Il punto fondamentale è questo: non è affatto vero che “l’arte contemporanea non trasmette emozioni”; il problema è che tali emozioni si accompagnano sempre ad un retropensiero. Lo sviluppo del retropensiero (non sempre originale) dilaziona di qualche secondo l’arrivo allo spettatore delle emozioni. Talvolta si tratta di collegare ciò che si vede ad un significato (useremo il termine messaggio se esso non fosse stato ripudiato dalla quasi totalità degli artisti contemporanei). Talvolta invece l’opera assume senso solo se ricondotta dallo spettatore alle opere viste precedentemente e, ci si augura, al discorso svolto sopra di esse.Tale dinamica risulta certo macchinosa, ma probabilmente si tratta solo di un modo peculiare e prettamente postmoderno di relazionarsi con quell’oggetto sui generis che è l’opera d’arte (sui generis in quanto in bilico fra il diventare oggetto pop e resistere come elemento di una cultura alta che peraltro ormai non esiste più).Diversi sono alcuni casi contingenti, in cui il carattere mediato delle emozioni in arte produce decadimenti di senso. Il caso principe è l’arte giovane italiana, quella, per intenderci, prodotta da artisti dai venti ai trentacinque anni. Escludendo il plotone pur consistente dei pittori, ci si trova di fronte ad un proliferare di artisti che ammucchiano, preferibilmente a terra, materiali inerti e disconnessi, dal lembo di panno grigio al pezzo di ferro deformato, dall’oggettino di recupero –che non è più né objet trouvé né riporto oggettivo popista- alla foto della finestra della casa dell’artista.Tutto ciò rientra (di straforo, come si vedrà) in una tradizione strisciante dell’arte italiana, la tradizione del grigiore. Con ciò intendiamo un abituale uso di modalità espressive sommesse, richiuse su loro stesse, piccole, particulari e talvolta addirittura sciatte.
Il retropensiero del'arte contemporanea.
Il punto fondamentale è questo: non è affatto vero che “l’arte contemporanea non trasmette emozioni”; il problema è che tali emozioni si accompagnano sempre ad un retropensiero. Lo sviluppo del retropensiero (non sempre originale) dilaziona di qualche secondo l’arrivo allo spettatore delle emozioni. Talvolta si tratta di collegare ciò che si vede ad un significato (useremo il termine messaggio se esso non fosse stato ripudiato dalla quasi totalità degli artisti contemporanei). Talvolta invece l’opera assume senso solo se ricondotta dallo spettatore alle opere viste precedentemente e, ci si augura, al discorso svolto sopra di esse.Tale dinamica risulta certo macchinosa, ma probabilmente si tratta solo di un modo peculiare e prettamente postmoderno di relazionarsi con quell’oggetto sui generis che è l’opera d’arte (sui generis in quanto in bilico fra il diventare oggetto pop e resistere come elemento di una cultura alta che peraltro ormai non esiste più).Diversi sono alcuni casi contingenti, in cui il carattere mediato delle emozioni in arte produce decadimenti di senso. Il caso principe è l’arte giovane italiana, quella, per intenderci, prodotta da artisti dai venti ai trentacinque anni. Escludendo il plotone pur consistente dei pittori, ci si trova di fronte ad un proliferare di artisti che ammucchiano, preferibilmente a terra, materiali inerti e disconnessi, dal lembo di panno grigio al pezzo di ferro deformato, dall’oggettino di recupero –che non è più né objet trouvé né riporto oggettivo popista- alla foto della finestra della casa dell’artista.Tutto ciò rientra (di straforo, come si vedrà) in una tradizione strisciante dell’arte italiana, la tradizione del grigiore. Con ciò intendiamo un abituale uso di modalità espressive sommesse, richiuse su loro stesse, piccole, particulari e talvolta addirittura sciatte.