Post n°13 pubblicato il 24 Ottobre 2007 da blu_notte.fm
Leggo poco il giornale perché non ho tempo, vedo qualche telegiornale più incuriosita dalle lotte tra le lobby che dalla notizia stessa, che viene filtrata in talmente tanti modi e non sai mai cosa credere. Non mi riferisco a Garlasco, Cogne etc… mi riferisco in primis ai nostri cari Ministri della Repubblica. |
Un unico contratto e tante delucidazionidi Tito Boeri e Pietro Garibaldi 13.09.2007 Con il rallentamento della crescita dell'occupazione, certificato dalle ultime indagini sulle forze lavoro, vengono al pettine i nodi irrisolti delle riforme del mercato del lavoro degli ultimi quindici anni. E al persistente dualismo territoriale, si sovrappone il dualismo fra contratti permanenti e contratti temporanei. Un problema reale che abbiamo cercato di affrontare con una proposta di riforma pubblicata su lavoce.info più di due anni fa. Molti lettori ci hanno chiesto spiegazioni a riguardo e vogliamo qui offrire risposte ad alcuni dei quesiti più frequenti. Con il rallentamento della crescita dell’occupazione, certificato dalle ultime indagini sulle forze lavoro, vengono al pettine i nodi irrisolti delle riforme del mercato del lavoro degli ultimi quindici anni. Se la disoccupazione continua a calare è soprattutto perché diminuiscono le persone in cerca di lavoro. Aumentano i "lavoratori scoraggiati", quelli che rinunciano a cercare lavoro, più che gli occupati. Il Mezzogiorno registra un vistoso calo del suo tasso di occupazione. Al persistente dualismo territoriale del nostro mercato del lavoro, si sovrappone il dualismo fra contratti permanenti e contratti temporanei. La quota di lavoratori temporanei sul totale del lavoro dipendente è ulteriormente aumentata nell’ultimo anno, portandosi al 13,4 per cento. Per le donne l’incremento è stato quasi di un punto e mezzo: oggi una donna occupata alle dipendenze su sei ha un contratto a tempo determinato. Molte altre donne gonfiano le fila del lavoro parasubordinato. I lavoratori duali si avviano a superare la soglia dei 4 milioni. Sono la maggioranza tra i più giovani. Questo nuovo dualismo non può essere considerato un problema marginale, come sostenuto recentemente da Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria. Secondo noi è un problema reale che deve essere affrontato con ben altro passo e determinazione rispetto a quelli mostrati dall’attuale governo e da quello precedente. Qualcosa si muove Il senatore Tiziano Treu ha inserito nella bozza di programma del Partito democratico un esplicito riferimento a un contratto di lavoro unico con tutele crescenti nel tempo, in sintonia con una parte della proposta di riforma per combattere il dualismo elaborata e discussa su www.lavoce.info da più di due anni, e accolta allora con notevole apertura dal sindacato. Walter Veltroni, candidato alla leadership del costituendo partito, ha mostrato interesse nei confronti della proposta. Da allora molti lettori ci hanno chiesto delucidazioni a riguardo. Alcuni hanno addirittura formulato proposte integrative per renderla maggiormente incisiva. Nel ringraziarli per il loro interesse, vogliamo qui offrire risposte ad alcuni dei quesiti più frequenti. Oltre al contratto unico, rimane tutto come prima? No. Una strategia vincente contro il dualismo deve imporre standard minimi che valgano per tutti i tipi di contratti. Altrimenti ci saranno sempre delle asimmetrie. Per questo riteniamo fondamentale che venga introdotto un salario minimo orario che valga per ogni tipo di prestazione alle dipendenze offerta nel nostro paese. Per tutelare il futuro previdenziale dei giovani, tutti i contratti alle dipendenze dovrebbero, inoltre, garantire lo stesso livello di contributi previdenziali. Infine, per dissuadere un uso eccessivo dei contratti a tempo determinato, riteniamo che chi assume con contratti a termine debba pagare contributi più alti per le assicurazioni contro la disoccupazione, dato che più forte è il rischio che il contratto sfoci in un periodo di disoccupazione. Come può il contratto unico conciliare flessibilità e tutele? Il contratto unico permette alle imprese un’assunzione "flessibile", aumentando gradualmente le tutele del lavoratore, senza forti discontinuità. Nella nostra proposta, il contratto ha tre fasi: la prova, l’inserimento e la stabilità. Chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, è soggetto a un periodo di prova di sei mesi, come oggi avviene già per alcune categorie. Serve a non scoraggiare il datore di lavoro, che vuole essere garantito circa le qualità del lavoratore. Successivamente, dal sesto mese al terzo anno dopo l’assunzione, il lavoratore è coinvolto in un periodo di inserimento in cui viene tutelato dalla protezione indennitaria (da due a sei mesi di salario) nel caso di licenziamento economico e deve essere reintegrato in azienda nel caso di licenziamento discriminatorio o lesivo di diritti fondamentali. In questo periodo di inserimento, datore di lavoro e lavoratore investono in capitale umano. Al termine del terzo anno, l’obbligo di reintegrazione (la cosiddetta tutela reale) viene esteso anche ai licenziamenti economici senza giusta causa. Non sono troppi tre anni? Nella nostra proposta la prova dura solo sei mesi. Dopo questi sei mesi, l’interruzione del rapporto di lavoro dà diritto a un indennizzo. Oggi i lavoratori a progetto non hanno diritto ad alcun indennizzo e i contratti a tempo determinato hanno sempre una scadenza, al termine della quale non vi è alcuna compensazione monetaria nel caso in cui il rapporto di lavoro si interrompa. Nel contratto unico, dopo i sei mesi di prova c’è sempre quanto meno un indennizzo monetario. In questo senso, la nostra proposta è decisamente migliorativa. Ma non c’è già l’apprendistato? Il contratto unico a tempo indeterminato può essere offerto a tutti, non solo ai lavoratori con meno di 30 anni, per facilitare il reingresso nel mercato di donne dopo il periodo di maternità e di lavoratori più anziani. Non ha limiti di durata. E non prevede riduzioni dei contributi previdenziali, come oggi avviene per l’apprendistato. La nostra proposta non comporta oneri per il contribuente, come invece avviene per l’apprendistato. Quindi è davvero molto diverso. Il contratto unico è la stessa cosa del Contrat de Premiere Embauche (Cpe) che ha scatenato le proteste nelle piazze francesi? Niente affatto. Semmai, il contratto unico ha qualche similitudine con il Contrat Nouvelles Embauches (Cne) in vigore in Francia dal 2005, dove ha contribuito a stabilizzare i rapporti di lavoro. A differenza del Cpe, il contratto unico è a tempo indeterminato e non riguarda solo i giovani. Nel caso di licenziamento economico durante il periodo di inserimento, il datore di lavoro è comunque tenuto a fornire una motivazione e a offrire un risarcimento, cosa non prevista nel Cpe (e nello stesso Cne) in cui, nei primi due anni, il licenziamento non richiede alcuna giustificazione e solo un breve periodo di preavviso. Cosa succede agli altri contratti? Rimangono, ma devono essere compatibili con gli standard minimi definiti sopra, in termini di salario minimo orario e contributi previdenziali obbligatori. Cosa impedisce a un datore di lavoro di allungare il periodo flessibile? Se un datore di lavoro assume un lavoratore con un contratto a tempo determinato (o un contratto a progetto) e, al termine di questo contratto, vuole assumere il lavoro con un contratto a tempo indeterminato, il contratto partirà dal periodo di stabilità, non potrà contemplare né periodo di inserimento, né periodo di prova. Cosa impedisce a un datore di lavoro di interrompere il rapporto di lavoro prima dell’inizio della terza fase? Il datore di lavoro che vuole interrompere il rapporto di lavoro nel periodo di inserimento dovrà compensare il lavoratore offrendogli fino a sei mensilità. Come abbiamo detto, tale onere oggi non è presente nei contratti a progetto e a tempo determinato giunti alla scadenza. In altre parole, anche nei primi tre anni aumenta la protezione dei lavoratori rispetto allo status quo, la modalità di gran lunga dominante di assunzione dei lavoratori con meno di 40 anni. |
Il dibattito sul lavoro precario, una realtà che ormai riguarda almeno due generazioni, è, a mio modesto parere, viziato da alcuni luoghi comuni e da carenza di informazioni. Cominciamo dalla Legge Biagi. Sgomberiamo il campo dall'idea che la legge 30 abbia creato il lavoro precario nel nostro paese. Infatti a livello legislativo le misure di flessibilità nel mercato del lavoro sono state massicciamente introdotte con il pacchetto Treu del 1997. Se non sbaglio votò a favore anche Rifondazione. Vero è che la legge 30 ha forse allargato alcune maglie nella disciplina previgente, ma non ha avuto questo impatto rivoluzionario. In fondo il contratto a progetto è uguale al cococo, ha cambiato solo nome. è anche vero che la legge 30 ha previsto degli strumenti che rendono più facile la lotta a certe odiose forme di sfruttamento. Tutto abbiamo applaudito quando gli ispettori del ministero del lavoro hanno sanzionato i call center e ordinato la trasformazione dei contratti in essere in contratti di lavoro subordinato. Ebbene, tali provvedimenti sono stati previsti dalla legge 30. Invece dal dibattito è quasi del tutto assente il tema degli ammortizzatori sociali. In tutti i paesi con una forte flessibilità del lavoro è previsto un sistema di ammortizzatori sociali, che serve sia a garantire la sopravvivenza quando il lavoro non c'è, sia a integrare il reddito quando questo è troppo basso. In realtà il Libro Verde di Marco Biagi proprio a questo modello, la cosiddetta flexicurity, si ispirava. Peccato che quando si è trattato di tradurne il legge il contenuto questa parte se la siano dimenticata, come s el'erano dimenticata quelli che avevano elaborato il pacchetto Treu. L'Italia è l'unico paese occidentale che non ha una rete di protezione sociale nei confronti di disoccupati e indigenti, soprattutto se giovani. Invece si spendono tante risorse per mandare la gente in pensione a 56 anni con il 90% dell'ultima retribuzione. E i sindacati fanno tassare i precari al 40 per cento per trovare le risorse necessarie a sostnere questo sistema. E poi il problema del lavoro, precario o no, è rappresentato dalla mancanza di investimenti. Questo paese fa paura agli investitori stranieri a causa della burocrazia, del fisco punitivo, della giustizia lenta, ma anche a causa della nostra maledetta cultura che ci rende allergici al rispetto delle regole, per non parlare della criminalità organizzata che rende certe regioni più simili alla Colombia più che a un paese europeo. |
Post n°10 pubblicato il 17 Ottobre 2007 da huvec
volevo scrivere qualcosa io al ministro ma questa lettera mi sembra più che esaustiva dell'argomento. Gentile Ministro Padoa Schioppa, |
Post n°9 pubblicato il 15 Luglio 2007 da sparus_rm
Non la farò lunga, ma vorrei solo dare qualche spunto di riflessione. Il Governo, prima delle elezioni, mette al primo posto nella sua agenda la lotta alla precarietà. Bene, anzi, benissimo. Poi, arriva la finanziaria che è la traduzione pratica della linea politica del governo, e tra le misure varate ne troviamo una curiosa di cui si è parlato poco e nulla sui giornali. Per disincentivare l'utilizzo dei precari da parte delle imprese e delle aziende statali aumenta il carico fiscale sui contratti a progetto e simili. Risultato scontatissimo: fatto 100 il lordo per un determinato contratto l'anno scorso tra tasse e ritenute ne pagavo circa 23,5. Quest'anno invece ne pagherò il 47,5. Con l'invidiabile differenza di aver triplicato il numero di scartoffie inutili da compilare e presentare e di procedimenti amministrativi per poter essere pagato. Nessuno si è posto il problema di creare uno strumento di transizione e di ammortizzazione, e le aziende hanno reagito semplicemente scaricando in toto i nuovi oneri fiscali sul lavoratore precario, così come l'inevitabile allungamento dei tempi per liquidare i contratti. Tanto che gli importa a loro, che uno stipendio fisso ce l'hanno? Morale della favola: gira gira va sempre in culo all'ortolano. |
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