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Judith Leister e la pittura fiamminga

Post n°118 pubblicato il 02 Settembre 2007 da sileabalano
 

Per oltre due secoli, le sue opere furono attribuite al maestro frans Hals

Ancora una donna. Ancora un’artista di grande talento che soggiace alla  sorte di tutte le altre sue colleghe, contemporanee e non, nel vasto panorama della storia dell’arte. Ma questa volta ci spostiamo. Non siamo più in Italia. Raggiungiamo la lontana Olanda e scopriamo che i destini, nonostante la distanza, le differenze culturali e ambientali, si somigliano, si intrecciano. A volte, scoprendo i numerosi talenti femminili così a lungo nascosti a un sapere più diffuso, si preferirebbe attribuire a questa o a quella realtà geografica una trascuratezza tanto grande. Ma così non è. Le donne sono donne, in ogni paese del mondo. E la realtà che le circonda non risparmia nessuna. Ma se per alcune, graziate da un ambiente fiorente e da qualche genitore, coraggioso e anticonvenzionale, che le ha spinte a venir fuori, l’arte è potuta divenire una professione di cui andare fiere, anche se poi perduta nel corso dei tempi, per altre è stato lo sfogo divenuto poi silenzioso di un ingegno naturale e innegabile. Per ben due secoli, tutte le opere di Judith Leyster, pittrice fiamminga, nata ad Haarlem nel 1609, vengono indebitamente attribuite al suo maestro Frans Hals, al marito Jan Miense Molenaer, anch’egli pittore e ad un altro artista dell’epoca Gerard van Honthorst. In definitiva, il suo lavoro, così come tutta la sua esistenza vengono rinnegati dall’innaturale pregiudizio che le donne non possono essere poi così brave. In effetti, Judith Leyster, ha dalla sua parte un’attitudine straordinaria. Non disegna le sue tele ma le dipinge direttamente e non ci sono limiti alle sue esecuzioni. Spazia dalle nature morte, alle scene di vita quotidiana, dai ritratti, ai disegni di botanica e agli acquerelli. La sua opera più famosa e che forse rappresenta al meglio il genere di pittura che la distingueva è l’”Autoritratto” eseguito nel 1631 e oggi conservato alla National Gallery di Washinton. In questo dipinto, l’artista si ritrae seduta dinnanzi al cavalletto, indossando abiti eleganti. Ma è l’uso del colore forte e dell’aria scanzonata a colpire maggiormente. La Leyster elabora una nuova formula per la sua espressione artistica. Il più delle volte ritrae persone semplici, comuni, senza alcun titolo o ricchezza che li possa identificare ma imprimendo in questi volti espressioni forti e burlesche, rende il personaggio di colpo importante ed eloquente. Judith non si ferma al solo studio della mimica e della resa ottimale di uno sguardo in diagonale. Diviene insistente anche nella sua ricerca sugli effetti di luce. E due opere, in particolare, trasmettono allo spettatore i risultati di questo impegno: “Giovane che ride con bicchiere di vino” del 1628 e la “Madre che cuce al lume della lampada” del 1633 e presente al National Gallery of Ireland di Dublino, dove unica fonte di luce diviene una candela o il bagliore di una lampada. Della formazione di Judith Leyster non si sa ancora molto. Di certo ha svolto il suo apprendistato nella bottega di un pittore famoso dell’epoca, Frans Hals, maestro del resto, di molti altri nomi di spicco. Dopo solo due anni di apprendistato, ancora giovanissima, viene ammessa nella Gilda di San Luca della sua città natale ed è la prima donna a farne parte. Ben presto, per le sue doti pittoriche e le sue capacità relazionali,  viene messa a capo di una bottega dove si trova a dirige molti giovani allievi. Oggi la Leyster è ampiamente riconosciuta dalla critica internazionale come una “pittrice di genere” e il suo talento non è più in discussione. Ma c’è ancora molto da scoprire su questa donna, il suo talento e tutto il suo mondo. Così come c’è ancora molto da scoprire su molte altre artiste che, da secoli, attendono pazientemente giustizia per il loro operato.

 

 Silea Balano Pubblicato su "Arte e Luoghi" Giugno 2007

 
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