SICILIA TERRA NOSTRA

LA SCONFITTA DELLE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA


LA SCONFITTA DELLE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA
La sconfitta nelle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco del comune di Milano pone dei seri problemi al futuro politico del Partito Democratico. Infatti aldilà delle votazioni farsa di Romano Prodi come candidato premier nel 2006 e di Walter Veltroni nel 2008 ( in questo caso “interne” al partito) il Pd ha inanellato una serie di clamorose sconfitte a cominciare dalle primarie in Puglia per opera di Nichi Vendola sia nel 2005 che nel 2010. E dire che le primarie erano state pensate proprio per sancire la fusione delle due anime di centrosinistra, quella ex comunista e quella ex democristiana,  dovevano cioè servire per superare le eventuali difficoltà interne e quindi esaltare quello spirito “della vocazione maggioritaria” tanto caro all’”americano” Veltroni, primo segretario del Pd. Una “fusione a freddo” certamente non ben riuscita come affermato da Massimo D’Alema.Le ultime sconfitte alle regionali ed un crollo in termini percentuali hanno fatto scattare l’allarme. Il tentativo operato da Bersani di un ritorno verso un nuovo Ulivo o addirittura la tentazione di una grande alleanza antiberlusconiana da Vendola a Fini passando per Casini ha creato un ulteriore disorientamento all’interno dell’elettorato spingendolo verso approdi nostalgici ma alquanto anacronistici. Si può allora senza dubbio affermare che il progetto democratico di "Obama" Veltroni sia miseramente fallito. Mancanza di contenuti, scelta dei candidati, mancato ricambio generazionale e perfino gestione delle primarie sono ritenute possibili cause di questo fallimento;  tuttavia il problema sembrerebbe più complesso e riguarderebbe non soltanto la classe dirigente ma l’intero corpo elettorale democratico. Cerchiamo di addentrarci in queste ipotesi.Si è parlato del Pd come contenitore senza contenuto; in effetti si è prima fatto il partito facendo confluire le  due diverse famiglie politiche cercando solo in seguito di farne una sintesi. Per capire che tutto questo sarebbe fallito non ci voleva l’acutezza di D’Alema. Però a guardare bene, malgrado le oggettive difficoltà di amalgama, il partito democratico propone le stesse ricette dei partiti laburisti e socialdemocratici delle maggiore democrazie europee ed anzi aveva pure scopiazzato Obama. Semmai è la crisi del modello sociale europeo che ha creato un corto circuito della socialdemocrazia.Nemmeno si può rimproverare al Pd la scelta dei candidati che sono stati sconfitti alle primarie. A Milano il candidato democratico è stato sì danneggiato dalla scarsa affluenza ma bisogna ammettere che il vendoliano Giuliano Pisapia era il candidato migliore molto apprezzato anche al di fuori della sinistra ( specie per le sue proposte sulla riforma della giustizia). Ben diverso è il caso Puglia dove l’ottimo Francesco Boccia è stato battuto per ben due volte dal re del nulla Nichi Vendola, abile imbonitore politico/mediatico prima ancora che poeta e filosofo… e che  come una rockstar è perennemente in tour mondiale e come candidato premier in pectore si pronuncia su ogni argomento mentre la Puglia di cui dovrebbe essere governatore un giorno sì e l’altro pure balza alle cronache delle prime pagine dei giornali per scandali legati alla sanità.Il ricambio generazionale e la gestione delle primarie sono dei falsi problemi visto che sia Pisapia che Vendola sono politici di lungo corso e che anche i candidati vendoliani sono stati imposti dai vertici del partito ( per non dire da Vendola stesso) e non certo come espressione della società civile; non è quindi questione di candidati “pilotati” a determinare le sconfitte del Pd. D’altra parte la gioventù non è di per sé un valore se è vero che a Serracchiani, Civati e Scalfarotto sono da preferire D’Alema e Veltroni…Le cause della crisi del Pd vanno dunque ricercate anche nel tempo. Ricordiamo che il PCI si fece trovare impreparato al crollo del Muro di Berlino e ne rimase travolto. Un’intera classe dirigente fu costretta dalla storia ad un cambiamento repentino; dalla "svolta della Bolognina" alla “gioiosa macchina da guerra” fino ai giorni nostri ben poco è cambiato. Enrico Berlinguer ebbe tantissimi meriti ma non aver fatto traghettare il PCI verso la socialdemocrazia europea fu un grande errore politico, forse l’unico insieme alla spartizione della rai. Malgrado la rottura col partito comunista sovietico e l’accettazione dell’ombrello protettivo della NATO, rimase ancorato al pensiero marxista/leninista; né fu aiutato da un certo mondo intellettuale totalmente inadeguato. Mancò quindi nella classe dirigente e nel suo elettorato quel passaggio graduale verso il riformismo e ancora oggi se ne pagano le conseguenze. In un momento di crisi generale il disorientato popolo della sinistra tende a voltarsi indietro nella speranza di approdi sicuri. Solo che invece di Berlinguer trova Vendola, Ferrero e Diliberto…Evidentemente i vertici del Pd per inseguire la sinistra europea sono andati un po’ più avanti della loro base. Giancarlo Pajetta, uno dei leader storici del PCI soleva dire che «chi guida un esercito deve tenere il passo degli ultimi e non dei primi se non vuol abbandonare troppa gente lungo la strada». Forse aveva visto giusto già tanti anni fa. Più che rottamarli il Pd farebbe bene a fare tesoro della loro esperienza...