade ad ovest.airImg: Lago di Lesina, C. Weise 1998